Tutti contro uno, ma stavolta ha vinto l'”uno”, fu il nostro commento 8 anni fa in occasione della prima vittoria di Donald Trump.
E’ un commento che non è invecchiato male, se pensiamo alla mole di opinioni contrarie che anche stavolta hanno accompagnato la sua corsa. I principali giornali americani e occidentali avevano esplicitamente endorsato Kamala Harris, con l’eccezione di pochi tra cui il Washington Post di Jeff Bezos (da leggere la sua lettera con le motivazioni).
I principali leader europei non avevano mancato di evidenziare il timore per un ritorno dell’ex Presidente, anche in questo caso con poche eccezioni come quella della Presidente Meloni.
Eppure, anche stavolta Trump ha vinto, anzi, ha stravinto. Secondo Presidente a riuscirci dopo aver perso al termine del 1° mandato: prima di lui solo Grover Cleveland nel 1885 e 1893.
Giusto 2 dati immediatamente comprensibili: vittoria in tutti e 7 i cd. swing states (quelli decisivi per la vittoria) e successo schiacciante in quanto a voto popolare, con circa 4,8 mln di voti di vantaggio rispetto all’avversaria.
Sulle motivazioni della vittoria sono stati ovviamente scritti fiumi di parole e ipotesi, oscillanti tra quelle originali di chi prova ad andare oltre il sentito dire e quelle meno originali di chi insiste a fare il cut & paste del New York Times.
Eviteremo di aggiungere le nostre, ma ci limitiamo a registrare un paio di elementi.
Semplificando: Trump ha fatto Trump.
Ha confermato praticamente gli stessi voti del 2020, quando aveva perso, anzi ne ha presi circa 1 mln in meno.
Ha mantenuto la sua narrativa aggressiva e incurante di qualsiasi confine verbale.
Ha fatto se stesso, con l’aggiunta di un elemento nuovo come Elon Musk (“a star is born, Elon!”, “that’s why I love you Elon!” “super genius”).
Lo stesso Musk che probabilmente è stato decisivo per la vittoria di Trump grazie al suo social network X, grazie al peso delle sue relazioni e del suo denaro, grazie al suo impegno personale che purtroppo non potrà mai essere canalizzato verso se stesso, essendo la sua nascita fuori dagli Stati Uniti l’unico elemento di questo mondo che non potrà cambiare, nemmeno con i viaggi interstellari.
Ma dall’altra parte? Cosa resta della candidatura di Kamala Harris e della Presidenza Biden?
Resta forse la certezza di essere i “buoni”, ormai confinata ad un auto-convinzione che riduce i suoi cerchi concentrici elezione dopo elezione.
Ma questa certezza non basterà, negli Stati Uniti come nel resto del mondo. La vittoria di Trump, così come tanti altri risultati elettorali che abbiamo commentato negli ultimi anni, serve a ricordarci che la dicotomia “buoni vs. cattivi” non basta più.
Ci sia perdonato il “populismo” insito in quanto diciamo ma, da anni, ci viene ripetuto che l’elettorato è spaventato, che “vota male” perché sceglie più in base alle paure del presente che alle visioni del futuro.
Bene, sarebbe allora il caso di fare i conti con il fatto che l’elettorato ha dimostrato di avere una paura in cima a tutte le altre: quella verso i “buoni” e i “giusti”.
PS: Elon, in America hai stravinto, ma quello che ti abbiamo scritto sull’Italia vale ancora eh… vedi tu se provare a cambiare qualcosa dall’alto della Casa Bianca.