Salute

Dalla psichedelica la nuova frontiera di antidepressivi

10
Maggio 2022
Di Giampiero Cinelli

La cura della depressione potrebbe essere vicina a un’importante svolta. E la chiave non proviene dagli antidepressivi, ma da sostanze oggi bandite. Da qualche anno i ricercatori hanno deciso di rimuovere i preconcetti su famose sostanze psichedeliche come la psilocibina (contenuta nei funghi allucinogeni), la chetamina, l’mdma e l’Lsd, chiedendosi se le caratteristiche di questi composti, qualora resi sicuri grazie alle conoscenze sanitarie e utilizzando microdosaggi, fossero in grado di agire sulle forme di psicopatologia più gravi. La risposta sembra promettente. E si spiega proprio in ragione di quale esperienza emozionale viene cercata da chi assume queste attuali droghe.

Droghe sempre rievocanti l’immaginario hippy, i quali appunto le utilizzavano per creare una fuga dagli schemi rigidi della società, per provare connessione e forti emozioni positive in comunanza con il prossimo. C’era però l’effetto collaterale pericoloso delle intense allucinazioni e la neurotossicità. Allo stesso tempo i depressi si caratterizzano per il venire risucchiati in pensieri fissi, stati mentali oppressivi ed sensazioni sempre negative. Gli allucinogeni, come si sta vedendo dalle indagini, sarebbero invece in grado di aumentare le connessioni cerebrali in questi soggetti, renderli meno ossessivi e ansiosi, rafforzando sentimenti di gioia e affetto. Dunque forse hanno anche maggiore efficacia degli attuali antidepressivi, perché non si limitano a smorzare i sintomi ma ridisegnano le coordinate cognitive dei pazienti. Migliorando anche le loro performance in varie situazioni di vita. Grande ottimismo anche dal punto di vista degli effetti collaterali. Forse più lievi.

I RISULTATI DI LONDRA CON LA PSILOCIBINA

La sperimentazione sugli individui è partita e per adesso è la psilocibina la sostanza di cui abbiamo più notizie. Un recente studio del Centre for Psychedelic Reaserch dell’Imperial College di Londra, pubblicato su Nature, ha mostrato gli effetti positivi di questa molecola sulle depressioni gravi e farmaco-resistenti. Ma le ragioni sono ancora poco chiare. I trials sono stati due. Nel primo è stata somministrata la sostanza a dei partecipanti consapevoli (10 mg e poi 25 mg una settimana dopo). Effettuando una risonanza magnetica all’inizio e un’altra il giorno dopo l’aumento a 25 mg. Nel secondo Trial, in doppio cieco randomizzato, gli studiosi hanno comparato i trattamenti con psilocibina, un placebo e l’escitolapram, un antidepressivo a base di serotonina. Le risonanze magnetiche hanno evidenziato una migliore risposta alla psilocibina e un mutamento nel modello dei circuiti cerebrali. Come accennato sopra, tutto fa pensare che l’effetto disgregativo a livello neuronale delle sostanze stupefacenti contenenti psichedelici, possa costituire una nuova strada terapeutica se tale capacità viene controllata e gestita a fini medici. Riuscendo ad agire sulle classiche strutture poco dinamiche di chi soffre di patologie psichiche. La ricerca andrà avanti e non risente di detrattori. L’interesse delle aziende farmaceutiche resta alto. I trattamenti finora conosciuti vanno infatti migliorati, visto il deciso tasso di non risposta ai farmaci o di ricaduta.