Politica

Sfide complicate per destra e sinistra, si sconsigliano “soluzioni” furbesche

22
Marzo 2022
Di Daniele Capezzone

La sinistra, in assenza d’altro, ritrova il suo centro di gravità, alla vigilia delle elezioni, sotto le insegne dell’antifascismo (e chi è il “fascista”? Elementare, Watson: il momentaneo leader della destra, necessariamente da “fascistizzare”, appunto), e nel resto delle stagioni politiche, tra un’elezione e l’altra, affidandosi alla sua antica pretesa di superiorità intellettuale e morale: chi è per definizione dalla parte “giusta” si pone graziosamente il problema di “civilizzare” gli altri, di volta in volta qualificati come evasori, potenziali evasori, proprietari di case abusive, guidatori di Suv posteggiati in doppia fila. L’essenziale – da sinistra – è consolidare il proprio mindset, la propria forma mentis, che allude regolarmente all’inferiorità (e dunque alla disprezzabilità) antropologica degli avversari, e perfino di quote enormi di elettorato. Esagero? Probabilmente per difetto.

Dall’altro lato, a destra, almeno questo vizio non c’è. Semmai, c’è il suo opposto, e cioè uno spesso immotivato complesso di inferiorità, una ricerca di “accettazione” e “legittimazione”, come se si attendesse il responso di chissà quale “giuria di qualità” per essere ammessi in società. Culturalmente parlando, invece, da quasi trent’anni a destra si ondeggia tra suggestioni molto diverse: le parole liberali (ahinoi, non i fatti…) della Forza Italia del ’94, poi una lunga stagione “colbertista”, poi un sovranismo dai contorni spesso non a fuoco. E adesso? E ora non si sa, tra gruppi dirigenti smarriti e in cerca di identità e elettori abbandonati a se stessi, tra partite Iva dimenticate e vaste aree consegnate al disincanto (quando va bene) o a una marginalità rassegnata.

Il 24 febbraio, l’invasione russa dell’Ucraina ha – per così dire – “sorpreso” il ceto politico italiano in mezzo al guado. La sinistra ha reagito a modo suo, con furbizia: con un Enrico Letta lestissimo a recitare la parte (non di rado, con apparente efficacia) del credibile leader filo-occidentale, proprio mentre allestisce un caravanserraglio di tutto e il contrario di tutto (grillini, seguaci della Schlein, ecopacifisti assortiti). Solita storia: una sinistra che controlla i media e il discorso pubblico è in grado di assorbire qualunque contraddizione, recitando sia la parte “governista” sia quella “movimentista”.

E di là, a destra? Si oscilla tra l’afasia dei più, l’imbarazzo di altri, e una non irrilevante platea social (alcuni spintanei, altri tragicamente spontanei) che subisce la fascinazione autoritaria. E che non riesce a distinguere: una cosa (bene) è rinfacciare a tecnocrati e progressisti occidentali la loro disattenzione alla libertà nel biennio pandemico, altra cosa (assurda) è pensare che la libertà possa stare a cuore a dittatori e autocrati. O ancora: una cosa (bene) è essere culturalmente alternativi ai liberal, altra cosa (preoccupante e alla lunga radioattiva) è avere un conto aperto verso liberali, liberalismo, libertà, Occidente.

Sono questioni serie e gravi, che richiederebbero un lavoro culturale profondo, senza furbizie, senza scorciatoie. Dunque, è realistico immaginare che quel lavoro non ci sarà.

Quante questioni irrisolte, e chissà se risolvibili, per la destra e la sinistra italiane. Già da anni, per così dire “in tempo di pace”, le due coalizioni erano in cerca di un ubi consistam, faticando a rintracciarlo.

La sinistra, in assenza d’altro, ritrova il suo centro di gravità, alla vigilia delle elezioni, sotto le insegne dell’antifascismo (e chi è il “fascista”? Elementare, Watson: il momentaneo leader della destra, necessariamente da “fascistizzare”, appunto), e nel resto delle stagioni politiche, tra un’elezione e l’altra, affidandosi alla sua antica pretesa di superiorità intellettuale e morale: chi è per definizione dalla parte “giusta” si pone graziosamente il problema di “civilizzare” gli altri, di volta in volta qualificati come evasori, potenziali evasori, proprietari di case abusive, guidatori di Suv posteggiati in doppia fila. L’essenziale – da sinistra – è consolidare il proprio mindset, la propria forma mentis, che allude regolarmente all’inferiorità (e dunque alla disprezzabilità) antropologica degli avversari, e perfino di quote enormi di elettorato. Esagero? Probabilmente per difetto.

Dall’altro lato, a destra, almeno questo vizio non c’è. Semmai, c’è il suo opposto, e cioè uno spesso immotivato complesso di inferiorità, una ricerca di “accettazione” e “legittimazione”, come se si attendesse il responso di chissà quale “giuria di qualità” per essere ammessi in società. Culturalmente parlando, invece, da quasi trent’anni a destra si ondeggia tra suggestioni molto diverse: le parole liberali (ahinoi, non i fatti…) della Forza Italia del ’94, poi una lunga stagione “colbertista”, poi un sovranismo dai contorni spesso non a fuoco. E adesso? E ora non si sa, tra gruppi dirigenti smarriti e in cerca di identità e elettori abbandonati a se stessi, tra partite Iva dimenticate e vaste aree consegnate al disincanto (quando va bene) o a una marginalità rassegnata.

Il 24 febbraio, l’invasione russa dell’Ucraina ha – per così dire – “sorpreso” il ceto politico italiano in mezzo al guado. La sinistra ha reagito a modo suo, con furbizia: con un Enrico Letta lestissimo a recitare la parte (non di rado, con apparente efficacia) del credibile leader filo-occidentale, proprio mentre allestisce un caravanserraglio di tutto e il contrario di tutto (grillini, seguaci della Schlein, ecopacifisti assortiti). Solita storia: una sinistra che controlla i media e il discorso pubblico è in grado di assorbire qualunque contraddizione, recitando sia la parte “governista” sia quella “movimentista”.

E di là, a destra? Si oscilla tra l’afasia dei più, l’imbarazzo di altri, e una non irrilevante platea social (alcuni spintanei, altri tragicamente spontanei) che subisce la fascinazione autoritaria. E che non riesce a distinguere: una cosa (bene) è rinfacciare a tecnocrati e progressisti occidentali la loro disattenzione alla libertà nel biennio pandemico, altra cosa (assurda) è pensare che la libertà possa stare a cuore a dittatori e autocrati. O ancora: una cosa (bene) è essere culturalmente alternativi ai liberal, altra cosa (preoccupante e alla lunga radioattiva) è avere un conto aperto verso liberali, liberalismo, libertà, Occidente.

Sono questioni serie e gravi, che richiederebbero un lavoro culturale profondo, senza furbizie, senza scorciatoie. Dunque, è realistico immaginare che quel lavoro non ci sarà.

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