Politica

Voti, accordi e disaccordi

18
Febbraio 2023
Di Alessandro Caruso

Sarà stato anche “contro” o per “moda”, come scrive Carlo Calenda nella sua lettera al Corriere di venerdì, ma il voto di lombardi e laziali ha confermato comunque il suo orientamento “contro” il centrosinistra e che il colore di moda del momento è ancora il grigio scuro. L’esito elettorale ha chiarito, se mai ce ne fosse stato bisogno, che il blocco di centrosinistra ha bisogno di una riflessione su identità (e le parole di Calenda contro gli elettori lo certificano) e alleanze: la disunione non ha certo pagato. Il centrodestra, invece, sta riuscendo a coprire più abilmente le divergenze che lo minano internamente. E sicuramente anche grazie alla guida carismatica e all’azione diplomatica della sua leader indiscussa, Giorgia Meloni. La Premier, anche da influenzata, sta riuscendo a tenere il timone di una maggioranza frenetica che tra poche settimane sarà chiamata a una partita molto delicata, quella delle nomine di Stato. Sarà quello lo scacchiere da cui si capirà l’indirizzo strategico che la Meloni sta attuando per assicurare al suo esecutivo stabilità e continuità. 

Il voto delle regionali ha evidenziato la “crisi di crescita” di Fratelli d’Italia che ha infatti registrato un gap di consenso larghissimo con i suoi alleati. Un gap che Forza Italia, in particolare, sembra vivere con maggiore disagio rispetto alla Lega di Salvini. E molti hanno ascritto proprio a tale disagio la scelta di Silvio Berlusconi di non perdere occasione per spostare il baricentro dell’alleanza su di sé, spesso con sottolineature centrifughe, come le dichiarazioni che ha fatto in settimana (“Da premier non sarei mai andato da Zelensky”), poi opportunamente corrette. Un’esternazione che ha innescato la replica addirittura di Mykhailo Podolyak, il consigliere del presidente ucraino: «Berlusconi è un agitatore vip – ha detto – che agisce nel quadro della propaganda russa e baratta la reputazione italiana con la sua amicizia con Putin. Le sue parole sono un danno per tutta l’Italia (…) getti la maschera e dica pubblicamente di essere a favore del genocidio del popolo ucraino». Diversa invece, la posizione dei membri dell’esecutivo che hanno tentato di ridimensionare l’accaduto invitando a concentrarsi sulle azioni messe in campo. Ci ha pensato il ministro della Difesa Guido Crosetto a gettare acqua sul fuoco: «La nostra linea politica parla chiaro, non mi sembra che gli atti votati dal Parlamento e da tutte le forze politiche si discostino dal pieno sostegno italiano dell’Ucraina, della Nato e dell’Occidente». Affermazioni, le sue, rafforzate dall’impegno con cui sta provando a portare al 2% del Pil le spese militari italiane, così come richiesto proprio dalla Nato a tutti gli Stati membri. Una sfida non facile, ma necessaria, per l’adempimento della quale lo stesso Crosetto ha proposto di escludere gli investimenti della Difesa dal calcolo del Patto di stabilità, svincolandoli dalle altri voci di spesa necessarie, come sanità o scuola.

E se sulla politica estera la situazione sembra rientrata e, nonostante tutto, sembra procedere in continuità con il passato, sul fronte interno nel CdM di giovedì il governo Meloni ha sancito il primo segnale di netta discontinuità con il governo Draghi sul tema del Pnrr. Il decreto approvato ha messo le basi per una cabina di regia sotto il diretto e stretto controllo del Ministro competente Raffaele Fitto per la supervisione dello stato di avanzamento del Piano. Ci sarà un coordinatore, quattro direzioni generali, cinquanta funzionari in più rispetto a quelli dislocati oggi nelle strutture della Presidenza del Consiglio. E si avranno più poteri, con indirizzo operativo e politico. Dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri passeranno anche le trattative con la Commissione europea, si pensa quindi che ci sarà l’opportunità di mettere a confronto gli obiettivi concordati a Bruxelles con i risultati raggiunti. La segreteria tecnica messa in piedi da Mario Draghi, pertanto, dovrebbe via via sfaldarsi. A cominciare dalle figure di tecnici che l’ex Presidente del Consiglio aveva piazzato “in regia”, vale a dire Carmine Di Nuzzo, Chiara Goretti e Nicola Lupo. I loro compiti e funzioni saranno trasferiti alla struttura di missione. Saranno loro le prime vittime dello spoils system? Lo si potrebbe scoprire, probabilmente, nel prossimo decreto.