USA2024
Usa 2024: – 12, le guerre in Medio Oriente sempre più pesanti sul voto
Di Giampiero Gramaglia
Man mano che l’Election Day di Usa 2024, il 5 novembre, si avvicina, tanto più le guerre in corso nel Medio Oriente e in Ucraina s’intrecciano con la campagna elettorale. Soprattutto il conflitto tra Israele e Hamas, ormai allargatosi al Libano e sempre sul punto di coinvolgere l’Iran, è una spina nel fianco dei democratici, anche perché il premier israeliano Benjamin Netanyahu si comporta da promotore elettorale del candidato repubblicano Donald Trump e gli offre il destro di parlare del “fallimento dell’America” sulla scena internazionale, sotto l’Amministrazione Biden-Harris.
Analizzando la situazione, l’Ap scrive che la candidata democratica Kamala Harris e Trump, che continuano a essere testa a testa nei sondaggi, si contendono i voti degli ebrei americani e degli arabo- americani, questi ultimi specialmente nel Michigan e in Pennsylvania, due degli Stati in bilico decisivi per Usa 2024.
Harris cerca costantemente, ma non sempre con successo, di bilanciare un forte sostegno a Israele con una netta condanna delle vittime civili fra i palestinesi e quanti altri coinvolti negli scontri fra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza e fra Israele e Hezbollah nel sud del Libano. Trump sostiene costantemente che nulla di quanto insanguina la regione da oltre un anno sarebbe accaduto se lui fosse stato alla Casa Bianca e che tutto cesserà una volta che lui sarà tornato alla Casa Bianca e che Israele avrà finito il suo lavoro.
Harris è in imbarazzo perché, in quanto vice-presidente, è vincolata alla decisioni di politica estera del presidente Joe Biden, anche se cerca di mantenere un tono più empatico sia verso Israele che verso i palestinesi. Trump, invece, può dire quel che vuole senza essere mai chiamato a rispondere, presso il proprio elettorato, delle affermazioni più improbabili (ma questo è un leit motiv di tutta la campagna e non riguarda solo la politica estera).
Un sondaggio della Ap, su cui si basa tutta l’analisi, indica che il conflitto in Medio Oriente non dà un vantaggio né ad Harris né a Trump: quattro americani su 10 pensano che Trump farebbe meglio, quattro su dieci pensano che farebbe meglio Harris; e due su dieci non si pronunciano.
Sondaggi per tutti i gusti
Secondo un sondaggio di Arab News Research and Studies Unit con YouGov, gli arabo-americani sono leggermente più propensi a votare per Trump che per Harris, 43% a 41%, con un 4% di favori per la candidata verde Jill Stein. Il segnale mette in discussione le possibilità di Harris di vincere nel Michigan, che ha una grande popolazione arabo-americana. Le cifre sono in linea con un precedente sondaggio fatto dall’Arab American Institute. Il sostegno ad Harris nella comunità arabo-americana è stato minato dall’appoggio dell’Amministrazione Biden alla guerra di Israele contro Hamas a Gaza. L’ultimo rilevamento mostra che Trump ha più credito di Harris sulla capacità di risolvere il conflitto (39% a 33%).
Nel sondaggio nazionale settimanale Reuters/Ipsos, Harris è avanti 46% a 43% su Trump, ma l’elettorato è pessimista e ritiene che il Paese sia sulla strada sbagliata. La settimana scorsa, Harris aveva un analogo vantaggio: 45% a 42%. I distacchi sono inferiori ai margini di errore.
Infine, capitolo sondaggi, Harris e Trump sono sempre testa a testa nei sette Stati in bilico: secondo RealClearPolitics, il magnate è complessivamente avanti dell’1,2%, ma ci sono risultati, nei singoli Stati, fortemente contraddittori fra un rilevamento e l’altro.
Le cronache della campagna
Parlando in North Carolina, Trump torna sul fallito attentato del 13 luglio a Butler in Pennsylvania e ripete di essere stato “salvato da Dio per uno scopo”. “La mia fede ha assunto un nuovo significato il 13 luglio dopo essere stato sbattuto a terra da quella che sembrava una forza soprannaturale … E mi piace pensare che Dio mi abbia salvato per uno scopo, di rendere il nostro Paese più grande che mai”. Il magnate parlava a dei pastori conservatori: “Avete la reputazione di non andare a votare … Quest’anno, fate la cosa giusta”.
Fronte democratico, anche Bruce Springsteen fa campagna per Kamala Harris, cui ha già dato l’endorsement: domani, comparirà con lei e Barack Obama in un comizio ad Atlanta e lunedì 28 sarà nuovamente con l’ex presidente a Filadelfia. Sabato, in Michigan, ci sarà Michelle con Kamala. A sua volta, Eminem, in una rara apparizione per la campagna democratica, ha presentato ieri sera Obama in un un evento a Detroit: il rapper ha fatto un intervento prettamente politico. Le opinioni di Eminem su Trump sono ben note e un suo discorso feroce ai Bet Hip Hop Awards nel 2017, dove accusò il magnate di avere fatto il lavaggio del cervello ai suoi sostenitori, diventò virale.
Secondo il New York Times, che cita fonti d’intelligence, la Russia si sta preparando a innescare proteste, e anche violenza, dopo le elezioni americane. La Russia e anche l’Iran potrebbero muoversi rapidamente dopo il voto per mettere a rischio il processo democratico. Mosca sembra intenzionata a incoraggiare proteste soprattutto se Trump dovesse perdere.