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Usa 2024: – 212, sette mesi all’Election Day, giochi sembrano fatti, ma…

06
Aprile 2024
Di Giampiero Gramaglia

Mancano sette mesi all’Election Day del 5 novembre e tutto pare già deciso. Chi saranno i candidati che s’affronteranno: il presidente uscente Joe Biden per i democratici; l’ex presidente Donald Trump per i repubblicani; e il pacifista ‘novax’ e negazionista Robert F. Kennedy jr come terzo incomodo, senza speranza di vincere, ma con il concreto effetto di nuocere più a Biden che a Trump (che lui giudica meno nocivo per la democrazia). E anche chi sarà il vincitore, perché i sondaggi sono più o meno unanimi a dare Trump davanti a Biden, specie negli Stati in bilico – sette quelli cruciali: Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, nella Rust Belt; North Carolina e Georgia al Sud; Arizona e Nevada all’Ovest).

Gli americani hanno la percezione che l’economia va male, perché continuano a subire gli effetti dell’inflazione, anche se la crescita è solida e il mercato del lavoro più robusto del previsto: il tasso di disoccupazione è sceso a marzo al 3,8% e sono stati creati 303 mila posti di lavoro. Gli analisti vedono segnali che l’economia statunitense abbia trovato un buon equilibrio tra andamento positivo delle attività commerciali e imprenditoriali, tasso di occupazione crescente e aumento dei salari.

Sul fronte interno, il flusso dei migranti, che l’Amministrazione Biden non ha saputo né gestire né ridurre, proprio come la precedente Amministrazione Trump, gioca contro il presidente uscente. Gli gioca, invece, a favore l’irritazione d’una fetta maggioritaria dell’opinione pubblico per la stretta sull’aborto imposta da una Corte Suprema fortemente conservatrice – sei giudici su nove di destra e tre scelti da Trump in persona -.

Sul fronte internazionale, le guerre in Ucraina e in Medio Oriente giocano contro Biden, che non riesce a farle finire, e a favore di Trump, che promette di farle finire, senza mai dire come, e che millanta che con lui non sarebbero mai cominciate, senza spiegare perché.

Ma i giochi non sono ancora fatti. Su Biden pesano le incognite dell’età – avrà 82 anni subito dopo il voto: non che Trump, che ne fa 78 a giugno, sia un giovincello – e della fragilità. Su Trump, c’è l’alea dei processi: lui gioca a procrastinare e, con la connivenza di giudici da lui nominati, ci riesce, ma rischia di inciampare su almeno uno dei quattro.

Ed entrambi i candidati ‘in pectore’ continuano a sciorinare debolezze nei test delle primarie, anche se non hanno più rivali. C’è sempre un quinto circa di repubblicani che non vota Trump; e c’è sempre una fetta di democratici, oscillante tra un decimo e un quinto, che non vota Biden. I delusi dall’Amministrazione democratica sono fra i giovani e le minoranze, specie gli arabo-americani stanchi del tiramolla mediorientale: il presidente invita alla moderazione Israele, che non gli dà retta, e contemporaneamente gli fornisce le armi con cui martoria la Striscia di Gaza.

Contro Trump, vi sono molti dei suoi collaboratori nel quo quadriennio alla Casa Bianca: il suo vice Mike Pence, il suo ex segretario alla Difesa Mark Esper, che lo definisce “una minaccia per la democrazia”; il suo ex consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton, che lo considera “inadatto a fare il presidente”. Insomma, più lo conosci più lo eviti.

Sarah Matthews, una ex assistente di Trump, che depose contro di lui di fronte alla commissione d’inchiesta sulla sommossa del 6 gennaio 2021, trova “stupefacente” quanti ex membri del suo staff lo abbiano denunciato. Ma, dall’altra parte, c’è pure la fila di quelli che non aspettano altro che riprendersi il posto sotto il loro boss.

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Donald Trump chiede la ricusazione del giudice Juan Merchan che presiede il processo a New York per i soldi pagati in nero a una pornostar e a una ex coniglietta durante la campagna per Usa 2016. La richiesta a farsi da parte arriva a dieci giorni dall’avvio del procedimento, fissato al 15 aprile, e segue le accuse pubbliche lanciate dall’ex presidente nei confronti del giudice e di sua figlia, un’attivista democratica. È l’ennesimo tentativo di procrastinare l’inizio del processo.

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Immediata replica democratica alla proposta repubblicana di intitolare l’aeroporto di Washington, che attualmente si chiama Dulles Airport, all’ex presidente Donald Trump. Due deputati democratici suggeriscono di intitolare al magnate una prigione federale a Miami, che diventerebbe la Donald J Trump Federal Correctional Institution. È improbabile che una delle due idee trovi attuazione.

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organizzerà un evento di raccolta fondi il 20 aprile per i Log Cabin Republican, l’associazione che rappresenta la comunità Ltbgq conservatrice. L’evento sarà a Mar-a-Lago, la residenza dei Trump.

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