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Il wrestling e le relazioni internazionali

01
Marzo 2025
Di Redazione

Inizia a diventare complicato pianificare la scrittura dei nostri Report. Durante la settimana ti fai delle idee, ti riprometti di non parlare sempre delle stesse cose, speri di poter scrivere di momenti significativi legati alla politica italiana. 

Poi, arrivi al momento clou e non puoi non concentrare l’attenzione su quanto succede negli Stati Uniti. 

A meno che non vogliate dedicare i vostri preziosi neuroni all’elevatissimo dibattito che ha accompagnato la fallita mozione di sfiducia alla Min. Santanché, sintetizzabile nel balletto linguistico tra “difesa delle borsette” (copyright della Ministra) e “difesa dalle bollette” (copyright di Elly Schlein), è agli Stati Uniti che bisogna guardare. 

Quanto avvenuto ieri sera in diretta mondiale alza ulteriormente l’asticella del nuovo paradigma di comunicazione inaugurato dalla 2a Presidenza Trump. 

Finora erano stati i contenuti social ad attirare le nostre attenzioni: i post sulla semisconosciuta piattaforma Truth, poi rilanciati su X del fidato Musk; oppure i distopici video prodotti con l’Intelligenza artificiale (anche di scarsa qualità, a dire il vero) che ci fanno “sognare” la futura Gaza-a-Lago. 

Tuttavia, alla visione di tutto questo, superata la prima reazione mista di sorpresa ed imbarazzo, la razionalità ci aveva portato a dire: ok il video e belli i post, ma poi davvero non ci crede nemmeno lui a tutto questo. 

Purtroppo, da ieri, la nostra razionalità di marca ancestralmente europea ha avuto un ulteriore colpo. 

Quanto prima era riservato ai post e ai comizi si è spostato in una discussione a porte aperte e davanti alle telecamere di tutto il mondo. 

Già c’erano state delle avvisaglie in occasione delle prime visite alla Casa Bianca, quelle di Macron e Starmer. Il 1°, più focoso, ha reagito di fronte alle provocazioni facendo pesare la sua straordinaria competenza e anche la sua notoria arroganza, uscendone tutto sommato bene; il 2°, molto più serafico, ha tenuto botta senza perdere il suo aplomb british, confermando in qualche maniera la special relationship USA – UK, uscendone tutto sommato vivo. 

Ieri il povero Zelensky si è trovato in un incontro di wrestling, nemmeno di pugilato. 

Nel pugilato le botte sono reali, c’è uno più forte e uno meno ma, se quello debole è bravo, può anche uscirne vincitore con un pugno ben assestato. E’ un combattimento sincero, uno contro uno, e chi sta all’angolo resta al suo posto senza spostare gli equilibri. 

Nel wrestling è diverso, perché prima delle botte viene la messa in scena: non esiste un ordine precostituito da rispettare e le intromissioni dall’esterno sono connaturate allo spettacolo, come Donald Trump sa perfettamente avendone calcato i ring ai tempi televisivi della sua carriera. 

Ecco, ieri abbiamo assistito ad un incontro di wrestling in cui il Presidente Ucraino pensava di trovarsi contro un solo avversario, il suo omologo statunitense, fino a quando all’improvviso da sotto il ring è spuntato fuori il Vicepresidente JD Vance, il villain della sceneggiatura, intervenuto a “difesa del più forte” per indebolire ancora di più chi già come più debole era arrivato. 

Al netto delle conseguenze politiche di quanto successo, che ci saranno ma che probabilmente saranno meno radicali di quanto l’esito dello scontro lasci presagire, è l’aspetto cinematografico di quanto accaduto che ci ha colpito. 

Scenografia e sceneggiatura erano già stabilite, e se un vero errore si può imputare a Zelensky è stato quello di non aver avuto la capacità di comprenderlo in anticipo provando a spostare il setting di tutto questo. 

Cari leader globali, pensateci bene prima di andare in visita alla Casa Bianca, perché le regole cui siete abituati a giocare sui palcoscenici delle relazioni internazionali sono cambiate. Ora gli Stati Uniti giocano uno sport per cui non potete essere allenati perché, semplicemente, non è sport, è spettacolo. 

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