Il giorno del funerale di Papa Francesco è, innanzitutto, un momento di lutto collettivo. Ma verrà ricordato anche per la sua portata simbolica e politica: un evento che, pur nascendo nella dimensione spirituale, finisce per riflettere lo stato attuale del mondo: chi c’è, chi non c’è, chi parla con chi. In un momento in cui la diplomazia ufficiale fatica a trovare vie d’uscita, Roma – per qualche ora – si trasforma in un laboratorio temporaneo della politica globale. Senza negoziati, senza firme, senza proclami. Ma la presenza simultanea di leader provenienti da tutto il mondo crea un contesto unico, in cui il cordoglio si intreccia con la diplomazia. Un’occasione che si configura come uno degli eventi geopolitici più delicati e potenzialmente influenti dell’anno.
Non c’è un’agenda ufficiale. Non ci saranno comunicati congiunti, né dichiarazioni programmatiche. Ma questo non significa che non succederà nulla. Anzi, sono proprio le circostanze informali a rendere questi momenti significativi. Nei salotti delle ambasciate, nei corridoi dei palazzi vaticani, nei foyer degli hotel di lusso che ospitano le delegazioni, è lecito aspettarsi numerosi incontri bilaterali – brevi, riservati, ma carichi di peso politico.
Uno degli scenari più seguiti riguarda un possibile colloquio, anche fugace, tra il presidente americano Donald Trump e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. I rapporti tra Stati Uniti e Unione Europea sono entrati in una fase di nuova tensione, soprattutto sul fronte commerciale per via dei nuovi dazi annunciati da Trump (sebbene momentaneamente sospesi). A questi temi si aggiungono dossier già caldi come la difesa comune, l’intelligenza artificiale e – inevitabilmente – anche l’Ucraina. In questo contesto, anche un semplice scambio di battute tra i due leader potrebbe offrire indicazioni su possibili aperture, o nuove fratture, nei rapporti transatlantici.
Altrettanto rilevante è la possibilità che ci siano contatti, anche indiretti, tra la Cina e gli Stati Uniti. Entrambe le delegazioni sono presenti, e sebbene non siano previsti incontri ufficiali, i funerali di Stato, storicamente, hanno spesso funzionato da “canale parallelo” per scambi informali, talvolta più efficaci di quelli nei contesti multilaterali. Una stretta di mano, un saluto scambiato davanti alle telecamere, può valere quanto un vertice.
Anche la presenza di Zelensky apre a possibili incontri strategici. In particolare, con i leader europei e con quelli latinoamericani, tra cui Lula da Silva, da tempo impegnato in una narrazione più neutrale del conflitto. Un dialogo tra loro potrebbe essere un tentativo di mediazione o almeno di chiarimento reciproco.
Per la presidente del Consiglio italiano, questa occasione rappresenta un momento di altissima visibilità ma anche di delicatezza. Giorgia Meloni avrà un ruolo centrale: non solo come leader del Paese ospitante, ma anche come interlocutrice privilegiata per molte delegazioni, specie quelle europee, del Mediterraneo e dell’Africa.
Il funerale diventa per Meloni un banco di prova importante in almeno tre direzioni: consolidare il suo posizionamento internazionale come figura affidabile e centrale nel panorama europeo; rafforzare l’immagine di un’Italia capace di gestire grandi eventi globali in sicurezza e con dignità; e, più implicitamente, ribadire la centralità del Vaticano – e quindi di Roma – come punto d’incontro globale che solo l’Italia può offrire.
Il vero valore per Meloni, però, sta anche nel simbolismo. In un’Europa in continua trasformazione, essere il punto d’incontro per il mondo intero è un’occasione per mostrare che l’Italia può ancora avere un ruolo di primo piano come attore politico.
