Siamo talmente abituati a leggere l’attualità dal punto di vista delle critiche, che qualsiasi elogio rischia rapidamente di trasformarsi in apologia.
Così come siamo talmente circondati dall’esigenza compulsiva di commentare la qualunque in tempo reale, che “moriremo” sommersi di profezie invecchiate male.
La premessa metodologica serve ovviamente come introduzione al commento del fatto principale della settimana e delle sue conseguenze: la liberazione di Cecilia Sala.
Non parleremo del fatto in sé ma della gestione politica e comunicativa perfetta tenuta dalla Presidente del Consiglio.
Tutti, nessuno escluso, abbiamo la sensazione che sia stata lei a risolvere il caso, sebbene per esperienza decennale siamo consapevoli di quanti attori recitino il loro ruolo per arrivare al risultato: diplomazia, apparati di sicurezza, mediatori internazionali, altre Nazioni etc. etc.
Eppure, proprio il non essersi presa alcun merito diretto ha fatto sì che l’attenzione e i ringraziamenti sianoandati naturaliter verso di lei. Anche quelli di alcuni membri dell’opposizione più intelligente, elemento che ha fatto risultare stonata l’assenza di altri più restii a pronunciare un doveroso “grazie”.
Tale postura discreta è iniziata nel momento dell’accoglienza alla giornalista a Ciampino, nel quale giustamente è stato lasciato spazio al compagno e alla famiglia, per poi rispondere con un sornione “e figuriamoci” di fronte ai ripetuti ringraziamenti.
Un “figuriamoci” che trasuda consapevolezza per il dovere compiuto e mette in ombra qualsiasi velleità di autocompiacimento. Possiamo dire lo stesso per scene simili viste in passato?
Il tutto è proseguito nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, tenutasi lo scorso giovedì.
Al netto della evidente voglia di rivendicare i risultati raggiunti dal suo governo, soprattutto in materia di politica estera, economia e gestione dei flussi migratori, la Presidente del Consiglio ha fatto il possibile per evitare eccessi di hybris o di note polemiche.
Ringraziamenti per tutti per la soluzione del “caso Sala”, inclusi quelli per la dimissionaria Elisabetta Belloni, per la quale è stata ribadita stima e mantenimento di un rapporto personale.
Tale è stata la capacità di gestione delle domande che, a prevalere nel racconto della conferenza, sono stati gli aspetti legati al villain preferito dalla stampa italiana, ovvero il nostro amico Elon, oppure quelli folkloristici legati al calpestamento delle formiche o alla visione di una serie TV che sembra stare raggiungendo obiettivi opposti a quelli immaginati dall’autore del libro che ne è alla base (mai visti tanti bracci tesi sui muri delle città senza che nessuno evochi l'”apologia”).
Ora, detto questo, torniamo ad un concetto che ci è caro da anni: nella “Likecrazia” (copyright Daniele Capezzone), vince chi sbaglia meno.
Giorgia Meloni sbaglia poco, ma proprio poco poco.
E ci resta difficile immaginare che un’alternativa esterna o interna possa nascere con gli attuali stili tenuti dai suoi competitor.
La leader del principale partito del centrosinistra ha palesemente scelto la via del silenzio, lasciando campo libero al suo nuovo guru della comunicazione politica: Matteo Renzi (auguri per il suo 50° compleanno, by the way).
E nella maggioranza, non si può che fare una carezza al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, che nel mentre sogna di tornare al Viminale e twitta compulsivamente sulle vicende migratorie, anche stamattina si trova a maledire l’ennesima giornata di “disagi sulla rete ferroviaria”.
Che bella la stabilità.