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Meloni al Corriere spiega il suo niet alla Von der Leyen. Leggiamo tra le righe
Di Redazione
In 637 giorni di durata del suo mandato, Giorgia Meloni ha rilasciato sui quotidiani circa 20 interviste, includendo anche colloqui esclusivi riportati con dei virgolettati a lei attribuibili e non con la formula domanda/risposta.
Sono circa 1 al mese, non tanto se si considera la natura politica del suo Esecutivo e alcune campagne elettorali nel mezzo, come quelle per le Regionali e le recenti Europee.
Se quindi ieri ha sentito il bisogno di fare la 20a, uscita oggi sul Corriere della Sera, è perché evidentemente ha ritenuto necessario spiegare in maniera estesa il perché del suo “no” alla conferma di Ursula von der Leyen come Presidente della Commissione UE.
Ne possiamo capire il motivo, dell’intervista, perché anche noi abbiamo fatto fatica a comprenderne le motivazioni, della scelta.
Ok la coerenza, costante invariabile del percorso politico di Meloni fin dall’inizio del suo lungo percorso politico, ok le motivazioni politiche, perfettamente comprensibili considerando gli eventuali “compagni di maggioranza” nel Parlamento, ma a livello macro la scelta del “no” continua a lasciare perplessi.
Mettersi in posizione di opposizione in Europa non ha mai portato bene ai Governi italiani, nessuno escluso, e a livello globale si fa fatica ad andare oltre la semplice analisi binaria dentro/fuori che alla fine produce questo risultato: il “no” alla von der Leyen equivale a mettere l’Italia all’opposizione in Europa.
Considerate le mille sfaccettature e variabili insite in questa decisione e nelle relative conseguenze, la maggior parte delle quali inizierà ad essere misurata dal tipo di delega che verrà assegnata al Commissario spettante all’Italia, conviene affidarsi alle parole della Premier per provare a decifrare meglio la sua decisione (le sottolineature sono nostre). Coerenza: «Penso di avere fatto una scelta di coerenza, non sulle mie posizioni, ma rispetto alle elezioni europee. Mi fa sorridere come alcuni osservatori non tengano minimamente in considerazione che cosa i cittadini hanno chiesto con il loro voto dell’8 e 9 giugno. Noi personalizziamo sempre, ma il tema non è von der Leyen sì o no, il tema è quali siano le priorità di cui l’Europa deve occuparsi».Contesto globale: «Nel 1990 la Ue a 12 Stati valeva il 26,5% del Pil mondiale, la Cina l’1,8%. Oggi l’Europa a 27 Stati vale il 16,5% e la Cina il 18%. Vuol dire che quando nel 1990 l’Europa pensava che occupandosi di sé stessa si sarebbe anche occupata del contesto faceva una cosa sensata, ma adesso non è più così. Se non valuti il contesto rischi di creare enormi problemi di competitività».Reazione al programma von der Leyen: «Mi sono comportata come si dovrebbe comportare un leader europeo perché mi sono chiesta se la traiettoria fosse giusta. E siccome non posso dire di considerarla giusta soprattutto su alcune delle materie sulle quali i cittadini hanno chiesto un cambio di passo, come la transizione verde, ho fatto come sempre quello che mi pareva più giusto, senza condizionamenti e senza timore. Se decidi di dire sì solo per fare quello che fanno gli altri non fai il lavoro che compete a un leader».Il suo programma:
«Se invece mi chiedete cosa spero faccia l’Europa la questione è semplice, deve fare meno e deve farlo meglio, deve regolare meno e occuparsi di sostenere la competitività. E quando definisce delle strategie, deve anche accompagnarle con gli strumenti necessari (…) Se decidi che serve un’industria della difesa competitiva devi anche scomputare gli investimenti nel settore dal calcolo del rapporto deficit/Pil. Se vuoi fare una transizione verde devi accompagnarla con un tempo e dei modi che non si traducano in desertificazione industriale. Se vuoi fare la transizione digitale, devi prevedere stanziamenti adeguati».Il Commissario per l’Italia:«Io non parto dal nome, ma dalla delega. Quando capiremo, come spero, quale sia il tipo di materia che potrebbe essere affidata all’Italia individueremo, insieme alla maggioranza, anche la persona a nostro avviso migliore. La nostra priorità sono le deleghe di carattere economico, industria, competitività, coesione, che ci consentano di aiutare l’Italia e l’Europa».
Chiusura (di buonsenso) sulle opposizioni: «Non ritengo di avere l’autorevolezza per poter dare consigli agli avversari, esattamente come io tendo a non considerare i consigli dei miei avversari. Devono fare quello che loro ritengono più giusto. Posso solo dire che ho sempre pensato che avere un nemico comune non sia la stessa cosa che avere idee comuni. Se lo fai puoi vincere ma, come si è visto, poi non riesci a governare».
Usciamo dalla lettura dell’intervista con un sentimento misto di comprensione e di dubbio.
Le motivazioni della Premier inducono alla comprensione perché le scelte politiche non possono mai essere bianche o nere, a maggior ragione in contesto più ampio come quello Europeo.
Il dubbio è legato invece al fatto che una scelta di vera rottura, e quindi di adesione al programma von der Leyen, avrebbe messo la Premier in una posizione di forza e in difficoltà i suoi oppositori, non solo quelli interni ma anche le “grandi famiglie europee” così riluttanti ad un accordo con le destre.
Alla presentazione della Commissione la prossima puntata.