Politica

Tre bilaterali-chiave per Draghi al G20

28
Ottobre 2021
Di Alberto de Sanctis

Sta per prendere il via a Roma il vertice fra i capi di Stato e di governo dei paesi del G20. L’incontro rappresenta una grande vetrina soprattutto per il primo ministro italiano Mario Draghi, che ha la possibilità di consolidare la sua leadership in ambito europeo ora che Angela Merkel è prossima all’addio dalla Cancelleria tedesca ed Emmanuel Macron deve fare i conti con l’imminenza delle elezioni presidenziali francesi.

Per il resto il vertice dirà molto poco. Oltre alla complessità dei temi in agenda (clima, salute, ripresa post-pandemia), è bene considerare che appuntamenti del genere sono tradizionalmente inadeguati per incidere concretamente sulle sfide che segnano la pelle del pianeta. Questo perché il riesplodere della competizione fra grandi e medie potenze, a ogni latitudine del globo, ha scardinato l’equivoco tipicamente post-storico e post-novecentesco per cui esistono degli interessi universali e condivisi su cui è possibile far convergere l’agenda di paesi con priorità e bisogni molto differenti.

Prova ne sia l’andamento della partita ambientale, su cui la presidenza italiana vuole giungere a un difficile preaccordo per la riduzione delle emissioni in vista della Cop26, convocata dalle Nazioni Unite a Glasgow immediatamente dopo il G20. Per gli Stati Uniti il dossier rappresenta un modo per riaffermare la propria leadership nei confronti degli alleati europei e asiatici dopo la parentesi dell’amministrazione Trump, oltre che uno strumento per colpire l’industria di potenze rivali come Cina e Russia, che difatti hanno puntualmente snobbato la kermesse romana (i presidenti Xi Jinping e Vladimir Putin parteciperanno soltanto da remoto) e faranno ben poco per favorire la riuscita del successivo vertice scozzese.

Preso atto dei limiti oggettivi del G20, per l’Italia l’appuntamento del fine settimana conserva comunque una certa valenza perché consentirà al capo del nostro governo di avere tre faccia a faccia con i leader di Stati Uniti, Turchia e India che si ritroveranno a Roma per il vertice.

Per quanto riguarda il bilaterale con il presidente americano Joe Biden, la priorità assoluta di Draghi è quella di confermare il rilancio dell’atlantismo osservato negli ultimi mesi dopo le pericolose sbandate dei governi Conte dovute a tragici errori di percezione (autoconvincimento del declino americano e delle necessità di avvicinarci alla Cina). Di qui le recenti mosse smaccatamente filoamericane di Palazzo Chigi, come nel caso dei limiti apposti alla penetrazione tecnologica cinese e l’indurimento della posizione italiana sulla Russia. Così come l’entusiastica adesione all’agenda green di Biden. In ballo c’è infatti da ricostruire la credibilità italiana dopo una lunga fase di appannamento, complice il bisogno di poter contare sul sostegno americano per favorire la nostra inclusione nell’euronucleo assieme a Francia e Germania da cui dipende il futuro del progetto unitario. In questo abbiamo l’opportunità di cavalcare l’evidente interesse americano a recuperarci: Washington vuole impedire a Berlino di usare l’Unione Europea per i propri fini e al contempo deve ricompattare gli alleati del Vecchio Continente per affrontare le sfide di Cina e Russia.

Discorso complesso anche per il bilaterale con il presidente turco Erdoğan. In questi anni Ankara si è stanziata alle porte dell’Italia grazie all’intervento militare nel conflitto civile libico e alla sostanziale conquista della Tripolitania che ne è derivata. La questione è molto delicata perché in ballo non c’è (soltanto) il controllo della ex quarta sponda, da cui peraltro dipende buona parte della nostra sicurezza. In gioco c’è principalmente il rango italiano all’interno dell’impero Usa: i turchi stanno facendo di tutto per segnalare la loro utilità tattica in chiave antirussa agli americani – i quali nel momento in cui lasciano il Mediterraneo per affrontare la sfida cinese hanno un estremo bisogno che i locali si attivino per contenere l’espansionismo russo. In questo senso, il fatto che negli scorsi mesi Draghi in persona abbia definito il presidente della Turchia come un dittatore va letto come una richiesta a Washington di non lasciarci soli coi turchi a Tripoli ora che questi ultimi si candidano a un ruolo di primo piano nel contenimento antirusso dall’Ucraina all’Africa settentrionale e sahariana. In questo senso il faccia a faccia con Erdoğan dirà molto della nostra capacità di recuperare un certo margine d’azione nel Mediterraneo e lungo la sponda sud del bacino, negoziando direttamente con un protagonista assoluto della geopolitica regionale. A peggiorare le cose c’è il fatto che il presidente turco può sempre giocare nei nostri confronti la doppia carta migratoria via rotte dei Balcani ed ex Libia.

Spazio infine al bilaterale con il primo ministro indiano Narendra Modi, in questi anni protagonista e animatore di un forte avvicinamento strategico agli Stati Uniti per rispondere alla crescente assertività della Cina. Le ambizioni egemoniche di Pechino investono ormai le terre e i mari che per Dehli rappresentano il giardino di casa – dal confine tibetano agli spazi marittimi e alle isole dell’Oceano Indiano – e ciò spiega il progressivo scostamento indiano dall’approccio ereditato dalla guerra fredda, basato sul non allineamento. A fronte di questo contesto, l’incontro Draghi-Modi conferma che anche il nostro paese è intenzionato a entrare nella geografia indo-pacifica dopo anni di relativo disinteresse per la regione, fatta eccezione per le missioni antipirateria condotte negli approcci occidentali dell’Oceano Indiano. I punti di collegamento con l’India, del resto, sono potenzialmente molto importanti: oltre alla sicurezza marittima, sul tavolo ci sono le relazioni commerciali e industriali, la tutela dell’ordine internazionale e dei diritti umani, la lotta al terrorismo. A patto che l’Italia sappia dotarsi di una chiara strategia indo-pacifica e che non perda di vista le sue priorità geopolitiche in Europa e nel Mediterraneo.

Photo Credits: TgCom – Mediaset

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