Oltre una donna su 10 in età produttiva in Italia è affetta da endometriosi.
La percentuale varia tra il 10 e il 15%. E sale a un preoccupante 30-50% delle donne infertili o che hanno difficoltà a concepire.
Il picco è registrato tra i 25 e i 35 anni, ma non esclude le fasce d'età più giovani. Purtroppo alla diagnosi spesso si arriva dopo un percorso lungo e dispendioso, il più delle volte vissuto con gravi ripercussioni psicologiche per la donna.
C’è ancora tanto da fare per le cure mediche, la ricerca, i diritti delle donne che soffrono di endometriosi, malattia cronica e invalidante che ne colpisce circa 3 milioni solo in Italia e che lo Stato riconosce come tale solo negli stadi avanzati.
I provvedimenti messi in campo dal Governo non sono sufficienti a sostenere le donne. Come evidenziato da A.P.E. Associazione Progetto Endometriosi, formata da pazienti volontarie che da oltre 15 anni lavorano per creare consapevolezza sulla patologia, le donne non hanno diritto ad esenzioni che possano permettere loro di affrontare tempestivamente e con efficacia la malattia, per la quale la diagnosi precoce è fondamentale; spesso non trovano centri medici e specialisti che sappiano riconoscere ed intervenire su tale patologia, dovendo rivolgersi a studi ed ambulatori privati a volte molto distanti a livello geografico; perdono il lavoro perché l’endometriosi non è riconosciuta come malattia grave e dunque non viene concesso loro di assentarsi quando stanno male. Una situazione peggiorata con il Covid, che ha incentivato la chiusura di ambulatori specializzati, ha aumentato le liste di attesa per visite ed interventi, ha reso le cure più costose, anche a causa della mancata esenzione dai medicinali, terapie e altre prestazioni multidisciplinari non garantite dal sistema sanitario nazionale.
Tale situazione è stata oggetto di un’interrogazione parlamentare in Senato, pubblicata il 18 novembre 2020, promossa dalla senatrice Paola Boldrini, alla quale nei giorni scorsi ha risposto il sottosegretario per la salute Pierpaolo Sileri. Nell’interrogazione, la senatrice chiedeva lumi sulla diagnosi e cura dell’endometriosi, per conoscere i criteri e le modalità individuate per la ripartizione delle risorse, per l’attività di monitoraggio delle attività messe in atto dai centri di riferimento e per svolgere attività di prevenzione, diagnosi precoce e cura della malattia. Sileri ha evidenziato di aver autorizzato una spesa di 2 milioni di euro per il 2020 e altri 2 milioni per il 2021 del Ministero della Salute per gli istituti di ricerca e per percorsi formativi e informativi per la diagnosi e il trattamento dell’endometriosi dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, di aver previsto altri 3 milioni di euro per un bando di ricerca nazionale. Il sottosegretario alla salute ha ricordato le campagne di sensibilizzazione messe in campo nel 2012 e “Per gli aspetti riferiti all’assistenza sanitaria” ha precisato che “allo stato attuale le pazienti affette da endometriosi possono usufruire di tutte le prestazioni di cura comprese nei livelli essenziali di assistenza”. Tali provvedimenti – ne sono convinte le donne di A.P.E. che convivono tutti i giorni con la malattia e ne conoscono tutti gli aspetti – non bastano.
«Solo alcune prestazioni per l’endometriosi al terzo e quarto stadio della malattia (i casi più gravi) sono state inserita nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) – precisa Jessica Fiorini, vicepresidente di A.P.E. -, i ginecologi specializzati sono pochi, per gran parte dei farmaci non ci sono esenzioni. Come Associazione che si occupa da molti anni di endometriosi e che è formata da tante donne in tutta Italia con un grande bagaglio di esperienze in materia, abbiamo chiesto di essere coinvolte nella ricerca di provvedimenti adeguati ad affrontare tale patologia. Dopo più di 15 anni siamo sempre allo stesso punto. Continuiamo come Associazione a svolgere campagne di sensibilizzazione e di informazione, importantissime per far conoscere l’endometriosi e per ottenere una diagnosi il prima possibile. Continuiamo a fare attività nelle scuole, per rendere consapevoli le adolescenti. Viviamo esperienze sulla nostra pelle. Siamo a contatto con specialisti e centri specializzati, per dare consigli ed aiuti concreti alle donne, anche se molti stanno chiudendo». La richiesta di A.P.E. è di ottenere un maggiore coinvolgimento nei luoghi istituzionali per rendere note le problematiche vissute dalle donne. «Manca la formazione e l’informazione – aggiunge Jessica Fiorini – e sono pochi i centri di riferimento per l’endometriosi, le esenzioni per i farmaci sono minime, le donne hanno bisogno e il diritto di essere tutelate, a livello sanitario e nei luoghi di lavoro: non si può richiedere l’invalidità, non c’è una tabella dell’INPS che consideri tale patologia. C’è bisogno di occuparsi di queste donne in modo serio e concreto. Come A.P.E. nel nostro piccolo vogliamo fare tutto il possibile per le donne affette da endometriosi, ma vogliamo anche fare in modo che le istituzioni si impegnino di più a diffondere informazione e anche ad agire tutelando tutte le donne che ne soffrono».
Redazione