Nel momento in cui scriviamo, l’indice FTSE MIB di Borsa Italiana cresce in una forbice tra l’1,3% e l’1,4%. Considerati i titoli catastrofisti che parlavano di “crollo” per un -1,5%, ci aspettiamo domani titoli trionfalistici al contrario. Ma non accadrà.
Il Ministro Giorgetti si conferma un politico di serietà estrema e con il suo messaggio sui “sacrifici” ha inteso mettere le mani avanti rispetto alla necessaria stabilità dei conti pubblici italiani. Di certo non avrà fatto piacere alle imprese, così come avrà suscitato i fastidi degli alleati di governo pronti alla lunga corsa della Legge di Bilancio, ma era necessario farlo.
Lo spiega bene Roberto Perotti, economista di certo non vicino all’attuale governo e già Consigliere di Mario Draghi, in un’intervista oggi su La Stampa: “Perotti, il ministro Giorgetti dice che è venuta l’ora dei sacrifici. Perché? «Con la firma del nuovo patto di Stabilità alcuni hanno accusato Meloni di non avere difeso gli interessi nazionali. La verità è che non c’era molto da fare. Era evidente che dopo la follia della pandemia i Paesi nordici avrebbero imposto la linea del rigore, e non solo all’Italia» Perché follia? «Fra il 2020 e il 2021 abbiamo preso impegni di spesa per quattrocento miliardi di euro, tra gestione dell’emergenza Covid, Recovery Plan e Superbonus. Il risultato è che ora non riusciamo a trovare nemmeno cinque miliardi per la spesa sanitaria».
Altrettanto bene, il Prof. Marco Fortis spiega sul Sole 24 Ore perché la considerazione che i ratings internazionali danno all’Italia sia eccessivamente bassa rispetto ai suoi fondamentali economici. Ma, per l’appunto, per raggiungere l’obiettivo di migliorare i giudizi internazionali bisogna agire concretamente riducendo il debito pubblico e mantenendo una linea di serietà (non severità, né tanto meno austerità), Legge di Bilancio dopo Legge di Bilancio.
Scrive Fortis, prendendo spunto da un discorso del Presidente Mattarella: “l’Italia paga oggi troppi interessi sul debito rispetto al suo reale livello di sostenibilità. Ciò anche perché i vigenti parametri prevalenti per “misurare” la vulnerabilità dei debiti pubblici non sono in grado di rilevare i progressi dell’Italia sul sentiero della stabilità finanziaria e perché «molta strada rimane da fare per dare razionalità a un mercato dei titoli pubblici che trascura temi come il rapporto debito pubblico/ricchezza finanziaria netta delle famiglie». L’Italia deve fare perciò molto di più per comunicare il reale stato di salute del suo debito pubblico, che è assai più sostenibile di quanto non traspaia dal semplice rapporto debito/Pil. Altrimenti corre il rischio di pagare indefinitamente una mole di interessi eccessiva. E di queste incongruenze il nostro Paese deve convincere anche e prima di tutto Bruxelles, perché, secondo Mattarella «una dimensione europea potrebbe restituire verità».
Torna la dimensione europea, quella senza cui non si aggiusta la sostanza e nemmeno la forma.
Dice sempre Fortis, nume tutelare dell’ottimismo economico italico: “le agenzie di rating e i mercati sembrano non considerare in alcun modo numerosi indicatori di stabilità che permetterebbero di esprimere un giudizio più obiettivo sul nostro debito. Tra tali indici, oltre alla sequenza impressionante di avanzi statali primari italiani degli ultimi tre decenni citati dal Presidente Mattarella (un tratto che rende l’Italia più simile ai Paesi “frugali” del Nord Europa che allo stereotipo di un Paese mediterraneo di “spendaccioni”), citiamo: la posizione finanziaria netta sull’estero, che ha oggi uno stock di crediti verso il mondo di oltre 150 miliardi di euro; la bassa quota di debito pubblico in mani estere; un rapporto debito/Pil praticamente invariato rispetto ai livelli precedenti la pandemia; e l’elevata ricchezza finanziaria netta delle famiglie, che permette al nostro Paese di autofinanziare una larga parte del suo debito pubblico, sia mediante acquisti diretti di titoli sovrani da parte delle famiglie sia attraverso gli acquisti indiretti di banche, fondi e assicurazioni”.
Dati inoppugnabili che necessiterebbero anche di una comunicazione a supporto. Iniziasse la maggioranza a non dividersi su un tema così rilevante; provasse a farlo anche l’opposizione, che per anni ha invocato l’austerità dei tecnici, per poi non riconoscerla se a metterla in pratica è un governo di centrodestra sempre più “eurocentrico”.
Chiosa finale tratta sempre dal Prof. Fortis, che giustamente ci tiene a sottolineare quanto l’Italia abbia da imparare da chi, come la Francia, “con un debito/Pil del 110,6% e un debito pubblico in mani estere di 1.567 miliardi di euro (quasi doppio di quello italiano), riesce ancora a farsi attribuire da S&P’s, Moody’s e Fitch dei rating di tipo High grade mentre l’Italia è giudicata impietosamente con un debito sovrano Lower medium grade.”. Chapeau!