Salute
Hikikomori, primo grande studio del Cnr. I numeri, il quadro e le critiche
Di Giampiero Cinelli
Sono ragazzi. Prevalentemente in età studentesca. Stanno chiusi nelle loro case e non escono quasi mai, se non per le strette necessità e gli impegni inderogabili. Molto spesso lasciano la scuola. Non curano relazioni sociali esterne alla loro abitazione, ma possono averne tramite il web o il telefono. Non fanno piani sul futuro, non hanno aspirazioni precise e obiettivi professionali. Talvolta però possono svolgere occupazioni digitali. In genere hanno scarsa fiducia in loro stessi e tendono a evitare situazioni disagianti. Serbando una visione pessimistica della vita. Ma il loro grado di funzionamento, dentro casa, resta tutto sommato buono, così come il nutrimento dei loro interessi. Non vengono quindi diagnosticati come depressi, ma sono inquadrati con un nome di derivazione giapponese: “Hikikomori“. Che vuol dire “ritirati sociali”. Il nome è orientale perché lì il fenomeno è massiccio, coinvolgendo solo individui delle società industriali avanzate e di ceto medio-alto. I ritirati sociali volontari giovanili, in Italia, secondo un vasto studio appena pubblicato dall’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr (Cnr-Ifc), si contano in 54.000. Lo studio analizza dati risalenti al periodo 2020-2021 e ha coinvolto 12.000 giovani. Il 2,1% di essi si è attribuito la definizione di Hikkikomori, ma se estendiamo il dato alla popolazione studentesca di età compresa tra i 15 e i 19 anni, otteniamo la stima appena detta.
I segnali da tenere d’occhio
Il 18,7% degli intervistati afferma di non essere uscito per un tempo significativo, escludendo i periodi di lockdown, e di questi l’8,2% non è uscito per un tempo da 1 a 6 mesi e oltre. Quella che supera i 6 mesi è la fascia in cui si collocano i casi più gravi, sia quelli a maggiore rischio (da 3 a 6 mesi). Circa l’1,7% degli studenti totali (44.000 ragazzi a livello nazionale) si possono definire Hikikomori, mentre il 2,6% (67.000 giovani) sarebbero a rischio grave di diventarlo. A livello di genere, sembra che i maschi siano quelli con i sintomi maggiori e che ne soffrano di più (circa il doppio delle donne secondo altri studi). Loro si ritirano nel gaming (l’utilizzo compulsivo di videogiochi). Mentre le donne tendono ad aumentare le ore di sonno, a leggere e a guardare serie tv. Il fattore critico, è poi la difficoltà delle famiglie ad intervenire. Uno su quattro degli intervistati ha dichiarato che la sua famiglia pare aver accettato la situazione o non l’abbia problematizzata.
Cosa non convince dello studio
La più diffusa e importante Associazione che si occupa del fenomeno – Hikikomori Italia, fondata dallo psicologo molto noto sul web Marco Crepaldi – ha apprezzato la realizzazione del primo grande studio a tema, manifestando il proprio interesse per i dati emersi. Ma al contempo ha evidenziato anche degli elementi suscettibili di critica. Innanzitutto, si può ipotizzare che lo studio abbia sovrapposto il concetto di dispersione scolastica con quello di isolamento sociale. Non sempre infatti chi rifiuta di continuare la scuola diventa un Hikikomori e, come fa notare l’Associazione, sebbene l’abbandono scolastico sia ben più alto al sud, le maggiori richieste che i suoi operatori ricevono sono nelle regioni del nord.
Inoltre, secondo lo studio, un isolamento significativo può essere riscontrato anche in un periodo di una settimana o meno. A tal proposito si è rilevato che per un adolescente è assolutamente normale non uscire con gli amici per una settimana o meno. E ciò non deve allarmare se i ragazzi continuano comunque a mantenere contatti telefonici o telematici con amici e parenti, cosa che il 78,7% di chi ha dichiarato di essersi isolato ha fatto.
Secondo Hikikomori Italia non è oculato mettere nello stesso studio sia chi ha avuto brevi periodi di isolamento con chi ne ha avuti di maggiori ed oltre i sei mesi, che è la tempistica secondo cui il governo giapponese ha identificato la condizione di Hikikomori. Per altro, ha notato ancora l’Associazione, non sono ben chiari i motivi dell’isolamento. Ciò è fondamentale perché non tutti i motivi sono validi per essere definiti Hikikomori, anzi ci vogliono delle cause specifiche, come ad esempio il bullismo su cui lo studio indaga non abbastanza secondo Crepaldi. Infine, il questionario è stato sottoposto, oltre che ai dirigenti scolastici e agli insegnanti, a tutti giovani che non hanno ancora abbandonato la scuola. Chi non sta più a scuola, ovviamente, non può autovalutarsi rispondendo alle domande e potrebbe essere riduttivo fidarsi di un’autovalutazione. Insomma i numeri effettivi potrebbero essere anche più alti e le caratteristiche del fenomeno più complesse e amareggianti.