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Usa 2024: – 236, Biden e Trump raggiungono sicurezza aritmetica nomination
Di Giampiero Gramaglia
Con una settimana d’anticipo sul mini Super Martedì del 19 marzo, Joe Biden e Donald Trump hanno superato, vincendo le primarie di ieri in Georgia, in Mississippi, nello Stato di Washington, alle Hawaii, alle Marianne e fra i democratici all’estero, la soglia di delegati necessaria a essere aritmeticamente sicuri della nomination alle convention dei rispettivi partiti: i repubblicani in luglio a Milwaukee, i democratici in agosto a Chicago. Lo indicano i calcoli dei principali media Usa, mentre i risultati non sono ancora né definitivi né ufficiali. Le soglie di delegati da superare erano 1968 per Biden e 1215 per Trump.
A poco meno di otto mesi dall’Election Day, il 5 novembre, è, dunque, finita la fase della campagna per le primarie e comincia quella verso una rivincita con pochi precedenti nella storia Usa: 70 anni or sono, nel 1956, Dwight Eisenhower e Adlai Stevenson si affrontarono per la seconda volta (e Eisenhower bissò la vittoria); e nel lontanissimo 1892, Grover Cleveland, candidato democratico per tre volte di seguito e già vincitore nel 1894, batte Benjamin Harrison, repubblicano, che lo aveva a sua volta battuto nel 1988.
Ora Biden e Trump sono i ‘presumptive nominees’ dei rispettivi partiti. Ma i risultati di ieri hanno anche qualche risvolto negativo, in particolare per Trump, perché in Georgia il magnate è oltre l’80%, ma la sua ex rivale Nikki Haley, che pure s’è ritirata dalla corsa, supera il 15%, con oltre 60 mila voti. Un segnale di allarme, secondo alcuni analisti, perché vuol dire che tra i repubblicani c’è uno zoccolo duro anti-Trump, che negli Stati in bilico come proprio la Georgia potrebbe risultare decisivo.
D’ora in poi, è probabile che i toni di Biden, ma soprattutto quelli di Trump, un po’ cambieranno: l’obiettivo non sarà più consolidare la propria base, ma cercare di andare a conquistare moderati e indipendenti. Trump, però, incalza Biden per un confronto faccia a faccia, prima dei tre canonici già fissati tra settembre e ottobre. “Per il bene di questo Paese e per informare gli americani su quanto sta accadendo, deve esserci immediatamente un dibattito fra il corrotto Joe e l’onesto Don. Io sono pronto in ogni momento e ovunque”, scrive il magnate su Truth.
Continuano ad avere echi gli elogi Trump a Hitler, “vergognosi, ma non sorprendenti”, a giudizio della campagna di Biden, dopo le anticipazioni del libro del giornalista della Cnn Jim Sciutto, cui l’ex capo di gabinetto dell’ex presidente, John Kelly, ha raccontato l’ammirazione del magnate per il Fuehrer. “Non c’è da sorprendersi, da un uomo che propone una retorica nazista nei suoi comizi, che chiama i suoi rivali parassiti e che ammira dittatori e autocrati come Vladimir Putin, Viktor Orban, Kim Jong Un e il resto della gang”, dice la portavoce della campagna di Biden Sarafina Chitika. “Quando Donald Trump parla come un dittatore, loda i dittatori e dice di voler essere un dittatore dobbiamo credergli”.
Usa 2024: l’audizione alla Camera del procuratore speciale Robert Hur
Il procuratore speciale Ben Hur, che non ha messo sotto accusa il presidente Biden, per i documenti riservati trovati in suo possesso, ma che lo ha ridicolizzato per i vuoti di memoria e i comportamenti da anziano, non ha ieri escluso un incarico nell’Amministrazione repubblicana, se Trump vincesse le elezioni di novembre.
A Hur, nominato nel 2017 da Trump procuratore federale, un deputato democratico, Eric Swalwell, ha chiesto se s’impegnasse a non accettare un incarico dal magnate in un secondo mandato. Hur ha così risposto: “Non sono qui per parlare di ciò che potrebbe o meno accadere in futuro”.
Nella sua testimonianza, Hur ha anche precisato di “non avere scagionato” Biden nel rapporto finale della sua inchiesta: il magistrato ha interrotto la deputata democratica Pramila Jayapal, che diceva che il rapporto di Hur equivale a una “completa assoluzione” del presidente. “Non l’ho scagionato – è intervenuto il magistrato -: quella parola non compare nel mio rapporto”. Hur ha spiegato di avere raccomandato di non incriminare il presidente perché sarebbe difficile convincere una giuria a condannarlo: “Si presenterebbe come un uomo anziano empatico, ben intenzionato e con una scarsa memoria”, sta scritto nel suo rapporto.
Hur ha difeso il suo operato. “La mia valutazione sull’importanza della memoria del presidente era necessaria, accurata e giusta”, ha affermato nella dichiarazione iniziale, anticipata dai media Usa. “Non ho mitigato la mia spiegazione. Né ho ingiustamente denigrato il presidente. Ho spiegato la mia decisione e le sue ragioni. Questo è ciò che dovevo fare”.
Hur è finito nel mirino dei repubblicani per non aver raccomandato l’incriminazione di Biden, sollevando il sospetto di un doppio standard rispetto all’ex presidente Trump, anche se lui stesso ha sottolineato nel suo rapporto le differenze tra i due casi. Ma Hur e’ stato criticato anche da Biden e dai democratici per averlo dipinto come un uomo anziano con deficit di memoria. Secondo analisi fatte da media Usa tendenzialmente ‘liberal’, le trascrizioni degli incontri tra Biden e Hur non corroborano l’analisi del magistrato.
“Abbiamo raccolto prove che il presidente ha consapevolmente tenuto documenti riservati dopo la
fine della sua vice-presidenza, quando era un privato cittadino”, ha riferito Hur davanti a due commissioni della Camera, controllate dai repubblicani. “Tuttavia, non abbiamo raccolto prove oltre ogni ragionevole dubbio”, ha aggiunto. “La mia missione era stabilire se il presidente avesse conservato o divulgato informazioni riservate ‘consapevolmente'”, ha proseguito. “Non potevo concludere su questo punto senza esaminare lo stato mentale del presidente. Per questo motivo, ho dovuto tenere conto della memoria e dello stato mentale generale del presidente, e di come li avrebbe percepiti la giuria di un tribunale penale”, ha spiegato.