Salute
World No Tobacco Day, parla Fabio Beatrice: «Dati negativi, si insista sulla prevenzione»
Di Alessandro Caruso
Il World No Tobacco Day è sempre l’occasione per riflettere su come ridurre l’incidenza del fumo. Soprattutto nella ricorrenza di quest’anno, accompagnata da dati poco confortanti. L’Istituto Superiore di Sanità, infatti, ha riscontrato un aumento di quasi un milione di fumatori dal 2020 al 2021, in parte ascrivibile anche al cambio di abitudini degli italiani a causa della pandemia. Sul da farsi la comunità scientifica è divisa, ma Fabio Beatrice, primario emerito di Otorinolaringoiatria presso l’ASL Città di Torino, nonché direttore scientifico dell’osservatorio Mohre, ha le idee chiare: bisogna insistere, tra le altre cose, sulla prevenzione e «con il fumo elettronico si può realmente esercitare una forma di prevenzione parziale come aiuto ricevibile alla moltitudine di persone che non riescono a smettere di fumare».
Oggi è il World No Tobacco Day. A oltre 30 anni dalla sua istituzione nel 1988 dall’OMS, qual è la situazione in Italia? È diminuito il numero di fumatori?
«In base ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità la pandemia ha significativamente cambiato le abitudini degli italiani rispetto al fumo: dopo una riduzione ad aprile 2020 rispetto a gennaio 2020 (pre lockdown) c’è stato un aumento dei fumatori a maggio 2021, con una prevalenza del 26,2 (circa 11,3 milioni) rispetto anche a novembre 2020 (24%). Insomma un aumento pari a quasi un milione di fumatori in più. Non diminuisce neanche il numero di giovani consumatori: 1 ragazzo su tre tra i 14 e i 17 anni ha già avuto un contatto con il fumo. Nel fenomeno dell’arruolamento al fumo dei giovani emerge chiaramente che le leggi per il divieto ci sono ma non vengono fatte rispettare».
Quando si parla di fumo il pensiero va sempre alle patologie tristemente note. Sono stati riscontrati dalla ricerca scientifica dei legami tra fumo e malattie non precedentemente noti a sufficienza?
«La mortalità tra i fumatori è certamente associata ad almeno 21 malattie, tra cui le più note sono il cancro polmonare, arteriopatie, l’infarto, le patologie respiratorie croniche tipo BPCO e l’ictus. A queste andrebbero aggiunte l’accresciuto rischio d’infezioni, l’insufficienza renale, l’ischemia intestinale e una serie di danni all’apparato respiratorio e cardiocircolatorio finora non catalogati. Ci sono evidenze di un’associazione del fumo anche per i tumori del seno e della prostata, per i quali necessitano però maggiori conferme. Queste indicazioni sono suggerite dall’epidemiologo Brian D. Carter dell’American Cancer Society il quale in collaborazione con quattro università americane ed il National Cancer Institute ha esaminato i risultati di cinque studi che hanno coinvolto oltre 421mila uomini e 532mila donne con età superiore a 55 anni, seguiti dal 2000 al 2011. È bene precisare che tutte queste patologie sono dovute alla tossicità dei prodotti della combustione tabagica».
Dalle rilevazioni di molteplici centri di ricerca, risulta che la stragrande maggioranza dei fumatori (il 91% secondo l’Eurispes) non sia in grado o non voglia neanche provare a smettere di fumare in tempi brevi. Le politiche sanitarie applicate finora hanno fallito?
«Purtroppo è noto che la frequentazione dei centri antifumo da parte dei fumatori è assai scarsa. L’Italia non fa eccezione a questa triste regola. Sui circa 11 milioni di fumatori si stima che ogni anno meno di diecimila siano ricorsi all’aiuto dei centri antifumo. La cosa stupisce dal momento che su tutti i pacchetti di sigarette è indicato il numero verde dell’Istituto Superiore di Sanità al quale si può gratuitamente ricorrere per avere indicazioni. Peraltro a livello di comunità europea si viaggia in ordine sparso poiché l’organizzazione per combattere il tabagismo è molto diversa tra i vari paesi: una minoranza è dotata di centri antifumo capillarmente distribuiti come l’Italia. Molti si avvalgono di siti per la comunicazione istituzionale come la Spagna o semplicemente di percorsi suggeriti nell’ambito di stipule assicurative. Di fatto la maggioranza dei tentativi di cessazione è autogestita dai fumatori ed è destinata al fallimento quasi sempre. È a mio avviso necessario che l’attività dei centri antifumo vada riesaminata con trasparenza in modo da rendere più efficace l’azione dei molti professionisti che quotidianamente si impegnano ad aiutare le persone che vogliono smettere di fumare. È necessario anche comprendere come rendere più attrattivi i centri antifumo e mettere la prevenzione al centro degli obiettivi delle aziende sanitarie locali. La prevenzione non è spettacolare come un grande intervento chirurgico ( e lo affermo da chirurgo ) ma non è meno efficace nel salvare la vita a moltissime persone».
Anche in un suo recente intervento ha dichiarato che la sigaretta elettronica, per quanto non innocua per la salute umana, è utile come strumento per la riduzione del rischio in tutti i fumatori che non riescono a smettere di fumare e nei processi di cessazione. Può spiegare il perché?
«Riflettendo sui numeri delle patologie, sulla mortalità dei fumatori ( circa 70 mila all’anno in Italia) e sulla percentuale elevata di fallimenti della cessazione pur seguendo le linee guida, è evidente che bisogna in qualche modo intervenire ulteriormente. Comprendo la prudenza nei confronti dei prodotti del fumo digitale che non sono sani (un fumo sano non potrà mai esistere) ma danno la possibilità al fumatore incallito di ridurre gran parte dei rischi legati alla combustione tabagica. In particolare la sigaretta elettronica non risolve la questione della dipendenza ma consente comunque un cambiamento al fumatore incallito esponendolo ad una riduzione molto importante dei prodotti della combustione. Insomma non vorrei che l’eccesso di prudenza si trasformi in stallo. Quando le persone si ammalano e muoiono bisogna agire».
A tal proposito, qual è lo stato dell’arte dal punto di vista della ricerca scientifica?
«Oramai abbiamo decine se non centinaia di studi assai convincenti che dimostrano una forte riduzione della tossicità da combustione della sigaretta elettronica (fino al 98% rispetto alla normale sigaretta ) ma anche prese di posizione istituzionali come quella della Gran Bretagna che nell’ottobre 2021 ha suggerito un uso medicale della sigaretta elettronica da parte dei medici di famiglia. Sono certo che la scienza nel tempo dimostrerà in maniera inconfutabile l’utilità della sigaretta elettronica nella popolazione dei fumatori resistenti alla cessazione. Per questo serve tempo perché bisognerà verificare l’incidenza di certe patologie come il cancro del polmone in popolazioni di fumatori elettronici puri. Purtroppo tutti questi hanno dietro alle spalle una storia di fumatori classici ed i fumatori elettronici puri non sono la maggioranza. Purtroppo i fumatori allo stato sono abbandonati alle pressioni commerciali ed hanno difficoltà ad incontrare esperti che comprendano l’importanza di dare risposte ricevibili ai loro problemi. Si rischia che il fumatore non veda l’esperto come un alleato ma come un inflessibile terapeuta».
Il dibattito sulla sigaretta elettronica è sempre molto ricco ma, talvolta, si registra un po’ di confusione con il rischio di cadere nella disinformazione. Come può migliorare la comunicazione scientifica in questo ambito così delicato per la salute?
«Questo è un punto davvero cruciale e MOHRE è molto attivo proprio su questo fronte. Si leggono troppo spesso sui quotidiani o sui periodici dati di lavori sperimentali in tema di fumo elettronico che non vengono espressi con chiarezza nel loro reale contenuto scientifico. Se un dato sperimentale è ricavato sul topo o su cellule in coltura e se le emissioni erogate sono irrealistiche (cosa che è successa) la strumentalizzazione spettacolare della notizia non aiuta nessuno. In particolare spinge i fumatori a cronicizzare il loro consumo tabagico combusto. Addirittura ci sono dati che dimostrano la forte riduzione di tossicità del fumo elettronico che vengono presentati esclusivamente come dati a sostegno della non innocuità della sigaretta elettronica. In medicina non sempre la guarigione è un traguardo perseguibile. È invece sempre possibile curare ed aiutare. La riduzione del rischio è una modalità concettuale ampiamente praticata in tante patologie ed auspico che anche nel tabagismo passi tra gli scienziati ed i clinici l’idea che con il fumo elettronico si possa realmente esercitare una forma di prevenzione parziale come aiuto ricevibile alla moltitudine di persone che non riescono a smettere di fumare. Oggi i fumatori appaiono alle corde chiusi tra la paura delle malattie e la stretta della dipendenza da nicotina. Per intervenire non dobbiamo confondere i piani clinici di intervento. Non si deve cadere nell’errore di confondere la dimensione della prevenzione dell’inizio con l’aiuto a chi è caduto nella dipendenza. Sono aree molto diverse che richiedono azioni e politiche differenti».