Esteri
Usa: midterm, né Ucraina né Taiwan, il focus su economia e diritti
Di Giampiero Gramaglia
Pensando al voto di midterm dell’8 novembre negli Stati Uniti, noi in Europa ci chiediamo se, dopo il voto, cambierà qualcosa nella linea sul conflitto in Ucraina dell’Amministrazione Biden, se il presidente Usa incontrerà o meno il russo Vladimir Putin al Vertice del G20 a Bali in Indonesia (15 e 16 novembre); e se la tensione con la Cina su Taiwan salirà ancora. Ma la guerra e le tensioni sulla scena internazionale non sono in cima ai pensieri degli elettori statunitensi, che vanno alle urne pensando all’andamento dell’economia e alla tutela dei diritti.
Molti, anzi, hanno già fatto la loro scelta: i dati del voto anticipato finora disponibili confermano l’andamento del 2018 – il confronto con il 2020 è improprio: l’ ’early voting’ toccò quote record per l’effetto pandemia -. Secondo la Cnn, gli elettori sono particolarmente solleciti in Stati critici: Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, nella ‘cintura della ruggine’, e, più a Sud, Georgia. I rapporti di forza nel futuro Congresso si possono decidere lì.
A 15 giorni dal voto di midterm negli Usa, la guerra in Ucraina, finora ai margini della campagna, è comunque entrata fra i temi del dibattito elettorale e ha creato una frattura nel partito repubblicano, che – almeno stando alle dichiarazioni di alcuni suoi leader – s’è spaccato sugli aiuti militari ed economici all’Ucraina per consentirle di fronteggiare l’invasione russa.
Lo spartiacque attraverso il campo dei sodali dell’ex presidente Donald Trump. Il leader del partito al Senato, Mitch McConnell, sollecita l’Amministrazione Biden a velocizzare ed ampliare gli aiuti all’Ucraina, fornendo a Kiev anche capacità di fuoco a lungo raggio. Il capo-gruppo alla Camera, Kevin McCarthy, che fa da megafono a Trump, è su una linea meno interventista: da giorni dice che, se i repubblicani riprenderanno il controllo del Congresso l’8 novembre – ipotesi non remota, stando ai sondaggi e all’inerzia delle ultime battute della campagna elettorale -, non ci saranno più “assegni in bianco” a Kiev, mentre incombe una recessione economica e non s’attenua la pressione dei migranti al confine con il Messico.
L’eventualità di un colpo di freno repubblicano all’assistenza militare ed economica Usa preoccupa Kiev, mentre l’Ucraina subisce da due settimane massicci attacchi russi con aerei, missili e droni. Intanto, però, la mitica 101esima divisione aerotrasportata Usa, quella dello sbarco in Normandia, è stata dispiegata in Europa per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale – è stata via via impiegata in Vietnam, Iraq, Afghanistan -. I suoi 4.700 soldati sono ora in Romania, non lontano dal confine con l’Ucraina: sono i militari americani più vicini al fronte dei combattimenti tra ucraini e russi.
Diversi sondaggi indicano che i repubblicani sono di nuovo in crescita nelle intensioni di voto e che le loro speranze di conquistare la maggioranza in una o in entrambe le Camere del Congresso hanno fondamento. Per il Washington Post, tutte le principali corse per il Senato, ad eccezione di quella della Georgia, inclinano a favore dei repubblicani, mentre i democratici, alla Camera, ricevono segnali d’allarme in distretti dal Rhode Island all’Oregon dove gli avversari di solito non erano competitivi. L’Ap cancella la Florida dagli Stati in bilico: la terra rifugio dei pensionati ricchi è ormai repubblicana.
Per alcuni versi, è un voto di midterm anomalo: più che un anticipo delle presidenziali 2024, è una rivincita di quelle 2020, perché le figure di spicco della politica statunitense restano Joe Biden, il presidente, il cui consenso è debole, e Donald Trump, l’ex presidente che non accetta la sconfitta e che mantiene una forte presa sull’elettorato repubblicano.
In un Paese politicamente polarizzato come gli Stati Uniti, è facile capire perché i repubblicani tornino a guadagnare terreno, dopo un’estate in cui la bussola del voto puntava sui democratici: dopo la sentenza della Corte Suprema che ha cancellato la tutela federale sul diritto all’aborto, l’ansia per la salvaguardia dei diritti e per lo stato di salute della democrazia nell’Unione era salita. E, osserva la Cnn, due anni dopo le presidenziali più divisive nella storia Usa, “molti cittadini danno un giudizio negativo anche del processo elettorale”.
In estate, i titoli dei media e il dibattito pubblico erano centrati sull’aborto, ma anche sul controllo delle armi per il susseguirsi delle stragi e sulle minacce alla democrazia insite nel ‘trumpismo’, che pareva in arretramento sotto il peso delle inchieste, ma che era sempre in grado di condizionare l’esito delle primarie repubblicane.
“Questi temi – osserva il Washington Post – hanno aiutato i democratici a restare molto competitivi, nonostante il tasso di approvazione del presidente Biden sia basso e nonostante la tradizione voglia che il voto di midterm serva a sanzionare più che a premiare il partito al potere”. Inoltre, il voto coincide con una sessione della Corte Suprema i cui giudizi possono ancora influenzare gli elettori: la Corte, il cui orientamento è fortemente conservatore, sta vagliando le tutele del diritto di voto delle minoranze e le cosiddette ‘affirmative actions’ nelle Università, che favoriscono l’ammissione di studenti delle minoranze. Curiosamente, decisioni potenzialmente negative per neri e ispanici coincidono con l’entrata in servizio della prima ‘suprema’ nera, Ketanji Brown Jackson.
Dopo l’estate, l’attenzione per questi temi va però smorzandosi, mentre crescono le preoccupazioni per l’economia e, soprattutto, l’inflazione, per la criminalità e per l’immigrazione, con il caos che persiste al confine con il Messico. Tutti temi che vanno a favore dei repubblicani.
In un sondaggio New York Times/Siena College diffuso nei giorni scorsi, la percentuale di elettori che citano economia, inflazione, criminalità o immigrazione come “il problema più importante” è salita al 52%, 14 punti in più rispetto allo scorso luglio. E, in parallelo, è scesa di 12 punti, al 14%, la percentuale di coloro che indicano l’aborto, la democrazia e le armi.
I repubblicani, infatti, sono considerati nettamente più affidabili quando si tratta di rimettere in sesto l’economia: un rilevamento Washington Post / Abc mostra che il 54% dei potenziali elettori ha più fiducia in loro sulle questioni economiche e che solo il 37% ha più fiducia nei democratici. E questo perché, in generale, le politiche dei repubblicani sostengono gli affari, gli scambi e gli investimenti; tagliano le tasse, il che può accelerare la crescita, e riducono le regole, il che piace alle imprese e stimola la concorrenza. Dati e considerazioni che fanno presagire l’8 novembre una ‘valanga rossa’: magari ‘mini’, ma sufficiente a rovesciare i rapporti di forze in bilico al Senato e alla Camera.