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Morto a 100 anni Jimmy Carter: 39° presidente Usa e premio Nobel, una vita per la pace
Di Giampiero Gramaglia
Persino Donald Trump, uno che parla bene solo di se stesso, lo ricorda in modo positivo: “Con lui, abbiamo tutti un debito di gratitudine”. È la prova che Jimmy Carter, democratico, 39° presidente degli Stati Uniti, deceduto ieri a Plains in Georgia a cento anni compiuti, sapeva unire l’America: non solo come presidente, che conobbe momenti difficili, ma pure come mediatore di pace e uomo di buona volontà. Sempre accanto alla moglie Rosalynn, scomparsa nel novembre 2023 a 96 anni, Carter seppe risolvere crisi internazionali e contribuì ad alleviare sacche di disagio nell’Unione; e si meritò davvero il Nobel per la Pace conferitogli nel 2002.
Il più longevo presidente di tutti i tempi, Carter è stato l’ultimo inquilino della Casa Bianca del 20° Secolo ad andarsene: restano in vita solo i presidenti del 21° Secolo, Bill Clinton che terminò il suo mandato nel 2001, George W. Bush, Barack Obama, Donald Trump e Joe Biden. I maggiori media Usa gli rendono omaggio con parole simili: “Un uomo del Sud tenace, che non fu confermato da elettori delusi dopo il primo mandato, ma che ebbe dopo la presidenza una brillante carriera da mediatore diplomatico come campione della salute, della pace e della democrazia”.
I funerali di Stato saranno celebrati il 9 gennaio, ha deciso il presidente Biden. Poi lui e Rosalynn, sposati per 77 anni, riposeranno insieme nella tenuta di Plains, che fu loro casa e quartier generale. Chip Carter, il figlio, nel dare la notizia della morte, dice: “Mio padre è stato un eroe, non solo per me ma per tutti coloro che credono nella pace, nei diritti umani e nell’amore”.
Morto Carter: i messaggi di cordoglio
E mentre a New York l’Empire State Building si vestiva con i colori della bandiera a stelle e strisce per rendergli onore, sono arrivati i messaggi di cordoglio dei suoi successori. “Guidato dalla fede, il presidente Carter ha lavorato senza sosta per un mondo migliore e più giusto e ha vissuto per servire gli altri fino alla fine”, scrivono Bill e Hillary Clinton.
Per Bush, Carter lascia un’eredità che “ispirerà gli americani per generazioni”: “Era leale con la sua famiglia, la sua comunità e il suo Paese. I suoi sforzi per lasciare un mondo migliore non sono finiti con la presidenza”. Barack e Michelle Obama, in un articolato messaggio, sottolineano il suo essere “una persona per bene”, oltre che “un uomo straordinario”, citando gli accordi di Camp David e pure la nomina di Ruth Bader Ginsburg a giudice supremo. È stato “uno dei primi leader al Mondo a riconoscere il problema del cambiamento climatico”. L’ex presidente “credeva ci fossero cose più importanti della rielezione, cose come l’integrità e il rispetto”.
Biden ricorda di “avere avuto l’onore di chiamarlo per decenni amico”: “L’America e il mondo hanno perso un leader straordinario”. “È stato un uomo di carattere e coraggio, speranza e ottimismo”, un “uomo di principio, fede e umiltà”, che “ci ha mostrato che siamo un grande Paese perché siamo persone brave, onorevoli, coraggiose, umili e forti”.
Solo Trump guasta l’omaggio con il suo narcisismo: “Quelli di noi che hanno la fortuna di servire come presidenti capiscono che questo è un club esclusivo… E solo noi possiamo riconoscere l’enorme responsabilità di guidare il più grande Paese della storia”.
Messaggi di cordoglio sono giunti da tutto il Mondo, dall’Onu e dall’Ue, dall’Europa – primo, quello del presidente francese Emmanuel Macron – e da Paesi non amici degli Usa.
Morto Carter: la biografia
Cresciuto tra i campi di arachidi della Georgia, allevato a rispettare valori come duro lavoro, senso del dovere, fede in Dio, dignità, eguaglianza, Carter riuscì nel 1978 nella missione apparentemente impossibile di un accordo di pace tra Egitto e Israele, tra Anwar Sadat, che pagò l’intesa con la vita, e Menachem Begin; ma fallì alle prese con la ‘rivoluzione iraniana’ dell’ayatollah Khomeini e con la ‘strategia degli ostaggi’ praticata della teocrazia succeduta al regime dello shah Reza Pahlavi.
James Earl Carter Jr. era nato nel 1924 a Plains: il padre era il proprietario di un campo di arachidi, la madre un’infermiera che sfidava le regole della segregazione per aiutare donne di colore. Nel ’41 Jimmy fu il primo della sua famiglia paterna a finire il liceo: andava a una scuola per soli bianchi, ma i suoi due migliori amici erano afro-americani.
Affetto da un tumore al cervello, Carter ha passato gli ultimi due anni della sua lunga vita protetto da cure palliative, dopo aver rinunciato a più aggressivi interventi medici. Un lungo addio turbato dalla morte di Rosalynn, dopo che nel 2021 avevano festeggiato i 75 anni di matrimonio, le nozze di platino.
Approdato nel 1977 alla Casa Bianca da governatore della Georgia, battendo nel ’76 il repubblicano Gerald Ford, fu presidente per un solo mandato, perdendo nell’ ’80 con Ronald Reagan, e governò l’America – ricorda sull’ANSA Alessandra Baldini – in un periodo di gravi emergenze in patria e nel Mondo, tra crisi energetica e recessione … Il 4 luglio 1979, con auto in fila alle pompe di benzina, il presidente cancello in extremis il discorso che doveva fare alla nazione nell’Independence Day. Dieci giorni più tardi, tenne il ‘discorso del malessere’: una sorta di sermone per segnalare ‘la crisi di fiducia, che colpisce al cuore la volontà nazionale’ e che per lui fu un boomerang”.
Contrastato il bilancio della sua presidenza in politica estera: ci furono i successi dell’accordo Salt II con l’Urss e della stretta di mano di Camp David; ma ci furono anche la presa dei 52 ostaggi nell’ambasciata di Teheran il 4 novembre 1979, protrattasi per oltre 14 mesi, e l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Urss a fine ’79, che fece tornare il clima della Guerra Fredda.
La crisi degli ostaggi con l’Iran fu il chiodo nella bara della presidenza Carter. Dopo il fallimento, nell’aprile del 1980, di una missione di salvataggio azzardata e improbabile dal nome in codice Eagle Claw – ci fu una collisione in volo e otto militari rimasero uccisi -, gli ostaggi furono liberati solo in coincidenza con l’insediamento di Reagan: l’ormai ex presidente Carter andò ad accoglierli all’aeroporto di Francoforte dove sbarcarono da Teheran il 21 gennaio 1981.
Lasciata la Casa Bianca, Carter tornò a occuparsi di filantropia e politica estera e ricevette nel 2002 il Nobel per la Pace. Dei tre premi Usa di quegli anni, decisi anche in polemica con l’aggressività dell’America di George W. Bush – Al Gore nel 2007 e Barack Obama nel 2009 -, il suo fu il più meritato.
L’ultima crociata a capo del Carter Center era stata ancora all’insegna della pace: l’appello a Obama per il riconoscimento della Palestina. Curato con l’immunoterapia per il tumore al cervello, Carter ha chiuso la vita impegnandosi a fare del bene: costruendo case per poveri e insegnando religione. “Un misto di riflessioni sul Vangelo e ricordi di antica diplomazia, i sermoni nella piccola chiesa battista di Plains – ricorda Baldini – avevano attirato domenica dopo domenica moltissimi pellegrini per i quali il messaggio dell’anziano predicatore rappresentava l’antidoto ai veleni della politica che vedevano ogni giorno in televisione”.