Salute
Infarto, la stimolazione di una proteina cerebrale aiuta il recupero
Di Giampiero Cinelli
Cuore e cervello non sono poi tanto distinti come nel senso comune. Una ricerca da poco divulgata dell’Università di Padova, nell’ambito di un progetto internazionale, ha evidenziato il ruolo del Bdnf , una proteina coinvolta nello sviluppo e nel funzionamento delle cellule neuronali, anche in rapporto alla contrazione e il rilascio del muscolo cardiaco. Gli scienziati hanno dunque capito che la stimolazione del Bdnf è utile nel recupero dopo un infarto e nel benessere circolatorio.
La quantità di Bdnf è infatti molto alta, si è osservato, nelle fasi successive a un arresto cardiaco, per poi calare progressivamente. Questa proteina è presente a livello del miocardio attraverso i recettori TrkB. Rimuovendoli, si è visto un rallentamento dell’attività cardiaca. «Meno chiaro, però – hanno rilevato gli studiosi – è il ruolo svolto dal Bdnf/TrkB nel contesto dell’infarto del miocardio, ovvero della disfunzione del ventricolo sinistro dopo un arresto di flusso in una delle arterie che fanno arrivare sangue alle cellule cardiache».
In alcune cellule del cervello, il Bdnf è prodotto attraverso la stimolazione di alcune strutture presenti sulla membrana dei neuroni, i cosiddetti recettori β-adrenergici (βAR). Questi recettori sono fondamentali per la funzione cardiaca. Infatti, vengono stimolati per far aumentare il lavoro fatto dal cuore tutte volte che ci siano condizioni di stress, sia “fisiologico”, come l’esercizio fisico, sia patologico, come, ad esempio, durante ipertensione arteriosa o altre malattie cardiovascolari. In genere, quando una malattia cardiaca è ormai pienamente manifesta il numero o la funzionalità dei βAR recettori cala drammaticamente.
Sulla base di tali evidenze, i ricercatori si sono chiesti se la stimolazione dei βAR recettori fosse responsabile della produzione di Bdnf da parte delle cellule che compongono il muscolo cardiaco, spiegando così la scarsa produzione di questa proteina nel cuore infartuato che ha perso forza di contrazione. Ad oggi i farmaci a disposizione sono in grado di alleviare molto bene le patologie e i danni cardiaci, anche se la molto diffusa insufficienza cardiaca è ancora difficile da prevenire per chi è predisposto geneticamente. Ci si chiede se, anche alla luce di questo studio, si arriverà a trovare strumenti sanitari che vadano nella direzione di un rafforzamento della funzionalità cardiaca.