Politica
Tensioni nella maggioranza alla vigilia del G7
Di Beatrice Telesio di Toritto
Nella giornata di sabato Giorgia Meloni presiede la prima riunione dei capi di Stato e di Governo del G7 sotto la presidenza italiana. Al centro del dibattito, un unico grande tema, quello dell’Ucraina, nel giorno del secondo anniversario dell’invasione russa. Una data particolarmente simbolica che giustifica la partecipazione del presidente ucraino Volodymyr Zelensky e prova l’intenzione del Gruppo dei sette di sfruttare questo confronto per riaffermare il sostegno all’Ucraina. Il G7 a guida italiana ha infatti il compito, non certo banale, di presentare a Zelensky delle risposte concrete su come intende procedere a difesa di Kiev, al netto di una situazione internazionale che nell’ultimo anno si è fatta particolarmente più tesa. La lenta e non efficace controffensiva ucraina, le fratture nei vertici militari di Kiev, le nuove crisi aperte in Medio Oriente e, non per ultimo, il possibile ritorno di Trump alla presidenza americana, pesano notevolmente sul bilancio ucraino. La prospettiva a cui lavorano i leader occidentali, in primis il nostro presidente del Consiglio, è quindi un ulteriore inasprimento delle sanzioni nei confronti del Cremlino, in un clima oltretutto di grande preoccupazione e commozione a seguito della morte del principale dissidente russo, Alexey Navalny.
Navalny, che secondo il servizio penitenziario russo è morto il 16 febbraio, era considerato da circa 15 anni la figura più importante del movimento per la democrazia in Russia, oltre che la principale minaccia interna al potere di Putin. Nonostante fosse detenuto da più di tre anni in un carcere di massima sicurezza, Navalny aveva dedicato la sua vita alla denuncia della corruzione e del malcostume dell’élite politica russa, diventando una figura politica alquanto popolare a livello internazionale. Lunedì la vedova di Alexei, Yulia Navalnaya, ha pubblicato un video per annunciare l’intenzione di portare avanti l’impegno del marito e la sua opposizione al regime del presidente russo Vladimir Putin. La questione ha suscitato immediatamente reazioni di condanna da parte di vari osservatori internazionali, guadagnandosi anche il centro del dibattito nostrano. In Italia infatti tutte le forze politiche si sono strette nella commemorazione del dissidente moscovita senza distinzioni tra maggioranza e opposizione. La vicenda ha inevitabilmente riacceso i riflettori dell’opinione pubblica sulla Russia di Putin, ritenuto da molti il responsabile dell’accaduto, a un mese quasi esatto dalle elezioni presidenziali russe. Eppure le proteste svoltesi a Roma sono rimaste in parte ambigue e i partiti non si sono schierati tutti nello stesso modo nella manifestazione promossa da Carlo Calenda. Matteo Salvini, in particolare, ha fatto parlare di sé assumendo una posizione alquanto “garantista” sull’accaduto e commentando così la vicenda: “Non possiamo giudicare cosa è successo dall’altra parte del mondo. Capisco la posizione della moglie, ma la chiarezza la fanno i medici e i giudici, di certo non noi”. Parole che hanno suscitato l’indignazione dell’opposizione, ma che non sono state accolte positivamente neppure dagli alleati, a maggior ragione se pronunciate a poche ore dalla prima riunione G7 a guida meloniana.
D’altro canto le questioni internazionali non sono l’unico punto su cui si sta scontrando la maggioranza. È infatti proseguito il dibattito sul terzo mandato che ha visto per giorni contrapporsi le posizioni della Lega da una parte e FdI e FI dall’altra. Se giovedì mattina il partito del Carroccio ha ritirato l’emendamento per introdurre il terzo mandato per i sindaci delle grandi città, ha altresì deciso di portare avanti quello sui presidenti di regione, respinto successivamente dalla Commissioni Affari costituzionali, anche per volere delle altre forze di maggioranza. “Ci riproveremo: per noi la partita non è chiusa. Siamo convinti che l’ineleggibilità di un rappresentante dei cittadini deve passare solo da un voto popolare. Non può essere una norma a dire che un governatore che ha fatto bene, gradito ai cittadini, non può essere eletto a causa della decisione dei partiti”, ha dichiarato il senatore leghista Paolo Tosato. Il fatto che la maggioranza si sia divisa, ha aggiunto, “non è un problema, il governo ha lasciato libertà di voto correttamente, non c’è frattura né ripercussione sulle attività di governo, riproporremo il tema in futuro in altri provvedimenti”. Eppure anche le prossime elezioni regionali in Sardegna, che si terranno domenica 25 febbraio, hanno visto i due principali partiti del governo nazionale scontrarsi. Se Fratelli d’Italia insisteva per presentare Paolo Truzzu, attuale candidato della colazione di destra, la Lega avrebbe preferito venisse scelto Solinas, il leader del Partito Sardo d’Azione che nel 2019 era stato eletto proprio grazie al sostegno della Lega. Si vedrà nel giro di pochi giorni se questa scelta sia stata vincente o meno.