Esteri
Le “tribù delle crisi” tracciano il sentiero delle europee 2024
Di Flavia Iannilli
Le attesissime elezioni europee del 2024 che si svolgeranno tra il 6 e il 9 giugno saranno tutt’altro che un mero scontro politico. Se i cittadini europei si aspettano il convenzionale fronteggiarsi di destra e sinistra ne rimarranno estremamente delusi. Nelle europee del 2024 il comportamento elettorale farà fatica a seguire la classica divisione partitica propria delle passate elezioni.
Degli attenti osservatori ricorderanno come la fase di negoziazione della Brexit fece da safety car alla stagione del voto nel 2019; quest’anno non basterà la spaccatura tra pro e anti europeisti e non attecchirà l’idea di un’Europa federale.
Stando ad un sondaggio commissionato dall’European Council on Foreign Relations (ECFR) ad aver centrato il punto è stato il Presidente francese Emmanuel Macron quando ha confinato il divario elettorale tra coloro che si preoccupano di arrivare a fine mese e coloro che hanno a cuore la fine del mondo. Una spaccatura tra chi si concentra sulla crisi finanziaria e chi invece guarda a quella climatica.
Lo studio è stato condotto in 11 paesi di cui 9 membri dell’Unione Europea (Germania, Francia, Polonia, Italia, Spagna, Danimarca, Romania, Portogallo ed Estonia) e due extra Ue (Gran Bretagna e Svizzera) e porta alla luce la centralità delle crisi e dell’impatto che hanno avuto nell’ultimo decennio sui cittadini europei. Il sondaggio ha posto a confronto il sostegno dei partiti con gli atteggiamenti in diverse aree politiche e con il comportamento nei confronti sia delle istituzioni europee sia dei governi nazionali.
Facendo particolare attenzione a questo anomalo allineamento dei pianeti rispetto alla storia dell’Ue la domanda sorge spontanea: come si può pensare al futuro dell’Unione europea?
Di sicuro andranno messe sul tavolo le problematiche che hanno costituito gli ultimi 15 anni: la crisi climatica che mette il mondo in pericolo, la crisi finanziaria che pone in discussione un tenore di vita migliore per i posteri, la crisi migratoria che genera un panico identitario, la crisi sanitaria del Covid19 che ha evidenziato la vulnerabilità dei sistemi sanitari e la crisi in Ucraina che ha riportato la guerra nel continente.
Crisi che sono state avvertite in tutta Europa, anche se con intensità differenti; crisi che sono state abitate come una minaccia esistenziale; crisi che hanno invaso le politiche dei governi; crisi che hanno creato identità politiche sia tra i paesi sia all’interno dei paesi stessi, ma soprattutto crisi che non trovano una conclusione.
Calcolando che solo una parte di queste difficoltà sono trasformative, alcuni credono improbabile che il Covid, le turbolenze economiche e la guerra in Ucraina possano essere temi chiave di mobilitazione; a differenza della crisi climatica e migratoria che invece risultano temi predominanti e che influenzeranno il voto dei cittadini.
Ma non tutti i paesi presi in considerazione hanno gli stessi timori. Secondo l’ECFR la Germania è l’unica ad avere come maggiore preoccupazione il tema dell’immigrazione. La questione clima rimane predominante in Svizzera, Danimarca e Francia. Se da una parte Italia e Portogallo temono le turbolenze economiche globali; dall’altra è ancora il covid a tenere alta l’allerta di Romania, Inghilterra e Spagna. Infine a temere la guerra in maniera preponderante sono Estonia, Polonia e Danimarca.
Ma tornando alle prossime elezioni europee 2024 e considerando i 9 stati membri parte del sondaggio, che rappresentano il 75% della popolazione Ue, quale sarebbe la situazione del parlamento europeo se queste “tribù della crisi” fossero dei partiti?
Dati: ecfr.eu
La maggioranza sarebbe costituita dai portabandiera della pandemia insieme ai sostenitori del cambiamento climatico. Subito a seguire gli attenti osservatori delle turbolenze economiche. Staccati ma sostanziosi coloro che temono i flussi migratori e in minoranza i sovversivi della guerra alle porte.