Politica

Regno Unito, il voto del 6 maggio tra amministrative, elezioni nazionali e sogni di indipendenza

04
Maggio 2021
Di Redazione

di Matteo Milanesi

È tempo di elezioni nel Regno Unito.

Il 6 maggio, i cittadini scozzesi e gallesi saranno chiamati a rinnovare i rispettivi Parlamenti nazionali, mentre 28 milioni di inglesi si recheranno alle urne per il rinnovo di 143 consigli comunali.

Partendo proprio da questi ultimi, l’appuntamento imperdibile rimane l’elezione del nuovo sindaco di Londra che, con quasi ogni probabilità, vedrà riconfermato il “mayor” uscente Sadiq Khan.

Dopo aver mostrato la sua forza alle elezioni del 2019, conquistando ben 49 seggi su 73, il Labour potrebbe riaffermarsi primo partito della capitale con cifre da plebiscito, addirittura superando il 60% dei consensi.

Nonostante la quasi scontata vittoria londinese, lo scenario generale non pare favorevole ai laburisti.

Il giornale “The Times” prevede una disfatta soprattutto nel nord dell’Inghilterra, dove il partito di Starmer perderebbe tra i 35 e gli 88 consiglieri, mentre a Hartlepool, da sempre roccaforte laburista, i Tories sarebbero in netto vantaggio con un margine di oltre quindici punti percentuali.

I Conservatori non hanno mai vinto a Hartlepool.

Laburista sin dal 1974, anno della sua nascita, ora il seggio rimane il più vulnerabile del partito di Starmer.

Lunedì scorso, il primo ministro Johnson ha visitato Seaton, a pochi chilometri da Hartlepool, segno di quanto possa essere importante la vittoria nel territorio, poiché conquistarla suggerirebbe la caduta del famoso “Red Wall”, termine usato per identificare un insieme di collegi elettorali inglesi da sempre a trazione laburista.

Infine, il Labour potrebbe perdere il controllo anche di Bury, Hyndburn e Lincoln, con le sue maggioranze a Sheffield, Warrington e Wolverhampton seriamente a rischio.

Terreno spinoso è anche quello scozzese.

La premier uscente Nicola Sturgeon, insieme al suo Scottish National Party stimato al 48%, rimangono i grandi favoriti e sognano una riconferma per proseguire la battaglia per indire un nuovo referendum che sancisca l’indipendenza da Londra.

Seguono i Conservatori al 21%, un punto in più rispetto ai Laburisti.

Secondo un report di Oxford Economics, le conseguenze economiche di un futuro divorzio da Londra potrebbero far perdere alla Gran Bretagna un dodicesimo del suo Pil, il 7,9% delle entrate totali del governo britannico, oltre a numerose implicazioni sotto il profilo monetario.

Nonostante tutto, la scelta di Nicola Sturgeon sarebbe quella di mantenere la sterlina anche dopo il divorzio, in virtù dei profondi legami commerciali che uniscono Scozia e Regno Unito.

Infatti, un terzo del Pil scozzese è costituito dalle esportazioni di beni e servizi verso l’isola britannica, mentre le importazioni provengono, in misura superiore al 60%, proprio dal resto del Regno Unito.

Spostandoci in Galles, nonostante un recente sondaggio di YouGov abbia rilevato che il Labour si trovi dinanzi al peggior risultato elettorale dalla devoluzione del 1999, il partito del premier uscente, Mark Drakeford, dovrebbe riconfermarsi prima forza del Paese al 32%, staccando di soli due punti i Tories.

 

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