Salute
Se la richiesta di donare sangue è telefonica. Come stanare le bufale e come agire
Di Giampiero Cinelli
Sarà capitato a tanti, almeno una volta, di leggere sul proprio telefono o sui social appelli e invocazioni d’aiuto per qualche malato che avesse bisogno di una donazione di sangue. Spesso, poi, si tratta di un bambino. E come biasimare chi si è fatto prendere dalla compassione e ha magari inoltrato quel messaggio, se non addirittura attivandosi per prestare aiuto. Lungi da noi condannare comportamenti simili, ma è utile rendersi conto anche degli aspetti negativi di questi fenomeni anche se talvolta dietro quegli appelli può esserci effettivamente qualcosa di attendibile. Ma partiamo dai messaggi falsi.
Come riconoscere le bufale
Innanzitutto, fare caso se si tratti di una catena di Sant’Antonio, facilmente riconoscibile nello stile e per il fatto che il messaggio sia stato inoltrato molte volte. Poi, ci sono alcuni specifici elementi indicativi. Come ci spiega il Ministero della Salute in un’apposita pagina: “Spesso invitano a recarsi in un ospedale e a donare per una persona specifica, pratica per altro vietata per legge. Non esistono donazioni di sangue dedicate, salvo forse in alcuni casi limite e solo in presenza di pazienti che necessitano di trasfusioni di sangue di gruppi così rari da rendere necessaria spesso una ricerca internazionale di donatori. Altre volte le bufale fanno riferimento a malattie che per la cui terapia non è previsto l’utilizzo di trasfusioni. Ci sono casi in cui si fa riferimento a dei casi di cronaca, spesso lontani nel tempo. Nel qual caso basterà una semplice verifica sui siti online di informazione per verificare la falsità delle notizie riportate”.
Le compensazioni
“Inoltre – dice sempre il Ministero – il sistema in Italia è studiato in modo che, se una struttura si trovasse a corto di un particolare tipo di sangue, potrebbe chiederlo ad altre strutture tramite le cosiddette procedure di compensazione, che si attivano prima a livello regionale e poi interregionale”.
Quando l’SOS è vero
Non è escluso, tuttavia, che si verifichi un reale bisogno di fare appello alla popolazione. In tal caso, il messaggio non sarebbe ovviamente una catena di Sant’Antonio e verrebbe diramato dai Servizi trasfusionali o dalle associazioni di donatori, che contatterebbero i loro donatori abituali invitandoli a donare al più presto.
Un caso di cronaca. “Pro bono, malum”
Come abbiamo detto all’inizio, non per forza si tratta di fake news. Eppure, anche nel caso di casi reali, la mobilitazione scomposta può generare delle criticità. Lo si riscontra, ad esempio, in un fatto di cronaca dell’agosto 2017, avvenuto a Frosinone. Al centro della vicenda una donna gravemente malata, bisognosa di trasfusioni. Inizia a circolare su whatsapp un audio in cui si chiede di donare quanto prima. Il messaggio diventa virale e un folto gruppo di persone si presenta all’ospedale del capoluogo ciociaro per dare una mano. Progressivamente si capisce che la notizia non è falsa, però malauguratamente vengono diffuse le generalità della donna, e divulgare dati sensibili di persone affette da patologie è una pratica assolutamente vietata nel contesto della donazione di sangue. In seguito, si verrà a sapere anche che la copertura di sangue era ormai ampiamente raggiunta. Quindi le sacche in quel momento non necessarie rischiavano di deteriorarsi dopo 40 giorni. Pertanto sarebbe stato meglio donare nelle settimane successive, in previsione di un rinnovato bisogno.