Politica

Risse da tronisti-tv? Occhio, la politica continua a perdere credibilità

17
Aprile 2023
Di Daniele Capezzone

In un libro di ormai tre anni fa (ma che mi pare stia invecchiando piuttosto bene: si intitola Likecrazia), provai a raccontare senza pregiudizi la nuova dimensione della comunicazione politica: il rimbalzo tra tv e social, la personalizzazione fortissima, le ondate emotive, la polarizzazione accesissima, il rischio (anzi: la certezza) di un ultraveloce logoramento delle leadership, e così via. 

Qual era l’elemento distintivo di quel libro volutamente “pop” rispetto a pubblicazioni accademiche, italiane e straniere, che affrontavano quegli stessi temi? Per un verso, una dimensione orgogliosamente artigianale: quella di chi frequenta il mondo della comunicazione perché ci vive dentro senza gestire né testate né trasmissioni tv. Insomma, più la prospettiva del paziente in sala operatoria che quella del chirurgo (o dei numerosissimi anestesisti: quelli in Italia non mancano mai). 

Per altro verso, un tono meno catastrofico rispetto ad altre letture. Certo, non mancava la consapevolezza dei rischi connessi a una dimensione politica così volubile, volatile, ipermediatizzata. E tuttavia c’era la presa d’atto che quella era (è) l’arena in cui combattere: tanto valeva e tanto vale elaborare ogni lutto, e cercare con intelligenza e buon senso – per quella via e con quei mezzi – di raggiungere il maggior numero possibile di persone, rendendosi comprensibili attraverso un linguaggio che possa essere inteso, e tentando così di veicolare idee e progetti. 

Ecco, la sensazione è che qualcuno abbia dimenticato l’ultimo punto, che non è un dettaglio: veicolare idee e progetti. Se invece ciò che si veicola è solo la propria dimensione egotica ed egoriferita (le recenti vicende del terzo polo sono solo il pretesto, l’occasione per questo articolo: non intendo addentrarmi in questa sede in valutazioni di merito sul comportamento dei protagonisti di quella storia), il rischio è una sempre minore distinguibilità tra i protagonisti della politica e i tronisti di altre trasmissioni televisive. 

Anche questi ultimi possono “piacere” o “dispiacere” al pubblico: perché sono più o meno belli, più o meno simpatici, più o meno capaci di portare dalla propria parte il pubblico, e così via. Ma – nel caso dei reality o dei programmi di intrattenimento – non c’è alcuna pretesa di far avanzare idee, idealità, obiettivi civili. È tutto e solo show: vorrei dire che si tratta “lealmente”, “onestamente”, solo di uno show a cui nessuno si sognerebbe di chiedere altro rispetto a ciò che uno spettacolo deve fornire. 

Nel caso della politica, invece, si richiederebbe anche altro. Guai a chi – altezzosamente – finga di non comprendere che una parte di show sia necessaria anche in questo caso, nel tempo in cui siamo chiamati a vivere. Ma guai a chi, mentre partecipa allo show, dimentica che il suo compito – in questo caso – sarebbe anche un altro, e cioè quello di essere testimone (se preferite: testimonial, non mi vergogno di scriverlo così) di una certa idea dell’Italia. Se sei un politico (o un comunicatore politico) e dimentichi questa parte, ti rendi indistinguibile dai protagonisti e dalle comparse dell’altro genere di show. E non fai un buon servizio né alle tue idee (se ne hai) né alla credibilità della politica. 

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