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USA 2024: – 9, l’attacco di Israele all’Iran colpisce la campagna, media in fermento
Di Giampiero Gramaglia
La vice-presidente Kamala Harris, candidata democratica alla Casa Bianca alle prossime elezioni USA 2024, è stata informata dell’attacco di Israele contro l’Iran avvenuto nella notte tra venerdì e sabato. Harris era a Houston, dove stava per tenere un comizio con Beyoncé. La candidata democratica continua a collezionare appoggi fra i ‘ricchi e famosi’ dello showbiz – ieri, le è arrivato anche quello di Leonardo DiCaprio per motivi ambientali, perché Trump è un negazionista del cambiamento climatico -.
Del candidato democratico Donald Trump, non si sa come abbia saputo dell’attacco e, al momento, non se ne hanno reazioni: s’è presentato in ritardo di tre ore a un comizio in Michigan, apparentemente per problemi nella registrazione di una puntata del podcast con Joe Rogan, il più ascoltato negli Stati Uniti.
E’ presto per valutare l’impatto dell’attacco di Israele contro l’Iran su Usa 2024. C’è molto fermento, a prescindere dal contesto internazionale, nella stampa statunitense. Dopo il Los Angeles Times, anche il Washington Post rompe la tradizione di schierarsi per l’uno o per l’altro candidato e non fa, dunque, endorsement, per volere esplicito del suo editore Jeff Bezos, il proprietario di Amazon, mentre il New York Post non esita a schierarsi per Trump – e questa non è una sorpresa -.
Usa 2024: WP e LATimes nella bufera, NYP con Trump
C’è agitazione, fra i giornalisti del WP e del LATimes, dove si hanno dimissioni. E’ la prima volta, in 36 anni, che il quotidiano della capitale di tradizione liberal non appoggia un candidato.
Secondo fonti presenti alla riunione di redazione di venerdì, il capo degli editoriali David Shipley ha informato i colleghi che il direttore, Will Lewis, avrebbe pubblicato una nota per annunciare niente endorsement per creare uno “spazio indipendente”. I giornalisti non l’hanno presa bene e si sono detti “sotto shock”.
La decisione di non pubblicare l’endorsement a Harris, pronto da giorni, è stata presa dall’editore, Bezos, in prima persona. Gli editorialisti avevano già redatto un articolo di sostegno ad Harris. Durante la sua presidenza, Trump era stato molto critico nei confronti di Bezos e del Post.
L’ultima – e unica – volta che il Washington Post non aveva appoggiato nessun candidato era stata nel 1988, quando la corsa era tra George Bush padre e Georges Dukakiks. Di conseguenza, uno degli editorialisti di punta del giornale, Robert Kagan, si è dimesso. Kagan, autore di ‘Rebellion: How Antiliberalism is Tearing America Apart — Again’, è stata una delle voci più critiche verso Trump: nel 2023 scrisse il commento ‘La dittatura di Trump: come fermarla’, accusando il magnate di essere anti-Ucraina e suggerendo che l’ex presidente potrebbe “distruggere” la democrazia se rieletto.
Al Los Angeles Times, dopo la responsabile della pagina degli editoriali Mariel Garza, altre due grandi firme hanno lasciato per la decisione del proprietario di bloccare l’endorsement di Harris.
Robert Greene, un premio Pulitzer, e la collega Karin Klein hanno annunciato le loro dimissioni. Greene ha detto: “Capisco che la decisione è del proprietario”, Patrick Soon-Shiong; “Ma il caso è particolarmente doloroso perché uno dei candidati, Trump, è ostile ai principi base del giornalismo: il rispetto per la verità e per la democrazia”.
Intanto, il New York Post ha ufficializzato il suo endorsement a Trump, sostenendo che si tratta d’una “scelta chiara per un futuro migliore”. “Gli elettori hanno una grande responsabilità in questa elezione, una delle più importanti nella storia di questa grande Nazione. La loro scelta avrà ripercussioni per decenni, decidendo quale di due percorsi molto diversi per il loro futuro gli americani intraprenderanno”, scrive l’editorial board del tabloid conservatore, sottolineando che l’ex presidente “mostra la stessa forza e vigore del 2016”. L’endorsement del quotidiano conservatore di proprietà di Rupert Murdoch arriva dopo le critiche rivolte al magnate per la gestione della pandemia e per l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021 al Campidoglio di Washington.
Usa 2024: ancora sondaggi per tutti i gusti, meno quelli democratici
Harris e Trump sono in perfetta parità nel voto popolare (48% a 48%), secondo l’ultimo sondaggio fatto da New York Times e Siena College: l’elettorato è raramente sembrato così equamente diviso, sottolinea il NYT, spiegando che il dato non è incoraggiante per la vice-presidente, considerato che nelle ultime elezioni i democratici hanno sempre avuto un vantaggio nel voto popolare anche quando hanno perso il Collegio elettorale e quindi la Casa Bianca. La precedente proiezione a inizio ottobre dava Harris in leggero vantaggio (49% a 46%).
Per il sondaggio Reuters / Ipsos, Trump ha quasi spazzato via lo storico vantaggio dei democratici tra gli elettori ispanici maschi. Solo due punti separano il candidato repubblicano da Harris, 44% contro 46%. Nel 2020, contro Joe Biden, il divario era stato el 19%. La democratica sta guadagnando tuttavia consensi tra le donne bianche, che, sempre nel 2020, avevano preferito Trump a Biden: all’epoca Il magnate era stato avanti di12 punti ora lo è solo di 3, ossia 46% contro 43%.
Metà degli americani, infine, il 49%, considera Trump un “fascista”, il 22% lo pensa di Harris, secondo un sondaggio Abc/Ipsos fatto dopo le accuse dell’ex capo dello staff della CasaJ Bianca John Kelly. Stando al rilevamento, inoltre, il 65% degli elettori registrati sostiene che Trump dica “cose non vere”, contro il 49% che lo pensa della vice-presidente. Anche tra i sostenitori dell’ex presidente il 30% ritiene che dica “falsità”. I dati non sono però in sintonia con le intenzioni di voto fin qui manifestate, lasciando il dubbio che gli elettori intervistati non sappiano bene che significato attribuire al termine “fascista”.