Politica
“Un bel dì vedremo!”. Le Amministrative sono lontane (ottobre) ma per i partiti sono fondamentali
Di Ettore Maria Colombo
A Roma chi vincerà? La Raggi uscirà di scena, nella totale ignominia o arriverà al ballottaggio? Il centrosinistra riunirà il fronte, dalla sinistra radicale fino a Calenda, o si spaccherà di nuovo? Il centrodestra troverà un candidato unitario forte o continuerà a sognare nomi impossibili (Bertolaso) e a proporre nomi perdenti (Alinovi)? E’ davvero possibile che a Bologna cada, di nuovo, il ‘muro rosso’ e che la città finisca di nuovo in mano a un nuovo Guazzaloca, il ‘macellaio’ che, nel 1999, la strappò alla sinistra, riportandola nel bacino dei moderati con la candidatura dell’ex ministro dell’Udc Galletti? A Torino l’eredità della sindaca uscente Appendino peserà davvero, ma in negativo, così tanto da far perdere al centrosinistra – alleato quasi ovunque con il M5s, alle prossime elezioni comunali – la possibilità di riconquistare la ex capitale sabauda? E a Napoli il presidente della Camera, Roberto Fico, si lancerà davvero nell’avventura di capeggiare una ‘alleanza larga’ tra Pd-M5s-LeU e altri soggetti politici e sociali, abbandonando lo scranno più alto di palazzo Montecitorio e rischiando l’osso del collo in una campagna elettorale in cui parte svantaggiato rispetto al suo avversario, il magistrato Catello Maresca, scelto nella società civile da campione del centrodestra? E Milano sarà davvero, e paradossalmente, la sola città che il centrosinistra riuscirà a mantenere, con un risultato politicamente disastroso (sconfitta per 4 a 1), grazie alla ricandidatura del sindaco uscente, Beppe Sala, che si è riscoperto green e ora sogna di ‘rifondare’ i Verdi italici, dato che il centrodestra non ha candidati forti?
I rovelli dei leader politici e dei loro partiti
E l’alleanza ‘strategica’ tra Pd-M5s-LeU su cui Letta intigna e rilancia ha davvero un futuro? O non è meglio, per il Pd, guardare alla sua destra? E il M5s è in caduta libera o ancora tiene botta? E il centrodestra unito è ancora forte o paga pegno alla scelta di aver appoggiato, per buona parte, il governo Draghi, essere rimasta fuori per un’altra?
Ecco, sono queste le domande che, ormai da giorni, se non settimane e mesi si fanno dentro i quartieri generali dei partiti e dei loro leader.
Le ‘scadenze’ delle amministrative 2021
Eppure, le elezioni amministrative del 2021, si terranno tra molti mesi (si dovevano tenere a metà giugno ma, rinviate causa pandemia, se “andrà tutto bene si svolgeranno il 9-10 ottobre), non hanno rango e dignità da elezioni politiche e si terranno a macchia di leopardo, sui territori. Eppure, per ogni partito e per ogni coalizione, le prossime elezioni comunali di ottobre saranno decisive, anzi cruciali, vitali, e per ben tre ordini di motivi, nonostante siano, in teoria, delle ‘semplici’ elezioni amministrative. Nel senso di parziali. Infatti, le elezioni di ottobre interessano solo alcune città, seppure alcune molto grandi: si rinnovano i sindaci e i consigli comunali di Torino, Milano, Bologna, Roma e Napoli. Poi, riguardano un territorio a macchia di leopardo, quindi i risultati dei vari partiti non sarà legittimo, almeno teoricamente, compararle con quelle delle elezioni politiche nazionali o di quelle europee.
La legge elettorale per i sindaci risale al 1993
Infine, si vota con una legge elettorale – sistema maggioritario a doppio turno, la cd. ‘legge dei sindaci’, varata nel 1993 in clima di Tangentopoli e sotto la spinta dei referendum elettorali di Segni – che è molto diversa dalla legge elettorale in uso per le politiche, il Rosatellum. La legge dei sindaci è un maggioritario secco con ballottaggio, il Rosatellum è un mix di maggioritario (per il 36%) e di proporzionale (64%) a turno singolo, senza dire delle differenze sulla scelta degli eletti. E, come si sa, le leggi elettorali molto incidono sui risultati finali di un voto, di qualsiasi tipo sia.
Tutti i partiti attendono i risultati: ecco perché
Invece, i tre motivi per cui le elezioni comunali sono e saranno fondamentali sono i seguenti.
Il primo è che, da qui al 2023 (scadenza naturale della legislatura), non vi saranno nuove elezioni, ma i partiti hanno bisogno di tastare e saggiare il terreno del loro radicamento e avere riscontri, alle loro posizioni, che non siano semplici sondaggi. Per capirci, i 5Stelle hanno i consensi del 2018 (il 33%)? No di certo, ma di quanto sono precipitati?
Il secondo è che la ‘cesura’ rappresentata da un governo di ‘larga coalizione’ o ‘unità nazionale’ come quello in sella da marzo, guidato da Draghi, va – come sempre – verificata e precipitata nei consensi reali, e non aleatori, dei propri elettori. Per capirci, la Lega ci guadagna o ci perde, in termini di consensi e di favori dell’elettorato, dalla scelta di appoggiare il governo Draghi? E FdI ci guadagna o perde, a stare all’opposizione?
Il terzo, e ultimo, motivo è che i leader devono ‘saggiare’ la loro popolarità e il favor di cui godono presso gli elettori in generale e i propri in particolare come pure devono capire, studiare e interpretare quanto delle loro scelte politiche viene realmente percepito e capito dagli elettori. Per capirci, piace o no, alla ‘base’ elettorale dem, il ‘nuovo corso’ impresso al Pd dal neo-segretario Enrico Letta? E le sue proposte, le sue alleanze? O, ancora, convince l’elettorato dei 5Stelle la scelta di mettere l’ex premier Giuseppe Conte alla sua guida e un Direttorio che lo affiancherà? Ma anche per i partiti minori o più in difficoltà (Iv da un lato, FI dall’altro) vale identico discorso: quanto pesano i loro consensi reali? Tante domande e, a ora, nessuna o poche risposte. Ma il tempo passa, i leader si consumano nell’attesa e le elezioni di ottobre si avvicinano…