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Usa 2024: – 195, processo Trump, non una storia di corna, ma un’interferenza sul voto
Di Giampiero Gramaglia
Donald Trump è sotto processo a New York non per uno scandaletto sessuale, una storia di corna alla moglie Melania, ma per avere organizzato uno schema per interferire sul voto del 2016, impedendo agli elettori di accedere a informazioni che potevano orientare le loro scelte in un senso a lui sfavorevole
Lo ha ieri sostenuto l’accusa, nelle dichiarazioni d’apertura del processo intentato all’ex presidente per 34 capi d’accusa, fra cui l’avere pagato in nero con 130 mila dollari una pornostar perché tacesse, durante la campagna elettorale di Usa 2016, su una loro vecchia risalente al 2016 – Trump era già sposato con Melania, che aspettava il loro figlio Baron -.
La difesa ha invece sostenuto che influenzare il voto è il gioco della democrazia e che Trump non commise reati facendolo. Todd Blanche, uno dei suoi avvocati, ha letteralmente detto: “Non c’è niente di sbagliato nel cercare di influenzare un’elezione. Si chiama democrazia”.
Usa 2024: processo Trump, le prime battute della fase dibattimentale
Le dichiarazioni d’apertura di accusa e difesa, di cui non è stata autorizzata la ripresa, hanno aperto la fase dibattimentale del processo, dopo che un’intera settimana era stata spesa nella selezione della giuria. Il caso, che per la prima volta vede un ex presidente Usa accusato di reati penali, è senza precedenti negli Stati Uniti e, nelle attese dei media, potrebbe “ridefinire il panorama politico e testare i limiti del sistema giudiziario”.
Il processo, che prosegue oggi, dovrebbe concludersi a giugno. Il verdetto della giuria determinerà se Trump, candidato repubblicano ‘in pectore’ alla Casa Bianca, si presenterà agli elettori come ‘convicted felon’, cioè “criminale condannato”, o meno.
Sul banco dei testimoni, siederanno figure di alto profilo, fra cui dei componenti dell’‘inner circle’ del magnate durante la campagna 2016. Uno di essi, David Pecker, ex presidente della società che possiede il National Enquirer, un settimanale popolare, ha già iniziato a deporre ieri: la sua rivista comprava in esclusiva interviste a personaggi scomodi per il magnate candidato e poi le teneva nel cassetto, non le pubblicava.
Fin dall’inizio, l’accusa ha alzato il tiro: il problema non è il rapporto tra Trump e la pornostar Stormy Daniels, all’anagrafe Stephanie Clifford, ma uno schema per interferire sull’esito del voto; non si tratta, quindi, di un reato minore (la falsificazione di documenti contabili), ma di un reato più grave (la violazione della legge sul finanziamento della campagna elettorale).
Usa 2024: processo a Trump, per accusa un’associazione a delinquere
“Questo caso riguarda un’associazione a delinquere – ha detto Matthew Colangelo, uno dei tre pm -. L’imputato ha orchestrato un piano per manipolare le elezioni del 2016. Poi lo ha nascosto mentendo ripetutamente nei suoi documenti aziendali a New York … Siamo certi che alla fine non avrete alcun ragionevole dubbio che Trump sia colpevole di avere falsificato documenti aziendali con l’intento di celare una cospirazione illegale per minare l’integrità delle presidenziali”. Ascoltando, il magnate scuoteva la testa.
Per l’avvocato Blanche, invece, “Donald Trump è innocente, non ha commesso alcun crimine”. E, ad accusarlo, “sono testi senza credibilità, dei bugiardi patentati, motivati dal rancore e dai soldi”.
Per i procuratori, la cospirazione iniziò poco dopo che Trump aveva annunciato la sua candidatura, nel 2015, in un incontro tra lui, il suo avvocato tuttofare Michael Cohen e l’editore Pecker. I tre “decisero di nascondere le informazioni negative sul magnate per aiutarlo a essere eletto”, usando, appunto, la prassi “catch and kill”, acquistare in esclusiva i diritti su una storia per insabbiarla.
Usa 2024: processo a Trump, la prima testimonianza dell’amico editore
Così Pecker pagò prima 30 mila dollari a un portiere della Trump Tower, che si diceva al corrente di una paternità extraconiugale; poi 150 mila dollari alla coniglietta di Playboy Karen McDougal, che poteva raccontare una sua storia col magnate.
E Pecker aiutò ancora Trump quando Stormy Daniels avvicinò il tabloid per svelare la sua vecchia relazione con il magnate, dopo la diffusione dell’imbarazzante audio ‘Access Hollywood’ in cui l’allora candidato alla Casa Bianca si vantava di potere prendere le donne per gli organi genitali – quest’audio non è stato ammesso come prova in aula -. Pecker avvisò Cohen, che pagò i 130 mila dollari e fu poi rimborsato dal suo boss con una serie di assegni per prestazioni legali fittizie.
Nelle prime battute della sua testimonianza, Pecker, cui è stata concessa l’immunità in cambio della deposizione, ha raccontato come il tabloid pagasse per le storie che pubblicava e ha ammesso che lui aveva la parola finale sulle celebrità” intervistate. L’ex editore ha quindi raccontato che aveva due email, di cui una privata che usava per quel che non voleva fare sapere alla sua assistente.
La sua testimonianza proseguirà oggi. Durante la deposizione Trump, seduto di fronte a lui, lo ha fissato. A fine udienza, Pecker gli ha sorriso e lo ha salutato passandogli vicino, ma non ha avuto risposta. I due sono stati amici per anni, ma non lo sono più.
A fine udienza, l’ex presidente ha rivolto l’ennesimo attacco alle autorità di New York che schierano forze di polizia ingenti fuori dal tribunale, piuttosto che “difendere gli studenti ebrei” dalle proteste alla Columbia University, dove ci sono manifestazioni pro-palestinesi. Su Truth, Trump ha scritto: “Le proteste pro-palestinesi hanno causato la chiusura dell’Università. Qui intorno al Palazzo di Giustizia, nel centro di Manhattan, ci sono agenti ovunque. Perché non mandarne alcuni alla Columbia per proteggere gli studenti ebrei e gli altri? L’Università non dovrebbe chiudere e i repubblicani vogliono il diritto di protestare davanti al Tribunale, come tutti gli altri!”.