Politica

Un senso a questa storia 

23
Settembre 2024
Di Daniele Capezzone

Se ti capita di chiederlo a uno dei protagonisti dell’attuale scontro politico, da un lato o dall’altro della barricata, ti guarderà con occhi stupiti, e esiterà a risponderti, forse perché troverà perfino stravagante la domanda. O probabilmente – mi accade di temere – perché nei palazzi si avverte ormai un senso perfino di curiosa sorpresa verso i tipi strani che si lascino “distrarre” da simili interrogativi. 

E allora ecco la domanda: qual è il senso a questa storia, citando Vasco? In altri termini: al di là del “day by day”, del giorno per giorno, della battaglia quotidiana su questo o quel tema, qual è l’obiettivo di fondo, di medio termine, di respiro non cortissimo, che si pongono le due coalizioni?

Onestà intellettuale impone di premettere che la stessa domanda va posta in modo diverso nei due campi. A destra una coalizione c’è (a livello nazionale e locale), e un grado tutto sommato elevato di coesione tra i tre partiti è riconosciuto e accertato. A sinistra invece la coalizione non c’è ancora, è in via di formazione, e questa è una differenza oggettivamente rilevantissima. 

E tuttavia la domanda resta. A sinistra, oltre alla missione di mettersi tutti insieme “contro le destre”, che scopo si danno? Che visione della società li muove? Quali obiettivi programmatici in positivo sono alla base della nuova unità da costruire? In tutta franchezza, non si vede nulla di ciò. E quel che si intravvede –come denominatore comune – non rassicura affatto: in politica estera, uno scivolamento neanche troppo lento verso il campo geopolitico sbagliato, e in economia un idem sentire centrato sulla terribile combinazione tasse alte/spesa alta/sussidi.

E a destra? Di nuovo, correttezza richiede un’analisi differenziata rispetto alla sinistra. Il governo non commette errori particolari, la premier è sicuramente un elemento di certezza, e – sia in politica estera che in economia – non ci sono stati passi falsi. Anzi, vanno riconosciute non poche scelte nella direzione giusta. E però – ecco il punto – si fa fatica a individuare una “missione” di legislatura, un obiettivo di trasformazione del Paese, un ritmo di marcia corrispondente alle speranze di molti elettori. E il rischio è quello di accettare come prospettiva una gestione (pur seria, dignitosa, responsabile) dello status quo, con novità poco percepibili. Per non dire del rumore di fondo (in qualche caso, della fastidiosa cacofonia) prodotta dal vociare di (o intorno a) alcuni ministri: un fattore di distrazione (quando va bene), una manna dal cielo per la stampa ostile (quando va male), e comunque una causa di defocalizzazione comunicativa rispetto all’agenda concreta che Giorgia Meloni vorrebbe positivamente proporre/imporre. 

Per carità: il mestiere della politica è maledettamente complicato, e oggi lo è anche di più, immersi come siamo nella “likecrazia” turbomediatica e sotto il condizionamento di vincoli esterni che riducono lo spazio di effettiva agibilità dei governi. Sicché, l’attesa di cambiamento dei cittadini tende a diventare inversamente proporzionale rispetto alle reali possibilità di manovra dei vincitori di una prova elettorale. Ma tutto questo – a maggior ragione – dovrebbe indurre sia la maggioranza sia l’opposizione a non perdere il filo, e, per quanto si tratti di un esercizio difficile, a chiarire agli elettori la traiettoria, la prospettiva, il compito di medio periodo che le due coalizioni intendono darsi. Dove vogliono andare, dove vorrebbero portare l’Italia: non solo la battuta al tg sulla polemichetta di giornata.