Salute
Sanità, col digitale medico e paziente disegnano la cura assieme
Di Giampiero Cinelli
(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto economico de Il Riformista)
I sistemi sanitari di molti Paesi avanzati fanno i conti con l’invecchiamento della popolazione e dunque con l’impatto delle cronicità. Le carenze di risorse e personale non aiutano, ma lo sviluppo tecnologico può perfezionare parecchio gli interventi, alleggerire costi, contribuendo alla prevenzione. Ridurre i rischi è quantomai necessario oggi. In tal senso le potenzialità della tecnologia digitale in ambito salute forse non è ancora comprese appieno. Ne abbiamo parlato con Federico Chinni, Componente di Giunta Farmindustria.
Dottor Chinni, quanto va veloce l’IA nel settore sanitario?
«Incide in tutta la catena del valore e nella ricerca e sviluppo. Oggi l’IA a livello globale nelle life science cuba 13 miliardi di dollari, sono oltre 64 le molecole create dall’intelligenza artificiale, +400% rispetto all’ultimo triennio per il miglioramento degli algoritmi e delle capacità di calcolo. E si registra un calo del 40% dei tempi di individuazione dei farmaci candidati, con l’80-90% di successo delle molecole, scelte con l’IA, nella Fase 1 degli studi clinici (in genere siamo sul 50-60%). Ricadute positive anche sulla parte amministrativa per i medici, nel caso si utilizzi un bot che raccolga le informazioni preliminari e semplifichi l’anamnesi. Un altro obiettivo a cui si guarda con interesse è l’approdo a farmaci mirati per il singolo individuo».
Allora viene da pensare all’IA negli studi decentralizzati
«Gli studi decentralizzati hanno avuto un’accelerazione durante la pandemia, oggi le aziende e le strutture ospedaliere li usano e li tengono molto in considerazione. Sostanzialmente si parla di studi che associano strumenti digitali e modalità più fisiche, per intenderci consegnando il farmaco a casa del paziente e telemonitorando i dati, quindi senza che ci si debba recare nelle strutture. Positivo inoltre per i costi e la sostenibilità. Ma il grande vantaggio è anche quello di poter selezionare meglio, a monte, i pazienti per gli studi, grazie al potenziamento dell’elaborazione dei dati. In un periodo in cui gli studi clinici sono difficoltosi da attivare, possiamo permettere anche a chi lavora di partecipare, arruolando i soggetti più adatti. Ad ogni modo rilevo che il governo ha migliorato la regolamentazione dei comitati etici che approvano gli studi».
Tecnologia e terapie digitali. Come siamo messi?
«Le terapie digitali garantiscono migliori risultati clinici. Perché lavorano sui comportamenti. Sono app, app web based e anche videogiochi. Possono aiutare in situazioni di cronicità. Oggi si usano principalmente nel campo delle neuroscienze, credo avranno molto spazio nell’oncologia e saranno assai utili nella raccolta dati, con risvolti nel monitoraggio dell’andamento delle malattie e nella personalizzazione. Va detto che per terapia digitale si intende esattamente un software per la salute destinato a trattare o alleviare una malattia, con generazione ed erogazione di un intervento medico positivo dimostrabile. Questa la definizione data della Digital Therapeutics Alliance».
Ci sono ad oggi le competenze digitali necessarie a questo cambiamento nella sanità?
«Io direi così: la trasformazione digitale riguarda le persone e non tecnologia. La formazione è fondamentale ma il tema è il co-disegno delle terapie e dei nuovi modelli di cura grazie all’interazione di tutti i soggetti coinvolti, da tenere a bordo fin dall’inizio. Sulle competenze c’è da lavorare, eppure va trovata la giusta narrativa. Dico ciò perché ad esempio in Germania le terapie digitali sono già rimborsabili ma l’utilizzo all’inizio è stato scarso: ci vuole un cambio di mentalità sia del medico sia del paziente. In Italia un intergruppo parlamentare guidato dall’Onorevole Loizzo sta lavorando in modo intenso e c’è una proposta di legge per l’accessibilità alle cure digitali discussa in parlamento».
