Politica
Una piazza per l’Europa: lo diciamo sempre e non lo facciamo mai
Di Gianluca Lambiase
“Non perdiamoci di vista”. È l’appello finale di Michele Serra dal palco di Piazza del Popolo. Un appello che sintetizza lo spirito dell’iniziativa “Una piazza per l’Europa” che il giornalista ha lanciato dalla sua newsletter sul Post e promossa a gran voce da Repubblica: entusiasmo condiviso, una sincera passione europeista, ma anche tanta confusione.
Più che una manifestazione un happening, un open mic, un raduno di amici di lunga data che si ritrovano senza aver chiaro il perché. A differenza dell’analoga piazza romena, dove è stato letto un documento firmato da oltre 40 organizzazioni della società civile e della diaspora, qui mancano una piattaforma comune, un piano d’azione, un manifesto che dia sostanza concreta all’iniziativa.
Ogni tanto qualcuno sventola il Manifesto di Ventotene, ma più che un riferimento programmatico, sembra un disperato tentativo di trovare almeno un punto su cui tutti possano dirsi d’accordo. Anche sui numeri c’è confusione. “Siamo in 25 mila” annuncia Bisio sul palco. “Siamo in 50 mila veri”, lo corregge subito dopo Michele Serra.
Europeisti sì, ma con mille sfumature e distinguo. C’è il piano ReArm Europe di mezzo, con quella nomenclatura sinistra e un po’ guerrigliera, c’è la premier Meloni in contemporanea da Starmer sul conflitto ucraino e in generale una diffusa sensazione di parlarsi un po’ addosso.
E allora tutti sentono la necessità di giustificarsi, di precisare. “Sono qui perché sono un cittadino europeo” chiarisce subito Bisio. “Sono qui perché Leopardi, Shakespeare e Manzoni ce li abbiamo solo noi” aggiunge Vecchioni.
Anche sulle bandiere è un casino. Dovevano esserci solo quelle europee ma poi sono saltate fuori le bandiere della pace, le bandiere dell’Ucraina, le bandiere della Georgia, le bandiere del Movimento Federalista Europeo. Ci sono anche un sacco di bandiere irlandesi dopo la vittoria sugli azzurri nel Sei Nazioni.
Nel pubblico – tanta sinistra, un po’ attempata, un po’ radical chic – è tutto un darsi di gomito sulle reference più taglienti. “Capito la Cattaneo come ti ha citato Mattarella?”, “Visto che la Segre alla fine qui è intervenuta?”.
Sale sul palco la sindaca di Perugia, Vittoria Ferdinandi, la sindaca più giovane d’Italia. “E’ la sindaca più bella che abbiamo” tiene a precisare una signora. Poi è il turno del sindaco di Barcellona venuto apposta “Per una grande Europa nell’interesse di tutti”. “I tuoi o i nostri?” ammonisce indispettito un ragazzo.
E poi ci sono i partiti, a ranghi misti. Compare una raggiantissima Elly Schlein che proprio sul voto per il riarmo europeo ha appena spaccato il suo partito, c’è Calenda che invece precisa che le armi servono, c’è quel che rimane di +Europa dopo la faida interna con Emma Bonino, a sottolineare il sostegno ucraino.
In collegamento interviene PIF che prova a fare un po’ da terapeuta – “è finita l’era tardo-adolescenziale, è ora di diventare grandi” – mentre sul palco Scurati si tuffa in un vicolo cieco disegnando un’Europa pacifista e intaccabile ma dimenticando i CPR, l’intervento a Gaza e le alleanze ambigue.
Però quanto siamo stati bene. Rifacciamolo. “Non perdiamoci di vista”.
