Cronache USA
Trump 2: giudici contro il presidente e Musk, che non demordono
Di Giampiero Gramaglia
Continua la controffensiva, prevedibile e largamente anticipata, dei giudici contro i provvedimenti ‘a raffica’ del presidente Donald Trump, annunciati a attuati senza troppo badare alla loro legalità: un giudice federale ha appena vietato l’accesso ai dati sensibili del Ministero del Tesoro alla banda di giovani ‘nerds’ coinvolti – si ignora a quale titolo: sono una sorta di milizia informatica privata – da Elon Musk nel suo Dipartimento per l’efficienza della Pubblica Amministrazione. I responsabili della Giustizia di 19 Stati dell’Unione avevano denunciato Trump e il suo sodale, adducendo rischi di “danni irreparabili”: il Tesoro possiede informazioni personali su centinaia di milioni di cittadini, dai numeri della Social Security – una sorta di codice fiscale – a quelli dei conti bancari.
Poche ore prima, un altro giudice aveva congelato il licenziamento di almeno duemila dipendenti dell’Agenzia per lo sviluppo, la USAid, di cui il duo Trump – Musk progetta ldi ridurre gli effettivi da circa 10 mila a poche centinaia. L’intervento del giudice impedisce, per ora, la messa in congedo di circa 2000 dipendenti e rappresenta una battuta d’arresto per il tentativo del ‘duo dei miliardari’ di congelare i programmi d’aiuto all’estero, mettere fuori gioco il personale e, in fin dei conti, chiudere l’Agenzia.
Sul fronte dei diritti di genere, tre Stati contestano in giustizia le iniziative del presidente contro il pagamento delle cure ai minori che desiderino cambiare sesso. Il Washington Post tiene una traccia di tutte le cause vinte o perse dall’Amministrazione sugli ordini esecutivi di questi primi 20 giorni.
Trump 2: bulimia di misure, cultura, acciaio, migranti
L’offensiva dei giudici non ferma, però, la bulimia del presidente, che annuncia lo scioglimento del Consiglio d’Amministrazione del Kennedy Center, centro della vita culturale di Washington D.C., e la nomina di un nuovo presidente, lui stesso – non è chiaro se Trump abbia il potere di farlo -.
Il magnate annuncia pure che la Nippon Steel ha rinunciato all’acquisto della U.S.Steel e ha invece deciso di investire nell’azienda statunitense – non è del tutto chiaro dove stia la differenza -.
E l’Amministrazione ha intanto avviato il trasferimento di migranti senza documenti a Guantanamo, base della US Navy nell’estremo sud-est di Cuba, nonostante i dubbi sulla legalità dell’iniziativa. Dal 2002, quando cominciò ad accogliere “nemici combattenti” presi prigionieri nelle guerre contro il terrorismo in Afghanistan e altrove nel Mondo, la prigione di Guantanamo è divenuta per gli Usa un rompicapo giudiziario: gli ‘ospiti’ vi sono trattenuti al di fuori di ogni regola e senza poter essere sottoposti, per anni e talora per decenni, ad alcun procedimento legale, senza essere formalmente accusati e, a maggior ragione, senza un processo.
In settimana, un primo aereo con a bordo dieci migranti illegali con precedenti criminali è atterrato a Guantanamo. L’obiettivo dichiarato di Trump è di ‘stipare’ nella base fino a 30 mila migranti illegali condannati e che devono scontare pene detentive.
Trump 2: nomine, nuove nubi su Kash Patel
In attesa che il Senato si pronunci sulla sua nomina, come su altre nomine controverse, tipo quelle di Robert F. Kennedy alla Sanità e di Tulsi Gabbard alla National Intelligence, il direttore dell’Fbi designato Kash Patel continua a essere al centro dell’attenzione dei media, che gli tirano fuori magagna dopo magagna.
L’ultima, che leggiamo sul Washington Post, è di avere ricevuto 25 mila dollari da un regista russo legato al Cremlino: la Global Tree Pictures, azienda con base a Los Angeles di Igor Lopatonok, cittadino sia russo che americano, gli pagò una prestazione professionale. L’azienda di Lopatonok gestì, in passato, una campagna ‘pro Russia’ finanziata da un fondo creato dal presidente russo Vladimir Putin.
Appare, però, fin qui improbabile che le rivelazioni su Patel della stampa ‘liberal’ ne compromettano la conferma della nomina a capo dell’Fbi da parte del Senato, che in settimana dovrebbe anche pronunciarsi su RFK j e su Gabbard, che hanno già passato i test nelle rispettive commissioni.
I dati sull’occupazione di gennaio sono positivi, con 143 mila posti di lavoro creati e un andamento giudicato dal Bureau of Labor Statistics solido, nonostante l’impatto degli incendi in California e la ‘doccia fredda’ sull’economia della mancata riduzione del tasso di scontro da parte della Fed.
Trump 2: i commenti dei media
Numerosi i commenti sulla stampa che, a venti giorni dal secondo insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, constata che gli elettori repubblicani sono “piuttosto compiaciuti” di quello che vedono e danno scarso peso alle contestazioni giudiziarie, ai dubbi costituzionali, alle violazioni dei diritti del lavoro o di genere, e a quant’altro i ‘liberal’ contestano al presidente. A preoccupare fasce di essi, come gli agricoltori dello Iowa, sono piuttosto i potenziali contraccolpi di una guerra dei dazi generalizzata.
Invece, per il New York Times, i democratici, che come partito appaiono ancora allo sbando, confusi e sterili, guardano con timore, dalla California al New England, alla schiera di giovanotti di cui si circonda Musk al Doge, alla raffica di licenziamenti, alle violazioni dei diritti di genere e alle misure che appaiono atti di ritorsione come il negare all’ex presidente Joe Biden l’accesso ai briefing d’intelligence.
Sempre sul NYT, German Lopez si chiede se gli Usa non stiano vivendo “una crisi costituzionale”.
Fronte Medio Oriente, Politico rileva che molti Paesi europei – Italia esclusa – contestano a Trump le sanzioni alla Corte penale internazionale: per Ursula von der Leyen e Antonio Costa, rispettivamente presidente della Commissione europea e del Consiglio europeo, esse “indeboliscono la giustizia globale”.
Ishaan Tharoor, sul Washington Post, scrive che il piano di Trump per la Striscia di Gaza “non va da nessuna parte, ma rispecchia una dura realtà”.