Politica

Tutto quello che c’è da sapere sulle liste del Pd “e non avete mai osato chiedere

17
Agosto 2022
Di Ettore Maria Colombo

Quando, alla fine della notte di passione, Marco Meloni, capo segreteria di Enrico Letta e suo braccio destro fidatissimo (è sardo, dicono sordo, nel senso che non è un uomo tenero, ma non è cattivo, è una persona, anzi, schiva, schietta), legge – con voce bassa, stanca, provata da giorni e notti insonni per comporre un gioco a incastro peggio di un sudoku e, insomma, pure per l’uomo ‘nero’ di Letta bisogna portare umana e solidale comprensione – le liste elettorali del Pd, i nomi li pronuncia uno a uno, piano piano, per cercare di ‘attutire’ gli effetti devastanti che produrranno. 

L’elenco non finisce più, sembra una litania, le preghiere che si fanno quando ricordi i morti: collegi uninominali maggioritari e collegi plurinominali proporzionali, in ordine rigorosamente decrescente, su su, dalla Val d’Aosta-Piemonte, fino alla Sicilia-Sardegna. Ecco, il problema è che, quando finisce l’elenco, nella sala al terzo piano del Nazareno – quella con meravigliosa vista sui tetti di Roma ladrona, una vista mozzafiato che, però, non rincuora – che ospita le plenarie della Direzione dem, si alzano brusii di disapprovazione, borbottii indistinti e inconsulti e veri e propri sbotti d’ira e proteste. 

Gli esclusi dalle liste Pd – come vedremo tra poco, nome per nome, regione per regione, motivo per motivo – sono troppi. Alcuni gridano vendetta al Cielo (del Pd), in quanto a ingiustizie, altri sono clamorosi, vittime eccellenti di un gioco infernale, quello delle candidature da mettere e da togliere e dei posti che sono quelli che sono, cioè assai pochi.

Un gioco ‘a incastro’ che non torna mai e il ‘vantaggio competitivo’ offerto agli avversari
Un ‘gioco’ che non torna mai, va detto. In nessun partito. A nessuna latitudine né longitudine. Il centrodestra, per dire, deve ancora iniziare. In Forza Italia saranno dolori per molti. Nella Lega solo per alcuni. Si salva solo Fratelli d’Italia, che ha posti in piedi e seduti, dati i sondaggi attuali. 

Solo che il Pd – mai scelta fu più scellerata! – ha pensato bene che bisognava far vedere al ‘Mondo’ che “noi siamo meglio, facciamo meglio, siamo i meglio”. E, dunque, “facciamo pure prima” degli altri. Ora, però, va detto che, almeno nei collegi uninominali, dove si tengono le sfide ‘one to one’, candidato contro candidato, non solo la fretta è, da sempre, cattiva consigliera, ma che – tirandole fuori ‘prima’, le liste – offri un bel vantaggio ‘competitivo’ a tutti gli altri tuoi ‘competitor’ (i partiti e coalizioni avversari), che, in tal modo, sanno chi dovranno affrontare, nei collegi, e possono perciò aggiustare il tiro e schierare pezzi da novanta contro pezzi da novanta. Ribadito che fare le liste – tra tribunali, cancellerie, scadenze burocratiche, legali, date ultimative (il 22 agosto alle ore 20, vale per tutti, quindi, volendo, di tempo a cambiarle ce n’è…) – è un mestiere improbo (massima solidarietà, dunque, a Meloni…), faticosissimo e che, ovvio, c’è sempre chi si ‘straccia le vesti’ come i rabbini del Tempio davanti a Gesù che bestemmiava, e chi, invece, fa i ‘salti di gioia’ per la felicità, che credeva di aver perso, e invece ha ritrovato (si tratta, pur sempre, di 14 mila euro netti di stipendio mensile, per un senatore, poco meno alla Camera e, insomma, buttali via: ci ‘campi’ una famiglia intera per cinque anni tondi) – ecco, detto tutto questo, ‘dati, cause e pretesto’, come cantava il Poeta (Francesco Guccini), resta il punto. Il ‘metodo’ scelto da Letta e i suoi – colloqui ‘ad personam’ con i candidati, magari provvisti di curriculum vitae, manco si trattasse di scegliere i posti di un’azienda, non in Parlamento – non ha funzionato in nulla. Risultato, il disastro. 

Le proteste montano sui social e non solo… 
Polemiche a non finire sui social (e poco importa che la Direzione si è tenuta la notte del 15 agosto, convocata e sconvocata di ora in ora, fino alle 23, a ‘giornali chiusi’, ma a siti Internet ‘aperti’) e una marea di – infinite, violente – polemiche. Insomma, morale, “dall’Alpe alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, securo il fulmine tenea dietro al balen”, scriveva Alessandro Manzoni.

Ne è stato investito ed attaccato, però, almeno all’esterno, non Meloni, ma lo stesso segretario, Enrico Letta. Il quale, pure, va capito. “Insomma, vorrei vedere voi, al posto mio”. Ieri, peraltro, Letta ha provato a ‘staccare’ recandosi, con moglie e figli, a vedere il Palio dell’Assunta a Siena. Solo che il Palio è stato rinviato (pioveva). E, insomma, manco un giorno di pace, per il buon Letta, ma nel Pd oggi va così.

Protestano le Federazioni regionali, provinciali e cittadine. Praticamente tutte, dal Piemonte alla Campania (in rivolta piena, sorda, totale, specie Napoli), dalle Marche alla Basilicata. Protestano i sindaci, furibondi, che infiammano le loro chat, anche se, a dirla tutta, i loro li hanno pure messi. Protestano i territori (molti). Protesta l’Arcigay (per la Cirinnà, periclitante) e pure i liberal e cattolici per Ceccanti e altri. Un fulmine – di ira – si abbatte sul segretario dem. Il tema sono gli esclusi ‘eccellenti’ dalle liste Pd. La Direzione, tenuta di notte fonda, oltre che di Ferragosto, ha scontentato ‘mezzo partito’ o, forse, pure di più.

Gli esclusi più ‘eccellenti’ dalle liste del Pd
Luca Lotti (Qn lo aveva scritto: Letta non voleva vederlo neppure dipinto, nelle liste elettorali, dicendo, gelido, ai toscani: “Se ha problemi giudiziari, sono problemi suoi, non nostri”) no. Stefano Ceccanti, provetto costituzionalista, mente di tutti i dossier elettorali e costituzionali, no. Al suo posto va il ‘bel Nicola’ (Fratoianni), nel collegio di Pisa, quello di Ceccanti, e peraltro era ed è pure un collegio ‘incerto’, mica ‘sicuro’. 

Anche se, forse, date le proteste coram populo (sui social e non) di costituzionalisti, cattolici democratici di provata fede (padre Occhetta), alla fine, Ceccanti, lo spunterà, un collegio, anche se lui, pubblicamente, nega di averlo ‘ricevuto’. Enzo Amendola, sottosegretario agli Esteri, titolare di tutti i dossier Ue, da molti anni e molti governi, stimatissimo dal premier Draghi come sul Colle, al terzo posto nel listino bloccato di Campania 1. Di fatto, messo in una posizione ineleggibile, medita la rinuncia. Letta sa di aver combinato un bel guaio e, allora, lo chiama e lo blandisce. “Il segretario – sottolineano fonti del Nazareno – ha rivolto ad Amendola un appello a nome di tutta la comunità dem ad accettare, visto che l’Europa sarà centrale nella campagna elettorale”. Amendola, napoletano raffinato, flemmatico, dotato di sense of humor, promette di ‘pensarci’ a compiere una vera e propria ‘mission impossible’.  

Alan Ferrari, vicecapogruppo al Senato, serio e gran lavoratore, no. Valeria Fedeli, riformista doc, storica segretaria dei tessili Cgil, no. Rosa Maria Di Giorgi (Toscana) neppure, tanto che ora dice: “Rifletterò sulla mia appartenenza al Pd”. Dario Stefano (tarantino tosto e coriaceo), capita la mala parata, si era già dimesso dal Pd e ora accusa Letta di “fare politica col rancore” (traduzione: sterminare tutti gli ‘ex’ renziani). Alessia Morani, riformista, sottosegretaria nel Conte II, rinuncia, sdegnata, a un posto da ‘super-precaria’, dove era stata messa, nelle sue Marche. Emanuele Fiano, uno dei migliori e più esperti deputati presenti a Montecitorio (compito: fare la ‘frusta’ per tenere dentro i colleghi perdigiorno), in un collegio incerto, difficilissimo, a Milano. Lui lo sa, ma – Fiano è uno storico esponente della comunità ebraica milanese, abituato a fare i conti con le minacce dei ‘fasci’ da decenni – non si scoraggia e già annuncia che “combatterà”. Salvatore Margiotta, storico senatore, lucano, riformista, no. Altri in posizioni assai ‘insicure’. 

A rischio c’è anche Filippo Sensi, ex portavoce di Paolo Gentiloni (e, soprattutto, di Renzi), che sarà candidato all’uninominale e in terza posizione al proporzionale Lazio 2. Per l’esponente dem, però, altro soggetto pacifico, pacato, pacioso, nessuna rinuncia all’orizzonte: sa già come andrà a finire.

Lorenzo Guerini, stavolta, perde le staffe…. E Base riformista ‘diserta’ il voto in Direzione.
Tutti di Base riformista, la corrente capeggiata dal ministro Lorenzo Guerini e proprio da Lotti. Il quale, però, tenne dentro, con le unghie e con i denti, molti ex ‘renziani’ tentatissimi dall’andare con Renzi, quando questi fece la scissione di Iv. 

Tanto che, nella fonda e drammatica notte della ‘infinita’ Direzione dem, quando Letta chiede “a tutti” di “non aprire il dibattito”, il ministro alla Difesa, Lorenzo Guerini, perso il solito aplomb, strappa il microfono dalle mani della Presidenza, e scandisce: “l’esclusione di Luca Lotti dalle liste è politicamente e pure moralmente, sbagliata. Siamo e dobbiamo restare un partito garantista. Si tratta di un errore politico grave e immotivato che non ha alcuna motivazione”. 

In sala cala il gelo e, al momento del voto (tutti favorevoli, ovviamente, soltanto 3 i contrari, tra cui il ‘vecchio’ popolare, Giuseppe Fioroni, che ne ha viste tante, nella Dc-PPI-Margherita-Pd, ma stavolta sta proprio nero nero, più 5 astenuti), i componenti di Base riformista escono platealmente dalla sala perché si rifiutano di partecipare al voto che vidima le liste Pd. Un gesto eclatante che fa il paio con quello dell’area Orlando-Cuperlo quando Renzi fece le liste, nel 2108, con relativi morti e feriti, ‘dall’altra parte’. Una scena che ricorda, si parva licet comparare magnum, quella del Terzo Stato che abbandona gli Stati generale di re Luigi XVII e si riunisce nella sala della Pallacorda per fare la rivoluzione. O, sempre in tema di partiti e di ‘rivoluzioni’, i comunisti che escono, cantando l’Internazionale, dalla sala del congresso del Psi, a Livorno, per fondare, orgogliosi, cocciuti, il Partito comunista.  

E dire che, di solito, quelli di ‘Br’ (l’acronimo più infausto e infelice nella storia delle correnti dem), sono considerati delle ‘mammolette’ che si tacitano, in cambio di posti, appena uno fa ‘buh’. 

Ma, anche, tra i Giovani Turchi, praticamente ‘sterminati’, cova una malcelata rabbia. Fausto Raciti (colto, giovane, siculo) e Giuditta Pini (tosta, preparata, modenese) vengono trombati. Francesco Verducci, braccio destro del leader della corrente, Matteo Orfini, finito in Piemonte, alla fine, ma in una posizione assai ‘difficile’. Si salvano solo, oltre Orfini, Chiara Gribaudo (Piemonte), Bruna Bossio e Chiara Braga, cioè in quattro, assai pochi. Sempre meglio che all’area di Graziano Delrio, ex capogruppo alla Camera, che ne porta a casa non più di 3 (tre)… 

Infine, Monica Cirinnà, pasionaria diritti Lgbt e animalista, in un collegio difficilissimo, in Lazio. 

La quale, altro che ‘occhi della tigre’, tira fuori lo ‘sguardo della faina’ e dice: “Il partito nazionale ha deciso di darmi una schiaffo, mettendomi su un collegio uninominale perdente nei sondaggi, difficile, senza paracadute e senza che lo sapessi”, ma “farò questa battaglia per salvare l’Italia da una destra oscurantista e dai fascisti” (sic). Letta chiacchiera di occhi di tigre. Io li tiro fuori”. Insomma, una strage, quella dentro il Pd, che lascia sul campo molti morti e diversi feriti.

I (tanti) ‘salvati’ e le ‘quote’ delle correnti dem 
Detto dei molti ‘sommersi’, va detto dei ‘salvati’. Oltre ai big (tutti capolista), alle due capogruppo (Serracchiani e Malpezzi), tutti blindatissimi, e ovviamente ai tre ministri (Franceschini, Guerini, Orlando) più il vicesegretario Beppe Provenzano (Sicilia), sulle liste Pd fanno il pieno le correnti della ‘sinistra’.

 Orlando (Dems) ne piazza ben 16, Zingaretti altri 6, Franceschini (Area dem) ne ha ben 10 e via così, in un brusco decalage, mentre agli altri (3 ai GT, 3 a Delrio) restano solo le briciole, e solo Base riformista si salva con 18/19 posti candidati in posizioni e posti ‘sicuri’ eleggibili. Poi, ovviamente, ci sono i lettiani (una ventina, tutti in posti sicuri, altro che “mi vanto di non aver mai avuto una corrente e di non volerla”). 

Per quanto riguarda i ‘big’, il ministro della Cultura Dario Franceschini coprirà la prima posizione al Senato in Campania, dove correrà per la Camera il titolare della Salute, Roberto Speranza. Fra i capilista in Lombardia compaiono Lorenzo Guerini, Carlo Cottarelli e la capogruppo dem al Senato, Simona Malpezzi, mentre Debora Serracchiani, presidente dei deputati dem, è in cima alla lista in Piemonte e Pier Ferdinando Casini è il nome scelto per l’uninominale del Senato in Emilia-Romagna (immaginiamo le ola di giubilo dei bolognesi). Fra i candidati di lusso il virologo Andrea Crisanti (circoscrizione Europa), il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, alla Camera e Laura Boldrini, capolista in Toscana.

I casi particolari dei candidati ‘uti singoli’… 
Poi, però, ci sono i casi degli uti singuli. C’è, non a caso, Piero De Luca, figlio di Vincenzo, governatore della Campania, il quale, a Letta, ha fatto un ragionamento basico, semplice semplice: o c’è mio figlio o non ti faccio prendere un voto. Ci sono gli uomini di un altro governatore che fa e disfa come vuole, in Puglia, Michele Emiliano. C’è la ‘moglie di’ (Franceschini), Michela De Biase, piazzata in un posto blindato, nel Lazio. E, ovviamente, i ‘giovani’ cari a Letta, 5 under 30, tutti ‘pulcini’, tra Federazioni e Giovani dem: Caterina Cerroni nel suo Molise, Silvia Roggiani (Milano), Marco Sarracino (Napoli), Raffaele La Regina (Lucania) e Rachele Scarpa (Treviso). 

Scegliere cinque giovani capilista per una legislatura in cui metteremo i giovani al centro delle politiche del lavoro e dell’istruzione. Per evitare che i giovani italiani continuino ad andarsene” twitta Lettache sarà a sua volta capolista alla Camera in Lombardia e in Veneto.

Peccato che non uno abbia un voto, in natura, tra i suoi giovani ‘pulcini’ e che, invece, tanti papabili – e portatori di voti ‘veri’ – siano stati esclusi… 

I paracadutisti, tra ‘nanetti’ e partiti ‘fratelli’ e l’ennesima polemica al vetriolo Letta-Renzi
Come ne hanno pochi i ‘paracadutati’ di ‘nanetti’ (Speranza, Maraio, Ciani) inglobati nel Pd e pure dei partiti ‘fratelli’ (Bonelli, Fratoianni, Di Maio, al quale è stato affibiato un collegio, ad Afragola-Secondigliano, che viene considerato, dai dem campani, i quali sanno di cosa parlano, perdente) cui sono stati, ‘gentilmente’, regalati seggi sicuri, da un Pd nelle vesti di donatore di (tanto) sangue. 

Potevo imporre persone ‘mie’, ma non l’ho fatto perché il partito è comunità” dice candido, Letta, nella ‘notturna’ della Direzione, con riferimento alla preparazione delle liste nel 2018 al Nazareno, fatte dall’allora segretario Matteo Renzi. Il quale – ormai è storia – si blindò con i suoi (Boschi, Bonifazi, Lotti), letteralmente, in una stanza, e fece le liste mentre gli altri ‘urlavano’ da fuori. 

Oggi, da leader di Iv, Renzi risponde a distanza e per le rime: “A me pare che – dalla scelta di come costruire la coalizione ai nomi delle liste – la guida di Enrico Lettasi sia caratterizzata più dal rancore personale che dalla volontà di vincere”. Però, poche ciance. Anche Iv (e Azione) stanno per comporre le loro, di liste, e saranno dolori. Anche perché i posti a disposizione sono assai meno, e decisamente, di quelli che ha il Pd…