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Transizione ecologica non è transizione elettrica, Roberto Calise (Flixbus Italia) spiega le sfide del settore trasporti
Di Alessandro Caruso
«Transizione ecologica è spesso letta come transizione elettrica, ma è fuorviante: vi sono moltissime modalità di trazioni alternative», Roberto Calise, responsabile Relazioni istituzionali Flixbus Italia, ha un approccio differente da quello tranchant espresso dal Parlamento europeo nei confronti dell’elettrificazione. L’azienda per cui lavora da anni è uno dei principali player del trasporto, impegnato sul fronte della transizione ecologica, un processo che sta seguendo con passi concreti smarcandosi tra le difficoltà degli ultimi tempi, dal caro gasolio alla carenza dei giovani autisti, un problema potenzialmente molto rilevante. Tutte sfide che richiedono un dialogo serrato con le istituzioni e che rendono molto strategico il lavoro di Calise, quello del Public affairs.
Ci può spiegare cosa è cambiato nel vostro settore dopo la riforma introdotta dal DL Infrastrutture del 2021? Come avete accolto la riforma?
«È bene evidenziare che il settore del trasporto passeggeri su gomma di media-lunga percorrenza, diversamente dai servizi di trasporto pubblico locale (TPL), opera in regime di libero mercato senza alcuna sovvenzione pubblica, in linea con quanto previsto dalle normative europee. In questo scenario, l’Italia scontava limitazioni che la allontanavano da altri mercati come la Germania e la Francia. Il Dl Infrastrutture del novembre 2021, approvato con un’ampia maggioranza parlamentare (Lega, Italia Viva, Movimento 5 Stelle) e che ha visto fra i principali proponenti Edoardo Rixi, attuale viceministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, ha avvicinato il nostro paese a standard comunitari come l’introduzione della soglia chilometrica per operare le linee (250 km), tempi di autorizzazione delle tratte più rapidi (prima il processo durava fino a 6 mesi), una spinta verso una maggiore digitalizzazione e sburocratizzazione del settore. Una piccola rivoluzione che rende più moderno il nostro settore – e dunque più efficiente e conveniente per i passeggeri».
Il caro gasolio sta certamente condizionando il vostro mercato. Siete soddisfatti di come la politica sta affrontando questo problema?
«Nel testo unico delle accise era già prevista una scontistica di circa 21 centesimi per la media-lunga percorrenza passeggeri su gomma. Questo perché con i nostri servizi contribuiamo a levare auto private dalle strade, che sono il vero “nemico da battere” per contrastare l’inquinamento. Ci era quindi già riconosciuta un’importante valenza sociale, tanto più che impieghiamo solo bus Euro VI: i più moderni e sostenibili disponibili sul mercato. Tuttavia, questa scontistica non è sufficiente a fronteggiare l’aumento dei carburanti, anche considerando che si viene da due anni di Covid, con tutte le difficoltà economiche del caso. Ci aspettiamo dunque maggiore attenzione dal Governo, ma non con sconti alla pompa che premiano tutti, indipendentemente se hanno investito o meno in flotte più performanti. Gli aiuti devono essere mirati per chi opera nei servizi di trasporto collettivi con i migliori mezzi disponibili».
Quali sono le principali difficoltà nel lavoro del Public Affairs nel settore trasporti? Quali sono le principali sfide che state affrontando?
«Il settore trasporti è ancora molto legato all’intervento pubblico, anche per ciò che concerne i servizi. Invece, il pubblico dovrebbe intervenire principalmente per ciò che riguarda le infrastrutture, come quanto avvenuto sull’alta velocità, con la riqualificazione delle principali stazioni italiane, o con l’apertura del mercato aereo, con molti aeroporti che sono stati rilanciati. Dunque, reti moderne ed efficienti alla base, libera competizione per il resto. Purtroppo, nel settore della gomma di media-lunga percorrenza, spesso impropriamente confuso con il TPL, questo avviene solo parzialmente, a partire dalle autostazioni: tema su cui siamo molto attivi nel cercare di sensibilizzare la politica. Affinché non esistano viaggiatori di serie A e di serie B».
Gli obiettivi globali sulla sostenibilità, con tutte le conseguenze che hanno comportato nell’indirizzo politico dei governi occidentali e non, come hanno influito nelle strategie di Public Affairs in un settore come il vostro?
«Si sta affermando sempre più nell’industria dell’autobus la ricerca di combustibili alternativi, che non vuol dire solo elettrico: penso al biofuel, o lo sviluppo che si sta portando avanti sull’idrogeno. Un altro metodo, che noi adottiamo su alcune linee sperimentali, è l’introduzione di pannelli solari sul tetto del bus, che riducono il consumo di energia elettrica del mezzo, e dunque il consumo totale di gasolio. Tuttavia, la precondizione per rendere davvero accessibili queste tecnologie è la disponibilità di punti di ricarica diffusi in modo uniforme sul territorio nazionale, a partire dalle autostazioni. In tal senso si sta muovendo la nostra attività di relazioni istituzionali».
Lei lavora in Flixbus ormai da lungo tempo. Come ha visto cambiare l’azienda negli ultimi 5 anni?
«L’approccio collaborativo alla base del modello di business di Flix, incentrato sulla collaborazione con partner locali che operano il servizio, ha permesso una rapida crescita della nostra realtà: in dieci anni di attività abbiamo trasportato oltre 300 milioni di passeggeri, 60 dei quali nel 2022. Da quando sono arrivato, l’azienda è passata da essere un player solo europeo ad una dimensione mondiale, presente in 39 mercati anche extra-comunitari come Turchia, Stati Uniti, Canada, Brasile, e, prossimamente, Cile. Dai soli bus, ora si operano treni di stampo Intercity in Germania e Svezia. Per ciò che concerne l’Italia, da operatore principalmente basato al centro e nord Italia, ora Flixbus opera in tutto il Paese, Sardegna esclusa».
Tornando al tema della transizione ecologica, il settore trasporti è strategico. Come valuta l’approccio culturale delle nostre istituzioni a questo tema? Secondo lei, le soluzioni proposte denotano una approfondita conoscenza e sensibilità sull’argomento?
«Vi è una grande confusione sul tema, ma non solo a livello italiano: anche europeo. Basta guardare alla spinta che viene da Bruxelles per la fine della produzione di motori termici entro il 2035, il che equivarrebbe a disarticolare la spina dorsale della produzione industriale del Vecchio Continente, decretandone la marginalizzazione sulla scena mondiale. Transizione ecologica è spesso letta come transizione elettrica, ma è fuorviante: vi sono moltissime modalità di trazioni alternative. E’ bene ricordare che il nemico da battere è la mobilità privata, quindi ogni mezzo di trasporto collettivo aiuta, per definizione, la transizione ecologica. Tanto più che il parco veicolare italiano è molto anziano. Basta prendere in mano gli schemi di emissione di un Euro V e di un Euro VI per constatare che sono come il giorno e la notte. Perciò, un moderno bus Euro VI diesel che aiuta ad eliminare circa 40-45 auto private verosimilmente più vecchie, sta egregiamente contrastando l’inquinamento».
Cosa servirebbe a suo giudizio per arrivare in tempi brevi a una totale elettrificazione del trasporto privato di persone?
«L’elettrico lascia grandi temi inevasi, come le performance delle batterie, il loro corretto smaltimento e riciclo. Inoltre, la questione del passaggio all’elettrico insiste direttamente su uno dei grandi dubbi delle democrazie occidentali, ossia quanto sia etico un capitalismo che tratta con Paesi che non sono esempi di democrazia. Infatti, per produrre batterie servono le cosiddette “terre rare”, appannaggio di pochi Paesi nel mondo con valori culturali molto diversi dai nostri. Lo stesso argomento che si muove contro le nazioni da cui acquistiamo gas e petrolio. Non vorrei però che il passaggio all’elettrico comportasse anche un passaggio dalla padella alla brace, rendendo l’Occidente più dipendente da ancor meno nazioni, per di più non democratiche. Meglio dunque puntare ad un “mix trasportistico”: efficientissimi motori termici, biofuel, elettrico, e in futuro idrogeno. Anche la guerra in Ucraina dimostra che diversificare le fonti è essenziale, e fa sicuramente bene anche alla ricerca e sviluppo nel campo dell’automotive».
Chiudiamo sul tema dei giovani. Sappiamo che la carenza di giovani autisti rischia di diventare potenzialmente un rilevante problema per il vostro settore. Quali strategie si stanno mettendo in campo per risolvere questa criticità?
«L’IRU (International Road Transport Union) ha lanciato un chiaro allarme lo scorso giugno: da qui a pochi anni in Europa mancheranno migliaia di autisti, sia di servizi come i nostri, sia di TPL. In Italia parliamo di 10.000 persone, come dichiarato lo scorso gennaio dal nostro Managing Director, Andrea Incondi. Lo stesso vale anche per i macchinisti dei treni o i conducenti dei TIR. Ciò significa un affanno dei trasporti terresti di ogni ordine e grado, sia di merci che di persone. E’ bene dunque far arrivare ai tanti in cerca di lavoro nel nostro Paese il messaggio che l’autista è un mestiere che può essere ben retribuito e ben tutelato: i sindacati del settore sono sempre molto attenti. Il Governo Draghi ha introdotto un bonus patenti che fino al 2026 dispone di importanti risorse per chi vuole conseguire le necessarie certificazioni per condurre un bus o un camion. Lo strumento, quindi, c’è. Serve però un maggiore coinvolgimento della politica, che deve fare sistema con le aziende: ci auguriamo che questo Governo, più attento agli strumenti di politiche attive del lavoro invece dei bonus, capisca l’urgenza della questione, fronteggiandola efficacemente prima di arrivare alla paralisi del settore».