Salute

Resistenza agli antibiotici, la via italiana per l’approccio one health

08
Giugno 2022
Di Giampiero Cinelli

In un momento in cui nuovi focolai di patogeni si diffondono in Europa, come quello del vaiolo delle scimmie (ad oggi 780 casi in 27 paesi rilevati dall’OMS, 523 casi in più rispetto alla settimana scorsa) e della peste suina, torna a imporsi un tema molto rilevante per la salute pubblica, quello della resistenza agli antibiotici. Il problema nel mondo è già noto. E sostanzialmente deriva da quattro fattori; l’aumentato uso di queste sostanze, anche improprio, sia in medicina umana che veterinaria; l’uso degli antibiotici in zootecnia e agricoltura; la diffusione di infezioni correlate all’assistenza da organismi antibiotico-resistenti (il 75% in Europa) e una maggiore diffusione dei ceppi resistenti dovuto a un aumento dei viaggi e degli spostamenti internazionali. Attualmente 1/3 delle infezioni è causato da microrganismi antibioticoresistenti e l’impatto è pari a quello di influenza, tubercolosi e HIV/AIDS messi insieme.

Il diffuso uso di antibiotici favorisce la proliferazione di ceppi resistenti e aumenta il tasso di infezioni e mortalità. Il fenomeno ha portato le istituzioni a creare sistemi di vigilanza sempre più specifici. Nel 2010 è nata la rete europea EARS-Net (European Antimicrobial Resisitance Surveillance Network) coordinata dall’ECDC. EARS-Net rappresenta un network di reti nazionali che raccoglie i dati di antibiotico-resistenza di 30 Paesi europei. A partire da maggio 2021, 109 Paesi e territori in tutto il mondo si sono iscritti a GLASS, la piattaforma di sorveglianza dell’OMS. In Italia nel novembre 2017 è nato Il Piano nazionale di contrasto all’antimicrobico-resistenza (PNCAR) con un’intesa tra Stato e Regioni e la supervisione dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità). Lo scopo è l’approccio One Health, ovvero una filosofia sanitaria che considera la salute umana interconnessa con quella animale e ambientale. Le tre direttrici sono: la prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza, promuovere l’uso prudente degli antibiotici, ridurre la diffusione e l’incidenza dell’antibiotico-resistenza. Il PNCAR, aggiornato nel 2019, era stato prorogato fino al 2021. Da marzo 2022 è disponibile il nuovo protocollo di sorveglianza AR-ISS. Un provvedimento che segue le indicazioni e le esigenze del Piano nazionale di contrasto dell’antimicrobico-resistenza (PNCAR) e ricalca quelle proposte dalla sorveglianza europea.

Qualche dato

Il numero dei laboratori che aderiscono alla sorveglianza AR-ISS è passato da circa 50 negli anni passati a 98 per il 2018 e 130 nel 2019. Nel 2020 alla sorveglianza AR-ISS hanno partecipato 153 laboratori distribuiti in 20 Regioni e Province Autonome (la Sardegna per l’anno 2020 non ha partecipato alla sorveglianza). La copertura sulla sorveglianza del territorio nazionale si attesta su un complessivo 47,3%. Gli ultimi dati epidemiologici disponibili risalgono al 2020. Sono stati isolati in totale 57.412 patogeni. Le percentuali di resistenza alle principali classi di antibiotici per gli 8 patogeni sotto sorveglianza si mantengono elevate anche se in qualche caso sono in diminuzione rispetto agli anni precedenti. L’Italia centrale è l’area con maggiore incidenza di casi segnalati, i soggetti maggiormente coinvolti sono maschi, in una fascia di età compresa tra 60 e 79 anni, ospedalizzati e ricoverati nei reparti di terapia intensiva.
Le infezioni correlate all’assistenza colpiscono ogni anno circa 284.100 pazienti causando circa 4.500-7.000 decessi. Si stima che investire solo 1,5 euro pro capite all’anno per affrontare la resistenza antimicrobica consente di evitare 27.000 morti e risparmiare fino a 1,4 miliardi di euro ogni anno nei Paesi UE. Ora il piano d’azione dovrà tenere conto della concomitanza del Coronavirus, la cui terapia è associata anche agli antibiotici, mirando a contrastare la potenziale farmaco-resistenza dei malati e le infezioni legate al ricovero ospedaliero. Al contempo, va evitata la tendenza al sottoutilizzo degli antibiotici quando necessari, dovuto a una minore assistenza nelle fasi più acute di diffusione del Covid.

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