Diciamoci la verità, siamo un popolo che dimentica in fretta. E abbiamo sostituito la cultura della programmazione che pure per i decenni successivi all’ultima guerra aveva caratterizzato il nostro Paese, con quella dell’emergenza e della memoria corta.
Attoniti, indignati, pronti a grandi dichiarazioni retoriche e a roboanti professioni di fede dinanzi a ogni fatto drammatico, a ogni grave crisi, ci ripromettiamo di tenere conto della dura lezione e non ricommettere più gli stessi sbagli.
Negli ultimi anni la pandemia e, solo poche settimane fa, la frana di Ischia.
La reazione al Covid seguì il solito copione: prima sufficienza, poi paura e dipoi infine la solennità degli impegni: tornare a investire sulla sanità pubblica e ricostruire e valorizzare la sanità del territorio, cambiando il paradigma di un servizio sanitario ospedale centrico, puntare sulla telemedicina e sull’assistenza diretta alla persona, quella fragile in particolare.
Al di là di qualche lodevole iniziativa, nulla o quasi è cambiato.
Registro già nella mia regione, la Basilicata, che mancano i medici sul territorio, che addirittura non si riesce ad organizzare compiutamente il servizio di guardia medica e in molti comuni i medici di base sono sempre di meno con sempre più assistiti.
Non vedo un adeguato rafforzamento dei piani socio assistenziali che meriterebbero maggiori risorse, e non mi pare vi sia traccia di progetti di avanguardia come quelli sulla telemedicina.
Ma non dissimile il canovaccio che riguarda Ischia, per quanto più ravvicinato per cui la prova del nove vi sarà più avanti.
Copione incredibilmente tanto simile ai flagelli che hanno attraversato il nostro territorio dissestato: grande clamore, lo scandalo dell’abusivismo, l’impegno alla manutenzione territoriale, la promessa mai più condoni e vario altro.
Ancora manca un piano organico e possente di mitigazione del rischio idrogeologico e di risanamento ambientale nel nostro Paese e di prevenzione attraverso lo studio, la tecnologia, una politica urbanistica severa.
Il Presidente Mattarella nel suo autorevole ed efficace intervento di fine anno, ci ha ricordato il rapporto tra la transizione energetica e digitale e il valore prioritario, direi essenziale della ricerca scientifica.
Ma quanti fondi spendiamo in più per la ricerca rispetto al passato? Pochi rispetto a ciò che servirebbe.
E quanto riusciamo a stimolare la ricerca nel settore privato? Sono domande che dobbiamo porci se vogliamo uscire da una politica asfittica del giorno dopo giorno, incapace di visioni e di passioni.
Il vero grande tema, la manutenzione è connesso alla ricerca e alla programmazione. Si finanziano le opere ma non si prevede una posta finanziaria per la manutenzione delle medesime.
E come fa un comune che si vede finanziata una strada, o un acquedotto, un teatro o una struttura sportiva a trovare i soldi per manutenerli? Si può prevedere che nei programmi europei e nazionali accanto al finanziamento delle opere sia prevista fin dall’inizio una posta relativa alla manutenzione successiva?
Ora a marzo vedremo se il Covid rialzerà la testa, speriamo di no! Ma proviamo a vivere questo 2023 liberandoci dalla angustia della emergenza e provando a guardare lontano, facendo tesoro delle lezioni della storia.