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Usa 2024: dopo 2, Trump prepara transizione, Harris ammette sconfitta
Di Giampiero Gramaglia
Primo presidente “criminale condannato” (è un “convicted felon”) nella storia degli Stati Uniti, Donald Trump ha già messo al lavoro il ‘transition team’, che deve preparare l’avvicendamento della sua squadra con quella di Joe Biden. Il passaggio delle consegne avverrà solo il 20 gennaio, ma va preparato per evitare ‘vuoti di potere’ alla guida dell’Unione.
Biden, che ha telefonato le sue congratulazioni al suo successore – cosa che Trump non fece mai con lui nel 2020 -, e Kamala Harris, che ha ammesso la sua sconfitta – altra cosa che Trump non fece nel 2020 -, intendono collaborare con lui e non mettersi in mezzo per rendergli la vita difficile.
Nella prassi Usa, l’avvicendamento tra un’Amministrazione e l’altra comporta un cambio completo del personale politico e di buona parte di quello amministrativo. E Trump e il suo team, guidato dal figlio Donald jr, hanno già detto che intendono circondarsi solo di persone la cui fedeltà al capo sia completa e provata.
L’Ap anticipa quelle che saranno le priorità della nuova Amministrazione, stretta sull’immigrazione e taglio delle tasse, deregulation e contrasto alla ‘woke culture’, protezionismo e un cambio di passo degli Usa sulla scena internazionale. Politico e i maggiori media europei si chiedono che cosa comporti per l’Europa la vittoria di Trump.
In un commento, la Cnn osserva che “il popolo americano ha votato per un potere senza controlli”, perché il partito del presidente controllerà l’esecutivo e il legislativo – la maggioranza repubblicana alla Camera non è ancora acquisita, ma è molto probabile – e ha dalla sua la massima espressione del potere giudiziario, la Corte Suprema.
Una prima conseguenza di questa situazione la registra il Washington Post: il procuratore speciale Jack Smith, che ha istruito i casi federali contro Donald Trump, per la sommossa del 6 gennaio 2001 e la sottrazione dalla Casa Bianca di documenti riservati, sta pensando di chiudere le inchieste e sta per sottoporre una proposta in merito al segretario alla Giustizia Merrick Garland.
Una volta presidente, Trump potrà, infatti, ordinare la chiusura delle inchieste, che in ogni caso resterebbero congelate per tutto il tempo della sua presidenza – un presidente in esercizio non può essere perseguito, se non con un impeachment da parte del Congresso -.
Per quanto riguarda i processi non federali, essi resteranno come minimo bloccati per quattro anni: la sentenza del processo di New York, in cui Trump è stato riconosciuto colpevole, a fine maggio, di tutti e 36 i capi di accusa, non sarà pronunciata; e il processo di Atlanta, la cui pm Fani Willis ha rivinto martedì le elezioni, non inizierà.
Il computo dei voti prosegue: restano da assegnare una manciata di senatori – ma i repubblicani ne hanno già 52 su 100, il che garantisce loro la maggioranza – e una trentina di deputati, alla Camera, i repubblicani sono avanti, ma non hanno ancora raggiunto la soglia della maggioranza, 218 seggi su 435.
Nel discorso con cui ha riconosciuto la propria sconfitta, Harris ha invitato i suoi sostenitori “a non arrendersi”. Harris, in cui i democratici avevano riposto le loro speranze, dopo il ritiro, il 21 luglio, di Biden, ha detto, fra l’altro, che una candidatura richiede tempo, implicando che lei ne ha avuto poco a disposizione. Ma è pure vero che Harris, come già nel 2019, quando puntò alla nomination, ha dato l’impressione di non tenere la distanza, cioè di partire bene, ma poi di afflosciarsi.
Il New York Times fa una carrellata dei referendum sull’aborto in una dozzina di Stati, per inserire il diritto all’aborto nelle Costituzioni statali e/o per estendere la possibilità di abortire: sette di questi sono passati; quello che aveva avuto maggiore eco, in Florida, è fallito. Ma il giornale sottolinea che il loro impatto a livello nazionale resta incerto, perché molto dipende da quello che sarà l’atteggiamento sull’aborto della nuova Amministrazione (Trump, in merito, ha sempre mantenuto una certa ambiguità).
Infine, solo 42 milioni di americani, meno di uno su otto, hanno seguito in tv la ‘notte elettorale’: molti meno di quelli che seguono il Super-Bowl, la finale del campionato di football.