Politica

Una vittoria ‘annunciata’ (fin troppo) e una maggioranza schiacciante (idem), ovviamente di centrodestra

05
Settembre 2022
Di Ettore Maria Colombo

Nb. Questo articolo è stato pubblicato, in forma originale, il 5 settembre 2022 sul sito di notizie ‘The Watcher Post’

Saranno urne dall’esito ‘scontato’? Probabile

Parliamoci chiaro. Le elezioni politiche del prossimo 25 settembre hanno futuro già scritto ed esito già assegnato, almeno a stare ai sondaggi. La coalizione di centrodestra, formata da FdI-Lega-FI-Noi Moderati le vincerà senza ombra di dubbio, trasformando – grazie alla legge elettorale vigente, il Rosatellum (è bene ricordare che si compone del 64% di collegi plurinominali proporzionali e del 34% di collegi uninominali maggioritari, quelli che assegnano, di fatto, la ‘vittoria’, alle elezioni, più un 2% di seggi Estero) – una percentuale che potrebbe oscillare tra il 45-46% e il 48-49% di voti (maggioranza relativa) in una netta maggioranza (assoluta) in seggi. Il centrosinistra (Pd-+Europa-Verdi/SI-IC), e cioè la sola coalizione (essendo tale), in grado di competere con il centrodestra, specie nel ‘gioco’ dei collegi uninominali, dove vince chi ha un voto in più dell’avversario, è quotata al 28-30%, percentuali che non impensieriscono le destre.

Il ‘gioco a perdere’ di 5Stelle e Terzo Polo…

E, nonostante la risalita, testata in tutti i sondaggi, dei 5s (in modo impetuoso: oggi sono sul 13%, tendente al 15%) e, in maniera minore, del Terzo Polo (tra 6 e 8%, tendente al 10%), non solo non possono, in alcun modo, ‘strappare’ collegi al centrodestra, ma hanno il solo effetto (numerico, oltre che ‘politico’) di indebolire il centrosinistra cui impediscono di conquistare dei collegi in più.  

Maggioranza relativa in voti e assoluta in seggi

Morale, a seconda del numero esatto dei voti che arrideranno alla coalizione di centrodestra come pure di alcuni aspetti tecnici del Rosatellum, dovuti anche al drastico taglio dei parlamentari, i seggi del centrodestra – poi si vedrà, solo al momento dello spoglio delle schede elettorali, in quali esatte proporzioni ‘interne’ tra FdI da un lato e Lega-FI dall’altro, cioè con quale dosaggio – potrebbero superare il muro di 55-58% (in seggi), superando la maggioranza assoluta e sfiorando, forse di poco, la maggioranza dei due/terzi. Quella che, per capirsi, permette di ‘cambiare’ la Costituzione (esempio tipico: l’introduzione del Presidenzialismo, puro o semi), senza dover ‘subire’ il referendum confermativo.

Lo studio di YouTrend non lascia ‘speranze’

Per dire, lo studio, ma aggiornato al 25 agosto, di YouTrend in base alla ‘supermedia’ di tutti gli istituti di sondaggi, prevede gara aperta in appena 18 collegi della Camera e 6 del Senato. Il dato complessivo che YouTrend avvalora, nella composizione del nuovo Parlamento, la cui seduta iniziale è già stabilita per il 13 ottobre, vede una ‘forbice’, a favore del centrodestra, di 248/268 seggi alla Camera (quorum a 201) e di 126/136 al Senato (quorum 101) mentre il centrosinistra porterebbe a casa non più di 78/98 deputati e 39/49 senatori. Ovviamente, si tratta di simulazioni: il pallino del risultato elettorale è ancora molto mobile e in mano solo agli elettori.

Il taglio dei parlamentari: il Senato non ‘balla’

Come, finalmente, si sono accorti in molti, i nuovi collegi elettorali, così come disegnati dopo il taglio dei 345 parlamentari, si sono ampliati: per la prima volta l’hinterland delle grandi città, per esempio, ha più voce in capitolo, in circoscrizioni che sono diventate molto miste, non più solo metropolitane o urbane, ma che coinvolgono elettori di aree vastissime, delle periferie e delle campagne, soprattutto al Senato.

Senato dove, peraltro, diverse regioni assegnano, dopo la ‘riforma’, un numero così esiguo di parlamentari che, di fatto, vedranno l’en plein del centrodestra, che andrà a detrimento delle forze di opposizione, e, dunque, il contrario della vulgata che vuole, da decenni, una situazione, a palazzo Madama, incerta (il Senato ‘ballerino’).

La sola vera incognita del voto? Gli astenuti

Invece, un problema ‘vero’, per il centrodestra – il solo che potrebbe inficiarne la vittoria – è quello degli astenuti, storicamente ‘insondabili’.

Oggi stimati in 16 milioni, gli astenuti (circa il 35% del corpo elettorale), come spiega, in un bel saggio sul fenomeno storico dell’astensione in Italia, il capogruppo di LeU, Federico Fornaro, questi si dividono tra astenuti ‘cronici’ (un buon 10-15% del totale), che ormai non votano più, e da anni, e astenuti ‘intermittenti’ (l’altro 15%), che, invece, decidono, in limine mortis, cioè tra i 3 giorni antecedenti il voto e la mattina stessa in cui si recano alle urne, se e soprattutto chi votare.

Ecco, sono loro, gli astenuti ‘intermittenti’, che potrebbero ‘cambiare’ verso e volto, alle elezioni, anche se è statisticamente improbabile che, tutti, si rechino in massa alle urne per votare partiti e coalizioni ‘diverse’ da quella del centrodestra. Dovrebbero, più ragionevolmente, ‘spalmarsi’ sui vari partiti in lizza, aumentando o diminuendo i consensi a questa o quella forza politica, ma – almeno è molto difficile – ribaltando i sondaggi.

Il paradosso del voto scontato e i ‘ribaltoni’: una lunga storia di ‘capovolgimenti’ nelle urne

Insomma, usando un paradosso, si potrebbe anche dire che è abbastanza ‘inutile’ tenerle, dato l’esito scontato, le prossime elezioni, anche se, ovviamente, come spesso accade, non è così.

‘Ribaltoni’ tra le percentuali rilevate dai sondaggi e voti concreti nelle urne si sono già verificati. Nessun istituto di sondaggio poteva prevedere, e infatti non ha previsto, per dire, l’exploit dei 5s alle Politiche del 2013 (quelle ‘non vinte’ dalla coalizione di centrosinistra di allora, guidata dall’allora segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che pure godette di un ampio premio di maggioranza, solo alla Camera, grazie al Porcellum) e, soprattutto, alle Politiche 2018.

Un vero boom, quello del M5s di allora (33%, pur se con una lieve differenza tra Camera e Senato) che provocò quello che si sa e tutti ricordano. Tre mesi tre per formare un governo, il primo della legislatura, quello ‘gialloverde’, il Conte I (cui seguì il governo ‘giallorosso’ Conte II e poi il Draghi I).

Volendo risalire ancora più indietro nel tempo, la ‘remuntada’ della Casa delle Libertà, nel 2006, rese incerta e problematica la vittoria dell’allora Unione, da cui scaturì il governo Prodi II, fragile e precario, che infatti dopo solo due anni cadde.

O, ancora prima, la ‘sorpresa’ della vittoria della ‘doppia coalizione’ forgiata dal Cavaliere Nero (così lo chiamava, all’epoca, la Sinistra), alleato della Lega di Bossi al Nord (Polo delle Libertà) e di An di Fini al Sud (Polo del Buon governo), fu resa fragile, al Senato, da un risultato che, pur schiacciante, vide il centrodestra allora nascente ottenere una trasformazione dei voti in seggi assai problematica. Tanto che il governo Berlusconi I nacque solo grazie alla ‘trasmigrazione’ di alcuni senatori eletti con il PPI-Patto Segni, che si presentava distinto e distante dalla coalizione dei Progressisti guidata da Achille Occhetto, allora segretario del Pds che pure perse in modo sonoro, le elezioni, con i centristi ridotti a pochi seggi causa la legge elettorale di allora, il Mattarellum, che passarono, armi e bagagli, con Forza Italia (tra loro, per la storia, c’era Giulio Tremonti…).

Non a caso, il primo governo Berlusconi durò lo spazio di un mattino (da marzo a dicembre 1994), rovesciato dal ‘patto delle sardine’ Buttiglione-Bossi e, poi, dalla pressione della sinistra che riuscì a convincere il Senatur al noto ‘ribaltone’.

Insomma, tutto è possibile. Compreso che il ‘predestinato’, dai sondaggi, governo Meloni, a capo di un centrodestra vincente nelle urne, ‘non’ nasca o che nasca e che, dopo pochi mesi, muoia. Molti analisti – e pure molti ‘soloni’ della Politica come del giornalismo lo dicono, e lo scrivono, un giorno sì e l’altro pure. Il leit motiv è sempre lo stesso: “Vedrai che non durano”… Solo che, almeno qui, se ne dubita fortemente…

Insomma, se è pur vero che il centrodestra – a Roma come a Milano, alle ultime amministrative – è riuscito a sbagliare in modo colossale sia i candidati sindaco sia la campagna elettorale in un harakiri che è stato, oggettivamente, clamoroso, ‘regalando’ al centrosinistra vittorie inaspettate, è altrettanto vero che, in questa campagna elettorale (almeno la Meloni di sicuro, in parte Berlusconi, tornato pimpante come non mai, ai tempi d’oro, non Salvini, che ama perserverare negli errori), “non ne sta sbagliando mezza”, come si usa dire. Insomma, il destino delle elezioni sembra segnato e che nasca un governo di centrodestra altrettanto.

Ma come potrebbe essere il ‘governo’ Meloni? Di sicuro sarebbe un governo ‘di coalizione’…

A questo punto, con un grande – e non ‘piccolo’ – sforzo di fantasia, non resta dunque che provare a ‘immaginare’ come potrebbe essere il futuribile governo a guida la leader di FdI, Giorgia Meloni.

Ovviamente, non potrebbe che essere, per forza dei numeri e delle cose, oltre che dei necessari ‘equilibri’ politici, sia interni che internazionali, un governo ‘di coalizione’. Cioè un governo che vedrebbe, al suo interno, tutti e tre i maggiori partiti del centrodestra (FdI, ovviamente, ma anche Lega e FI, oltre ai ‘piccoli’, i Moderati), ovviamente con ‘pesi’ (e, dunque, ministri, viceministri, sottosegretari: il ‘sottogoverno’) assai diversi tra loro. FdI sarà, come probabile, il primo partito, a molte lunghezze di distanza persino dalla somma di Lega e FI (entrambi, però, in calo vertiginoso, nei sondaggi, la prima ‘grazie’ ai 5Stelle, la seconda al Terzo Polo). I quali ultimi due potrebbero, per fare ‘massa’, formare gruppi unitari, in Parlamento, per ‘pareggiare’ quello, che sarà assai numeroso (oltre i cento parlamentari) di Fratelli d’Italia. Ma anche ove ciò succedesse – ed è probabile, non fosse perché Berlusconi e i suoi hanno ‘epurato’, dalle liste, tutti i presupposti ‘liberal’ in odore di ‘draghismo’, ergo di ‘terzopolismo’ – la Meloni non può ‘rinunciare’ a loro. Sia perché FI è la ‘porta’ per farsi accettare dal PPE in Europa (e il suo capo, Manfred Weber, non vede l’ora di ‘vincere’ “oggi in Italia e domani in Spagna”, dove i Popolari potrebbero fare asse con Vox), dati i rapporti, affatto pessimi, con il gruppo di cui la Meloni stessa è presidente (i Conservatori).

Sia perché le ‘fantasticherie’ di un governo tutto ‘nero’, cioè della sola FdI, sono destinate a restar tali (è solo un ‘bau bau’ agitato dalla Sinistra…). E, a sua volta, anche il solo immaginare un asse ‘nero-verde’ (la somma aritmetica di FdI e Lega, tagliando fuori Forza Italia e il buon Berlusconi) è un gioco buono per riempire paginate di carta, ma che ha poco senso, nella cruda realtà dei fatti.

Il ‘sorvegliato speciale’ è Salvini e non Meloni

Essendo, infatti, proprio Salvini il ‘vero’ “sorvegliato speciale”, sia in Ue che nella Nato, date le sue (ambigue) posizioni sulla Russia di Putin, sulle sanzioni alla Russia, la guerra in Ucraina e, anche, su possibili ‘extra-deficit’, la sola ‘garanzia’ che resta in mano agli ‘alleati’ (storici) dell’Italia (Usa e Nato, oltre che Ue) non può che essere proprio lei, Giorgia Meloni. Le cui professioni di atlantismo, anti-putinismo e, pure, di europeismo, non si contano più, di giorno come di notte. Insomma, la Meloni è la sola, possibile, ‘garante’ che l’Italia resti ‘dentro’ la cornice delle sue storiche alleanze occidentali.

Per non dire, ovviamente, del ‘filo diretto’ – tra un po’ diventerà una vera ‘linea rossa’ – che lega la leader di FdI all’attuale premier Mario Draghi (a sua volta ‘garante’, agli occhi della Ue, dell’attuazione del PNRR come delle riforme). I due si sentono in modo costante e ‘lei’ ascolta, attenta, i consigli di ‘lui’. Manca solo si mandino messaggini amorevoli su WA, ma avrebbero l’effetto di ingelosire le rispettive mogli e mariti.  Non potrà che spettare a FdI, e dunque alla Meloni, l’incarico di formare il nuovo governo.

L’incarico, però, lo ‘dà’ solo Mattarella…

Incarico che, ovviamente, può attribuire, secondo le rigide prerogative costituzionali, solo Sergio Mattarella, in piena facoltà, egregio presidente, le scrivo la presente…”, cantava Ivano Fossati. Anche qui, però, va detto che, dalle parti della Meloni, si sono fatti assai furbi. A differenza di Salvini, che da mesi ‘gioca’ al ‘toto-ministri’, auto-attribuendosi, ovviamente, gli Interni, e pure di Berlusconi (galattica la sua gaffe sul fatto che, se venisse introdotto il presidenzialismo, Mattarella dovrebbe ‘fare le valigie’…), Meloni – e, in diverse interviste, anche uno dei suoi più autorevoli ‘consiglieri’ del ‘dietro le quinte’, Guido Crosetto (presidente dell’Aiad, ogg non più parlamentare, ma co-fondatore di FdI), hanno detto, apertis verbis, che – in buona sostanza – “l’incarico lo dà Mattarella, ne rispetteremo le indicazioni, non ci piove, massimo rispetto” etc. Anche perché, checché se ne dica e ne pensi, anche i rapporti tra Meloni e il Colle sono buoni, non foss’altro perché, al Colle, sanno bene (2018 docet) che “il pane si fa con la farina che si ha”. 

Una volta incassato, però, un incarico – ‘pieno’, si presuppone, non certo ‘esplorativo’ o un ‘pre-incarico’ (modello Bersani 2013 da Napolitano) – poche storie: sarà lei, la prima donna a ricoprire questa carica nell’intera storia italiana, la Meloni, a formare il governo. Prima ancora di ‘giocare’ al toto-ministri, però, meglio dire che sarà, appunto, un governo ‘consapevole’ delle sfide – tremende – da affrontare, tra crisi dei prezzi dell’energia, rincari, bollette che schizzano all’insù ogni giorno e situazione economica e sociale affatto florida.

Ergo, non “scasserà i conti”, come molti temono. E, ieri, a Cernobbio, ha assai rassicurato, sul punto, industriali e gotha imprenditoriale che, ogni anno, là si trova per il workshop Ambrosetti, e che ha, sentitamente, tirato sospiri di sollievo.

La manovra economica sarà assai ‘rigorosa’

Certo, la prima manovra economica del governo non sarà “lacrime e sangue”, cioè “alla Monti” (Meloni, coriacea, come oggi è all’opposizione di Draghi lo fu anche di Monti, anche allora da sola) ma chi si aspetta ‘extra-deficit’, rosso nel bilancio e proposte da campagna elettorale irrealizzabili (stile flat tax, per capirsi) ne resterà assai deluso. Sarà una manovra economica ‘seria’, rigorosa e, anche, ‘costretta’ dalle situazioni oggi date. Ecco che, infatti, a proposito del famoso ‘toto-ministri’, si parla con sempre più insistenza di un titolare del Mef che abbia la fisionomia di Fabio Panetta, board in Bce e amico stretto di Draghi (che lo vorrebbe, in verità, meglio a BankItalia), e non di Giulio Tremonti, nome che, in Europa, profuma ancora di zolfo, dopo la crisi del 2008.

Ovviamente, il ‘toto-ministri’ già impazza…

Per gli altri ‘posti’ si fanno i nomi, dentro FdI, dove il toto-ministri, specie tra i colonnelli, impazza, di Carlo Nordio alla Giustizia, Giovanni Donzelli ai Rapporti con il Parlamento, Raffaele Fitto agli Affari Ue, Adolfo Urso alle Attività produttive e Guido Crosetto alla Difesa. Invece, il ‘povero’ Tremonti non andrebbe al Mef, ma ai Beni culturali. Uno smacco, per lui.

‘Cascherebbe’ assai meglio Marcello Pera, predestinato, ca va sans dire, alle Riforme. «Il 25 settembre avremo l’occasione di scrivere una pagina nuova», ha detto la Meloni, rilanciando le parole del filosofo e candidato di FdI, “sulla necessità delle riforme”, presidenzialismo in testa. La Meloni ha ‘paracadutato’ Pera in un collegio uninominale della Sardegna, per la scarsa gioia dei sardi che ancora gli rimproverano (i sardi hanno memoria lunga) una vecchia polemica con Cossiga, e in collegio plurinominale in Campania. Del resto, tra tanti meriti, la Meloni, qualche ‘demerito’ è pure giusto e normale che lo abbia.