Economia
Silicon Bank, la Federal Reserve garantirà i depositi. Occhi puntati sui tassi
Di Giampiero Cinelli
Con il fallimento della Silicon Valley Bank e poco dopo anche della Signature Bank, il sistema finanziario è tornato a scricchiolare e immediatamente sta portando le maggiori istituzioni bancarie, come l’americana Fed e la Bce a ripensare i loro piani. A Wall Street prevedono che a marzo non ci sarà un nuovo aumento dei tassi d’interesse, ora intorno al 4,5%. In questo modo si punta a facilitare l’accesso al credito di chi vuole continuare ad investire in un momento in cui l’economia può subire un forte arresto.
Dunque i tassi di interesse interbancari (quelli con cui le banche si prestano denaro tra di loro o lo ottengono dalla Banca Centrale) resteranno molto probabilmente invariati. Contestualmente la Fed ha assicurato, a condizione dell’acquisto di titoli di Stato come garanzia collaterale, un supporto illimitato di liquidità agli istituti di credito (che nel frattempo fronteggiano possibili fughe di capitale e svalutazione degli asset che hanno in portafoglio), in modo che possano garantire i prestiti. Non verrà tra l’altro rinegoziato il valore di obbligazioni già in essere per evitare ingenti perdite da parte delle banche e dei clienti stessi. Intanto però le più importanti banche ieri hanno chiuso in rosso, negativo il Nasdaq e l’S&P500, il paniere che racchiude le più importanti aziende americane in borsa. Male anche la borsa europea e il FTSE Mib italiano. Nonostante il paracadute finanziario di Washington, ci saranno perdite e rallentamenti, ma l’importante è non rivedere gli scenari del 2008, e va in questo senso l’intervento tempestivo del governo.
A Francoforte
Decisioni dovranno essere prese anche in Europa. anche Lagarde plausibilmente deciderà di rimandare una stretta monetaria già annunciata o di limitarla. Anche in questo caso tutti sono concentrati sull’evitare il contagio sistemico. Fin ora emerge che il sistema bancario europeo non era molto esposto e ha pochi collegamenti con Silicon Valley Bank. Un’altra crisi finanziaria globale sembra insomma scongiurata, come ha affermato anche il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, evidenziando le rigide regole dell’unione bancaria europea e i meccanismi di aggiustamento già definiti.
Lo zampino delle politiche restrittive
Tutti concordano che alla base dello scossone ci sia stata l’aggressiva politica della Fed che ha repentinamente alzato il valore dei tassi d’interesse, specialmente sui titoli a due anni. Facendo perdere di valore le azioni bancarie e gli stessi titoli pubblici che molti correntisti avevano sottoscritto. A quel punto per la banca della Silicon Valley diveniva più costoso raccogliere liquidità, e nel frattempo saliva il costo di remunerazione dei depositi bancari dovuto ai clienti. Clienti che inoltre ritiravano denaro per riequilibrare la loro posizione e lo spostavano in altre banche. Allora l’istituto ha dovuto vendere 2,25 miliardi delle sue azioni, trovandosi infine in una enorme crisi di liquidità. Con 40 miliardi di dollari ritirati dai depositi in prossimità del crack. Anche altre banche d’affari come JP Morgan e Wells Fargo hanno registrato perdite sul mercato per più di 50 miliardi. Ora la ministra del Tesoro Usa Janet Yellen è determinata a garantire tutti i depositi. 300 miliardi circa per la Silicon Bank. In tutto il sistema bancario americano sono 9 trilioni, ma non tutti rischiano il contagio e la corsa agli sportelli si può evitare.