Non sarà facile per Ursula von der Leyen essere confermata presidente della Commissione europea quando mercoledì sarà chiamata a fronteggiare l’emiciclo di Strasburgo, balcanizzato dopo il voto di maggio e per nulla convinto di dover avallare senza resistenze una scelta che per molti europarlamentari è semplicemente piovuta dal cielo. Il ministro della Difesa tedesco deve raggranellare almeno 374 preferenze per ascendere ufficialmente alla presidenza, in un voto che si svolgerà a scrutinio segreto. Ma anche mancare la soglia psicologica di quota 400 potrebbe rivelarsi politicamente dolorosissimo: sia in termini di solidità della sua maggioranza parlamentare che, soprattutto, di effettiva legittimità per guidare con autorevolezza l’Ue.
Nell’ultima settimana un lungo valzer di incontri con i leader dei gruppi politici europei ha reso plastico il tentativo del ministro tedesco (cresciuto in Belgio) volto a costruirsi una maggioranza credibile, salvo offrire il fianco alle critiche per l’eccessiva vaghezza del manifesto programmatico illustrato. Attualmente la candidatura della signora von der Leyen può contare sui 182 voti a favore del Ppe e con probabilità anche sui 108 liberali di Rinnovare l’Europa, che hanno però posto quale precondizione la vicepresidenza della Commissione per la loro esponente di punta, Margrethe Vestager (il commissario alla Concorrenza uscente), con annessa parificazione del ruolo a quello dell’altro vicepresidente, il socialista olandese Frans Timmermans.
Il campo socialista è frastagliato: se le delegazioni spagnola, portoghese e danese hanno confermato che sosterranno von der Leyen, i colleghi tedeschi, britannici, olandesi, belgi e naturalmente greci sembrano viaggiare su posizioni diametralmente opposte. A riprova della complessità raggiunta dal gioco elettivo europeo, dove la semplice appartenenza alla medesima area politica non è sufficiente a colmare faglie nazional-geografiche ancora profondissime.
I Verdi e il raggruppamento di sinistra (Gue/Ngl) hanno dichiarato che non sosterranno von der Leyen, sottraendole 115 voti e costringendola a cercare il favore degli incerti o divisi: oltre ai socialisti (154 voti), rimangono gli euroscettici di Identità e democrazia (il gruppo di Salvini e Le Pen, 73 voti) e i Conservatori e riformisti (62 voti), questi ultimi dichiaratisi inizialmente vicini alle posizioni della candidata. E se fra i primi la delegazione leghista potrebbe anche accettare di sostenere il ministro tedesco in cambio dell’agognato commissario italiano a Bruxelles, fra i secondi soprattutto i polacchi di Diritto e giustizia sono sul piede di guerra per il “cordone sanitario” dispiegatogli contro nelle istituzioni europee.
In settimana le forze europeiste si sono infatti attivate per impedire l’elezione di presidenti apertamente euroscettici oppure di destra alla testa di commissioni di peso, come Agricoltura, Affari legali, Occupazione e Libertà civili. Assieme ai polacchi ne hanno fatto le spese i sovranisti di Francia e Ungheria, che in futuro non mancheranno di cercare vendetta. L’ennesima contrapposizione fra forze europeiste ed euroscettiche aggiunge così un’altra incognita al già complesso negoziato da cui dipende l’elezione del primo presidente donna della Ue.
Alberto de Sanctis