All’ombra del negoziato Di Maio-Salvini per dare all’Italia un nuovo governo c’è un’altra partita che prosegue sottotraccia (almeno) dalla sera delle elezioni. Sicuramente meno intrigante di quella che potrebbe definire il primo esecutivo a trazione apertamente anti-sistema della storia repubblicana, ma non per questo da sottovalutare. Il riferimento è alle manovre dei partiti – a cominciare dai vincitori della tornata del 4 marzo, ma non solo – in vista delle elezioni europee del maggio 2019 per il rinnovo del Parlamento con sede a Strasburgo presieduto da Antonio Tajani. Se la sconfitta di Marine Le Pen alle presidenziali francesi del 2017 ha fortemente depotenziato le velleità antieuropee di Lega e M5s, per i due vincitori delle elezioni italiane la riforma dell’Europa resta comunque una questione ineludibile, che si riproporrà con la forza di un boomerang soprattutto se Di Maio e Salvini dovessero ricevere le chiavi di Palazzo Chigi. Nell’attuale Legislatura europea (2014-9), le sparute pattuglie di grillini (14) e leghisti (4) si dividono fra i banchi di Europa della libertà e della democrazia diretta e di Europa delle nazioni e della libertà. Il primo, presieduto dall’ex leader Ukip Nigel Farage; il secondo, guidato dal segretario generale del Front National Nicolas Bay. Difficile per M5s e Lega non cogliere l’occasione del prossimo voto europeo per ripensare il loro sistema delle alleanze a Strasburgo, soprattutto quando in ballo c’è la ricerca di una nuova dignità istituzionale in Patria. Per i Cinquestelle, inoltre, si tratta di rispondere alla scomparsa dell’alleato britannico dello Ukip: le elezioni europee del 2019 saranno le prime cui non parteciperà il Regno Unito, causa Brexit. La soluzione potrebbe giungere d’Oltralpe, grazie all’iniziativa del presidente francese Emmanuel Macron volta a creare un nuovo gruppo europeo che sfidi il duopolio di popolari e socialisti sulla falsariga di quanto realizzato in Francia dal suo En Marche.
Molto, se non tutto, dipenderà dagli equilibri su cui si fonderà il prossimo governo. Come sperare di trovare accoglienza presso la piattaforma di Macron mentre a Roma si governa con l’alleato europeo (Salvini) del suo peggiore avversario interno (Le Pen)? Discorso diverso nel caso in cui la composizione cromatica del prossimo esecutivo nazionale dovesse contare altre sfumature, oltre al giallo-verde più acceso. Persino la Lega avrà il suo bel da fare per trovare il bandolo della matassa. Per il partito che ambisce a difendere il suo nuovo status di forza egemone del centrodestra italiano – tradizionalmente moderato e poco incline a sostenere posizioni eccessivamente radicali – che futuro può avere un’alleanza con il Front National e quanto è ipotizzabile invece un avvicinamento al Ppe o ad altre forze moderate? Il dilemma del posizionamento europeo, infine, tocca da vicino anche il grande sconfitto delle elezioni del 4 marzo. L’ennesima crisi con la classe dirigente Dem – dopo la débâcle elettorale, adesso nel Pd ci si divide sulla linea da tenere in vista delle consultazioni al Quirinale – potrebbe spingere Matteo Renzi a raddoppiare gli sforzi per un rapido approdo nella piattaforma di Macron. Con il partito, con i suoi fedelissimi o a questo punto financo da solo.
Alberto De Sanctis