Cronache USA

Trump 2: il fronte interno, Trump e Musk alla guerra dei poteri

17
Febbraio 2025
Di Giampiero Gramaglia

A quasi un mese dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, l’attenzione è stata catturata, negli ultimi giorni, dalla politica estera, con le controverse mosse verso “paci ingiuste” in Ucraina e nel Medio Oriente. Sul fronte interno, tengono però banco le mosse spregiudicate di Elon Musk, responsabile del Dipartimento per rendere più efficiente l’Amministrazione Pubblica, il Doge.

Musk interpreta il suo ruolo essenzialmente come quello di un ‘tagliatore di teste‘: elimina o demansiona funzionari ritenuti ostili al nuovo corso; licenzia in blocco addetti a settori giudicati superflui – ad esempio, chi controlla il rispetto delle regole e chi si occupa dei diritti di genere e del contrasto alle discriminazioni -; e, soprattutto, lancia una ‘offerta irrinunciabile’, prendere o lasciare, rivolta a tutti i dipendenti pubblici, andarsene subito ed essere pagati fino a settembre o restare (a rischio di essere ‘tagliati’ il giorno dopo).

Queste tattiche, già sperimentate da Musk quando acquisì Twitter e lo trasformò in X, sacrificando la credibilità all’efficienza, anzi al profitto, suscitano molto allarme sui media liberal, ma vengono accolte con favore dall’elettorato ‘trumpiano’, ostile all’apparato pubblico che avverte come pastoia alle proprie libertà, al ‘big government’ e ancor più al ‘deep government’.

Il New York Times titola: “La strategia di Musk: taglia ora e aggiusta dopo”. E il Washinton Post spiega come Musck stia cercando di incidere sulla burocrazia: “Per qualche settimana ancora, avremo sempre da raccontare la stessa storia: gli sforzi di Musk per ridurre l’apparato federale e ribaltare le politiche dell’Unione”.

Documenti interni al Doge, venuti in possesso dei media, mostrano l’esistenza di piani in tre fasi per eliminare tutti gli impieghi dedicati ai programmi di diversità, equità e inclusione: sono centinaia e forse migliaia di dipendenti, alcuni anche inseriti in strutture che esistono per legge e che non possono essere abolite con un tratto di penna. Ma Trump e Musk pensano che i poteri dell’esecutivo prevalgano su quelli del legislativo.

Un sondaggio per conto della Ap mostra che gli americani in genere pensano che il governo spenda troppo. Ma, scendendo nel dettaglio, una maggioranza di essi, anche fra i repubblicani, ritiene che spenda troppo poco in programmi per la sicurezza sociale. Che, nella confusione del momento, possono subire danni.

I metodi di Musk, avallati da Trump, suscitano perplessità e preoccupazioni, anche perché il Doge ha acquisito i dati di molti Dipartimenti, informazioni sensibili dei singoli cittadini. Al Tesoro, un’indagine interna sta verificando la legalità di quanto sta avvenendo. Ma gli organi di controllo dei vari Dipartimenti sono stati falcidiati da tagli e demansionamenti. L’ultimo allarme riguarda una richiesta di accesso del Doge ai dati fiscali dei singoli contribuenti: lo dice il Washington Post.

E quando i giudici si mettono di mezzo, bloccando provvedimenti la cui legalità o addirittura costituzionalità sono dubbi, la posizione della Casa Bianca, espressa dalla giovane portavoce Karoline Leavitt, è che “i magistrati provocano una crisi costituzionale”, ignorando il principio della distinzione dei poteri e dando per scontata l’espansione dei poteri presidenziali intrinseca all’azione del tanden Trump – Vance e del loro sodale Musk.

Tutto ciò avviene senza che la politica di metta becco. I grandi media si chiedono in termini simili “dov’è il Congresso?”. I repubblicani, che hanno la maggioranza sia alla Camera che al Senato, sono asserviti al presidente Trump e non ne contestano neppure le decisioni più paradossali. Quando ai democratici, ancora sotto shock dopo la sconfitta elettorale del 5 novembre, non hanno né un leader né una linea e non provano neppure a farsi sentire – comunque, non ci riuscirebbero -. Tra l’altro, anche le prospettive di rivincita nel voto di midterm, a novembre del 2026, sono fragili: già due Senatori democratici in Stati in bilico hanno annunciato che non si ricandideranno, rendendo i loro seggi più contendibili.

Due casi emblematici della protervia del Trump 2 fanno particolarmente discutere. Il primo è quello del ritiro delle accuse per corruzione ed altro al sindaco di New York Eric Adams, ordinato dal Dipartimento della Giustizia per motivi meramente politici – Adams, che è un democratico, garantisce il proprio appoggio alla crociata ‘trumpiana’ anti-migranti illegali -.

Sette magistrati inquirenti, pur di non rispettare l’ordine, giuridicamente immotivato, si sono dimessi: i vertici del Dipartimento della Giustizia hanno minacciato di licenziamento i ‘superstiti’ per trovarne uno che accettasse di eseguire l’ordine. Ora, bisogna vedere che cosa dirà il giudice della richiesta di ritiro delle accuse della procura.

L’altra vicenda è quella del Consiglio d’Amministrazione del Kennedy Center, il cuore della vita culturale ed artistica di Washington DC, la capitale federale. Il presidente Trump l’ha azzerato, sollevando tutti i membri dall’incarico, e ne ha insediato uno nuovo, di cui s’è posto alla guida, circondandosi di suoi donatori e di ‘mogli di …’, che, spesso, con la cultura hanno poco a che  fare. La procedura, la cui brutalità è evidente e la cui legittimità viene discussa, sarà probabilmente oggetto di vertenze giudiziarie nelle prossime settimane o mesi.

In settimana, il Senato dovrebbe votare la conferma di altri membri designati del gabinetto Trump 2, fra cui il contestato nuovo capo dell’Fbi Kash Patel, un cospirazionista, intenzionato a tagliare molte teste fra gli agenti federali, chiamati a giustificarsi di avere fatto il proprio lavoro, cioè d’avere indagato sui reati commessi dal presidente Trump.

Di dove le cose vanno meno spedite del previsto, le deportazioni di migranti senza documenti e l’inflazione, che sale invece di scendere, la Casa Bianca parla poco. Anche la decisione di utilizzare il carcere di Guantanamo per i migranti criminali ha prodotto finora più polemiche che risultati. Un’inchiesta del Washington Post indica che, a finirci, non è stata finora la feccia della feccia, migranti condannati per delitti violenti e narcotrafficanti, com’era stato detto, ma poveri diavoli colpevoli solo d’avere varcato la frontiera illegalmente.