Politica
Speciale 11 settembre. Parla Simone Crolla, Consigliere Delegato di AmCham: “Italia e Usa vicini oltre ogni crisi”
Di Redazione
Simone Crolla da 12 anni dirige la American Chamber of Commerce in Italy ed è uno dei più profondi conoscitori degli USA e dei loro rapporti con l’Italia. L’11 settembre è una data che ha avvicinato molto i due paesi, sul piano commerciale, politico e sociale. E ancora oggi questo rapporto è vivace e dinamico. Per averne una misura basta osservare i punti di contatto tra i due mercati e l’andamento di queste relazioni negli ultimi vent’anni. E il risultato è un fatturato complessivo di 129 mld di euro sviluppato dalle oltre 2400 imprese italiane negli States.
Sono passati 20 anni dalla tragedia che ha provocato 3mila vittime. Quanto è ancora viva nei cittadini americani la memoria di quel giorno e cosa è stata capace di cambiare nella società a stelle e strisce?
Si, sono “già” passati vent’anni da quello che fu il giorno più buio che gli Stati Uniti d’America abbiano mai vissuto e che ha segnato per sempre il corso della storia tra Occidente e Medio Oriente. È una data scolpita nella nostra memoria, un attentato che ha colpito il cuore del nostro mondo. Di fatti, è stato il giorno in cui tutto è iniziato, l’unico caso nella storia della Nato in cui ci si è appellati a quanto dispone il suo Articolo V, in virtù del quale un attacco contro uno Stato membro è considerato un attacco contro tutti gli Stati membri. Proprio per questo penso che la memoria sia più viva che mai, considerando anche la situazione che abbiamo vissuto nell’ultimo mese e che contribuisce a far comprendere il perché fosse ormai necessario terminare la guerra più lunga della storia d’America.
Inforcando le lenti di AmCham che lei dirige da 12 anni, com’è cambiato dalla tragedia il commercio internazionale in questi due decenni e che fase sta vivendo. Quali sono i settori produttivi USA più in salute?
Il commercio internazionale, in particolar modo tra Italia e Stati Uniti, dimostra la grande amicizia tra i nostri Paesi. Storicamente il dato italiano è stato superiore a quello americano. Il nostro export vale $49,5 miliardi (primo mercato extra europeo) e riguarda principalmente macchinari, autoveicoli, pharma e food; oltre il doppio dell’import, che si attesta a $19,9 miliardi (entrambi i Paesi, nel 2020, hanno registrato un calo che oscilla tra il 13 e il 16%, a testimonianza dell’importanza e dell’interconnessione tra le due economie anche nell’annus horribilis del Covid). Solo nel 2010, eravamo fermi a $28,5 miliardi esportati dall’Italia e $14,2 dagli USA. Una crescita costante che, di fatti, nemmeno il Covid ha saputo arrestare.
Biden sollecitato dalle associazioni dei familiari delle vittime ha deciso la disclosure dei documenti secretati Fbi sull’11 settembre. Che ripercussioni potrebbe provocare questa decisione sul commercio internazionale? E su quello Italia-USA?
Promessa mantenuta dal Presidente Biden. A livello internazionale, più che sul commercio, penso sarà interessante guardare cosa accadrà a livello di investimenti che, sull’asse transatlantico, potrebbe vederci tra i protagonisti. Perché l’Italia piace, come ribadito a inizio luglio a Roma dal CEO di Intel Pat Gelsinger, che ha incontrato Draghi, Colao e Giorgetti (senza dimenticarsi di Papa Francesco), spiegando che l’Italia “è in corsa per una fabbrica da 100 miliardi di dollari”. Parole che fanno eco a quelle del CEO di J.P. Morgan Jamie Dimon: “È un Paese che sta attraversando una fase di rinnovata espansione economica, avrà una buona crescita quest’anno e trarrà ulteriori vantaggi dalla eccezionale leadership di Draghi”. Draghi, nonostante non abbia davanti a sé un orizzonte di governo di lungo periodo – e con le difficoltà in patria per Merkel e Macron – si trova apertamente allineato con la visione filoatlantica ed europeista, come sottolineato nel suo discorso di insediamento, dove ha dato ampissima attenzione all’importanza del rapporto con gli USA (menzionando la Cina solo una volta). In questo tempo di sfide globali senza precedenti, che solo insieme possiamo superare, l’intesa tra Washington e Roma è più importante che mai, per rinnovare e accrescere il capitale di fiducia su cui si fonda la comune azione a favore della sicurezza, di un ordine internazionale basato su regole, della tutela dei diritti umani e di uno sviluppo globale autenticamente sostenibile.
Wall Street in questi 20 anni si è praticamente moltiplicata: il Nasdaq vale 9 volte quello che era nel 2001, il Dow Jones 3 volte. Com’è cambiata la considerazione degli americani per la Borsa? Rimane la Bibbia del business?
La vera bibbia del business in America è e sarà sempre l’economia, che si basa su valori di autonomia e intraprendenza intrinsecamente legati all’‘American Dream. Sebbene le dinamiche di interi settori siano cambiate negli ultimi 20 anni, con tre grandi avvenimenti che hanno segnato il corso del nuovo secolo (11 settembre, crisi finanziaria del 2008 e Covid-19), l’attività economica, nel complesso, ha sempre saputo riprendersi, andando ben oltre le aspettative. Basti pensare solo al fatto che, nel 2020, dopo aver affrontato la più grave recessione dai tempi della Grande depressione, gli Stati Uniti hanno registrato una crescita annua record del PIL pari al 33,1% nel terzo trimestre dell’anno. L’andamento della Borsa americana è andato di pari passo con questo trend, rispecchiando il sentiment delle persone nei confronti della loro economia.
La guerra dei 20 anni in Afghanistan è iniziata subito dopo l’11 settembre. Oggi la battaglia USA non sembra essere stata vinta e Biden a pochi giorni dall’11 settembre ha comunque mantenuto la promessa del disimpegno definitivo. Che notizia è per il commercio Italia-USA?
Come detto, il commercio internazionale non penso subirà particolari contraccolpi. Sarà curioso vedere cosa accadrà sul fronte investimenti, che mi auguro vedrà un rinvigorirsi dell’alleanza transatlantica. Possiamo giocare la partita da protagonisti, anche se la strada da percorrere è ancora lunga. Infatti, purtroppo, oggi l’Italia non è nel radar degli investitori internazionali e riveste un ruolo marginale nell’attrarre flussi di capitale produttivo. A partire dal 2008, anno della crisi finanziaria globale, gli FDI americani nel nostro Paese sono passati da $27,7 miliardi agli attuali $34,9 miliardi. Troppo pochi se comparati ai principali concorrenti europei: la Spagna è a quota $40,8 miliardi, la Francia a $83,8 miliardi e la Germania addirittura a $148,3 miliardi (oltre ad investimenti iconici, come la megafabbrica di Tesla che aprirà alle porte di Berlino), in un’Europa che attrae circa il 60% dello stock USA investito globalmente, oltre tre volte e mezza di quanto destinato all’Asia-Pacifico.
Cosa ha in programma la AmCham per commemorare il Ventennale dell’11 settembre?
Abbiamo organizzato, in collaborazione con il Centro Studi Americani e Aspen Institute, una commemorazione che vedrà la partecipazione, tra gli altri, del Prefetto Giovanni De Gennaro, del Prof. Giulio Tremonti e del Ministro Luigi Di Maio. Un momento di solidarietà e di spiritualità e di fermo impegno affinché quegli eventi drammatici non abbiano mai più a ripetersi, mentre ideali come libertà e rispetto della persona possano continuare ad affermarsi quotidianamente, in ogni parte del mondo e nel pieno rispetto delle differenze di qualunque natura. Un’occasione di ricordo e riflessione per i cittadini e le istituzioni e per tutti i protagonisti della nostra epoca. Tengo particolarmente a ringraziare le aziende che hanno scelto di supportare questa iniziativa e che ringraziamo di cuore per aver avuto la sensibilità di commemorare, insieme a noi, questa giornata così speciale.
Di cosa ha più bisogno dalle aziende italiane in questa fase il mercato USA?
L’Italia piace negli USA, ben al di là delle tradizionali 3F (fashion, food e furniture) che caratterizzano, nell’immaginario collettivo, il nostro Paese all’estero. Non dimentichiamoci di settori chiave quali machinery, chimica e farmaceutica. Infatti, l’elevato livello di know-how e l’appeal del Made in Italy, elementi che contraddistinguono gran parte delle aziende e del tessuto industriale del Paese, oltre che nicchie di assoluta eccellenza, risultano essere da sempre fattori competitivi per le strategie di consolidamento nel mercato americano. Ed è per questo che negli USA, le oltre 2.400 imprese italiane hanno una presenza capillare in tutto il territorio federale, generando più di 250.000 posti di lavoro e un fatturato complessivo di circa 129 miliardi di euro.
Ci dia tre ottimi motivi per un’azienda italiana per investire negli USA oggi
Con un Pil di 20mila miliardi di dollari e una popolazione di oltre 325 milioni di persone, gli Stati Uniti rappresentano il mercato di consumo più attrattivo al mondo, caratterizzato da un profondo senso della cultura d’impresa. Per questo sono una meta privilegiata per le aziende italiane. Quello americano è per sua natura un mercato più flessibile e resiliente, si adatta più velocemente: nell’ultimo anno, nonostante le difficoltà, gli Stati Uniti si sono ripresi prima e meglio di noi, che siamo forse ‘anestetizzati’ da una retorica del ‘back to normal‘ carica di eccessivo entusiasmo per i numeri dei contagi inferiori rispetto a quello di altri Paesi occidentali. La vera sfida è rafforzare ulteriormente la partnership di business transatlantica, per rendere la distanza tra i nostri due Paesi significativamente minore rispetto ai 6.462 km che separano Milano da New York.