Politica
“Risana Napoli, e poi muori”. Il patto Pd-M5s c’è, peccato che manchi il candidato. Dopo Fico, anche l’ex ministro Manfredi dice ‘no, grazie’. L’alternativa è Enzo Amendola. Conte e Letta continuano il pressing sul rettore, ma il problema è…
Di Ettore Maria Colombo
Il ‘patto di Polillipo’ Pd-M5s siglato in un caffè
“Risana Napoli, e poi muori” si potrebbe dire, riadattando il vecchio adagio napoletano noto in tutto il mondo (“Vedi Napoli e poi muori…”). Il patto tra Pd e M5s, nel capoluogo partenopeo, in vista delle prossime amministrative di ottobre, c’è ed è stato pure formalmente siglato, tra Pd e M5s locali, cioè ‘partenopei’.
La curiosità è che il patto è stato siglato in un ignoto bar di Posillipo, quartiere residenziale della Napoli bene, e non nel bar della Napoli più ‘politica’, il centralissimo caffè ‘Gambrinus’, che si trova in piazza Plebiscito, a un tiro di schioppo da palazzo San Giacomo, sede decadente dell’amministrazione del capoluogo campano. Il guaio – o, come si direbbe a Napoli, l’inguacchio – è che, ad oggi, il patto per andare insieme alle prossime comunali c’è, ma manca il candidato.
Il guaio è che ai giallorossi manca il candidato
Dopo la rinuncia, un vero e proprio ‘non detto’, ma definitivo, del pentastellato Roberto Fico, ha detto ‘no grazie’, in teoria, anche l’ex ministro Gaetano Manfredi con tanto di lettera pubblica in cui chiede una legge per i comuni in default, guarda caso come è Napoli (e non solo Napoli): “Servirebbe un nuovo patto per la città come è stato fatto per Roma” altrimenti – spiega – “il sindaco diventa un commissario liquidatore”.
Insomma, se nelle principali altre città al voto, ci sono i candidati – di Pd come dei 5Stelle – ma non c’è la coalizione (a Roma come a Torino), o per colpa delle sindache uscenti pentastellate, che di accordi con il Pd non vogliono sentir parlare, o per colpa del Pd che i 5Stelle neppure li vuole (come a Milano) o in attesa delle primarie dem (come a Bologna) che devono sancire il vincitore, a Napoli la coalizione c’è, ma non il candidato…
Dopo Fico e il no di Manfredi, c’è Amendola?
Saltati ‘sicuramente’ Fico e definitivamente, forse, Manfredi, resterebbe solo Enzo Amendola. Ieri ministro (nel Conte II) e oggi sottosegretario, nel governo Draghi, ex segretario del Pd campano, colto e raffinato, ha sempre coltivato il sogno, e l’ambizione, di fare il sindaco di Napoli, ma, attualmente, è appassionato dalla ben più grossa partita della gestione dei fondi, e dei soldi, del Recovery Plan che devono arrivare all’Italia: ieri da ministro agli Affari Ue, oggi sottosegretario.
Una partita grossa, importante, decisiva rispetto alla quale il nome e il volto di Amendola, subito dopo quello di Draghi, è una garanzia per la Ue, che ha imparato a conoscerlo e di cui si fida. Una ‘partita’, quella dei fondi del PNRR che ‘Enzino’, tifoso sfegatato dell’Inter, fresca di scudetto, e cioè non del Napoli FC (il che, a Napoli, è un po’ come non credere al miracolo di San Gennaro), vuole ‘vincere’ più di quanto non abbia a lungo desiderato di diventare sindaco di quella Napoli cui lo hanno sempre spinto a candidarsi i dem.
Non a caso i dem napoletani – molto meno i 5S, tiepidi su Amendola – questo sperano: “Il sindaco che verrà dovrà mettersi l’elmetto e combattere una battaglia. Enzino, sia per il profilo politico e non ‘civico’ sia per la familiarità con i numeri, ha queste capacità” spera un parlamentare democrat. Ma Amendola, per ora, risponde secco: “Sono a Lisbona, a occuparmi di Ue, non ne so nulla…”.
I dubbi e gli assilli del professor Manfredi…
Ricapitolando, tramontata, in modo definitivo, e sostanziale, la candidatura del presidente della Camera, Roberto Fico (non ha mai detto, dal punto di vista formale, che era in corsa, ma lo è stato), che proprio non se l’è sentita di ‘lasciare’ il più alto scranno di Montecitorio, era balenata e aveva preso forza quella di Gaetano Manfredi. L’ex rettore dell’Università di Napoli ed ex ministro all’Università e alla Ricerca nel governo giallorosso è ‘equi-vicino’, ieri come oggi, all’ex premier Giuseppe Conte come all’ex segretario Nicola Zingaretti, nonché amico personale del ‘demiurgo’ dell’alleanza ‘organica’ tra Pd e M5s, Goffredo Bettini, cui ha persino dato, da indipendente, l’adesione alla sua nuova corrente ‘cristiana&socialista’ (sic) “Agorà”. Manfredi, in realtà, a candidarsi ci sta ancora pensando: solo che, ad oggi, il suo è un ‘no’, non certo un ‘sì’.
Peraltro, essendo persona assai seria, oltre che mite, i dubbi di Manfredi sono seri e assennati, come si evince dalla lettera pubblica di rinuncia dell’ex ministro e rettore della Federico II: “in queste condizioni”, scrive, causa “la situazione economica e organizzativa drammatica” del municipio napoletano, non posso accettare.
Il Moloch. L’enorme debito del comune
Il problema, infatti, che assilla i pensieri di Manfredi è lo stesso che agitava i sonni di Fico: l’enorme debito del Comune, che assomma all’astronomica cifra di cinque miliardi di euro e che tutte le amministrazioni passate – non ultima quella guidata dal sindaco uscente, l’ex pm descamisado Luigi De Magistris – il quale, ironia della storia, ha deciso sì di ricandidarsi, ma alle prossime elezioni regionali della … Calabria (sic) – e che grava come un macigno, vera e propria spada di Damocle, su chiunque nutra l’ambizione di governare la città più pazza, oltre che più bella, d’Italia e forse del Mondo. Napoli, appunto.
“Nella Capitale c’è stato il “Salvaroma” – ha confidato Manfredi agli amici – A Napoli, senza una soluzione politica sarà difficile per il prossimo sindaco, chiunque sia, sfuggire al default”.
Una ‘legge speciale’, come quella già varata, e in corso di iter e di approvazione nelle Camere, per Roma Capitale, che però non potrebbe chiamarsi ‘Napoli capitale’ (del Mezzogiorno, magari), ma ‘città in dissesto’ coi bilanci ripianare. Un tema che, guarda caso, rilancia la sinergia di intenti tra Pd ed M5s che, tramite il Nazareno e Giuseppe Conte, sostengono le istanze dell’ex ministro e riaprono con decisione il capitolo delle alleanze.
Insomma, per candidarsi, Manfredi avrebbe voluto “garanzie” da Roma – e cioè da Draghi – su una road map di ristrutturazione o rateizzazione del debito partenopeo: una somma stratosferica equivalente alla metà dei debiti di tutti i comuni italiani presi nel loro complesso.
M5s e Pd, disperati, in pressing su Manfredi
Morale, Pd e M5s, nonostante abbiano siglato il ‘patto di Posilllipo’ non sanno che pesci pigliare e, soprattutto, quale nuovo candidato proporre. Ecco perché Conte intigna, rilancia e benedice la corsa a sindaco di Manfredi: “E’ una eccellente espressione della società civile” dice l’ex premier che assicura, parlando a nome di tutto il partito: “Il Movimento 5 stelle sarà in prima fila per portare avanti questo patto per Napoli e per realizzare l’intervento legislativo di riequilibrio”.
Parole figlie, appunto, della più cupa disperazione perché, senza Fico e senza Manfredi, è probabile che fallisca il pressing anche su Amendola. Ergo, Pd e M5s, pur alleati, finirebbero su un nome di assoluto ripiego, sbiadito, con la seria possibilità che il centrodestra, che ha messo in campo da mesi il nome del magistrato Catello Maresca, possa vincere, inaspettatamente, pure a Napoli.
Il ‘no’ complesso di Manfredi e gli altri in gara
In realtà il ‘no’ dell’ex ministro è complesso e motivato non soltanto dal problema del dissesto finanziario del comune: parte dal mancato sostegno dell’intera coalizione (pezzi di Pd, come dei 5Stelle, sono stati riottosi fino all’ultimo, ad allearsi, la sinistra-sinistra avrà un suo candidato), al proliferare delle candidature di disturbo (l’ex ‘viceré’ di Napoli, Antonio Bassolino, è in pista, ma anche De Magistris lancerà un suo uomo a nome della sinistra radicale, antagonista, sociale), al peso ingombrante del governatore campano, Vincenzo De Luca, che vuole dire sempre la ultima parola (che deve essere sempre la sua) sia sulla coalizione che sui candidati che sulle liste, fino, appunto, all’incertezza sulla legge ‘salva bilanci’ che servirebbe gestire i fondi europei.
In ogni caso, a parte Manfredi, resta in piedi sempre e solo l’ipotesi di andare in ginocchio da Amendola e chiedergli il sacrificio della vita. Il quale Amendola, però, per quanto uomo di sinistra raffinata e colta, potrebbe rispondere con un altro adagio napoletano: “Accà nisciun è fess”.