Politica
Referendum taglio parlamentari ed election day (pro e contro)
Di Andrea Maccagno
La “riforma storica che ricorderanno i nostri figli e i nostri nipoti” viene approvata l’8 ottobre 2019. “Quale?”, vi starete giustamente chiedendo. Indizio: ai toni entusiastici è stato accompagnato un siparietto – quello sì – indimenticabile. Cioè striscioni, con poltrone raffigurate, che vengono presi a tagli in piazza Montecitorio. Quindi no, la “riforma storica” non è l’abolizione della povertà ma il cosiddetto (a parole loro) “taglio dei parlamentari”.
Ma andiamo con ordine. Dopo aver passato mezza legislatura – la scorsa – a parlare di riforme costituzionali con il successivo (mezzo) sacrificio dell’ex Presidente del Consiglio Renzi, anche la XVIII Legislatura si apre affrontando il tema dell’assetto costituzionale dell’organo principale, il Parlamento.
Siamo ancora al Conte I e l’obiettivo dell’allora maggioranza era tagliare poltrone a quei brutti mostri chiamati “politici”. Traguardo che per i 5 Stelle era sentito come uno di quelli prioritari da vita o morte. Perciò pronti-via parte l’iter di riforma.
E quali elementi voleva modificare il legislatore? Essenzialmente uno: il numero dei parlamentari. Ma con qualche effetto positivo anche sul procedimento legislativo? A sentire i detrattori sembrerebbe di no. Effettivamente si tratta di una riduzione tout court, senza altri apparenti benefici in termini di semplificazione – posto che per qualcuno la riduzione di per sé possa esser considerata come un beneficio.
Quindi riduzione, ma di quanto? La Camera dei Deputati, dagli attuali 630 deputati passerebbe a 400 eletti. Il Senato da 315 a 200. Cambia, di conseguenza, anche il numero dei parlamentari eletti nella circoscrizione Estero: da 12 a 8 alla Camera; da 6 a 4 al Senato.
Non solo, viene inserita una specificazione sul numero dei senatori a vita che “non può in alcun caso essere superiore a cinque” (art. 3, A.C. 1585-B). Con ciò si elimina una ambiguità dell’attuale dettato costituzionale che, all’articolo 59, afferma che il Presidente della Repubblica “può nominare senatori a vita cinque cittadini”, lasciando una maggiore interpretazione sulla soglia massima di senatori a vita effettivi (potendosi in teoria sommare i cinque senatori di nomina presidenziale con i cinque nominati dal suo predecessore).
Pronti-via, dicevamo. Infatti già il 7 febbraio 2019 il Senato approvava – a maggioranza assoluta – il testo di riforma in prima lettura. Stessa sorte capitava alla Camera tre mesi dopo. Come si sa, l’art. 118 della Costituzione prevede una doppia deliberazione per ciascuna Camera ad intervallo non inferiore di tre mesi e quindi si passa alla seconda lettura.
Qui la Costituzione fornisce due strade: se la seconda approvazione avviene con maggioranza relativa dei due terzi in entrambe le Camere, il testo di riforma costituzionale è legge. In caso di maggioranza assoluta, invece, vi è la possibilità (entro tre mesi) di richiedere un referendum confermativo. Vedremo più tardi chi ha la facoltà di avanzarne istanza.
L’11 luglio 2019 il Senato approvava in seconda lettura con “soli” 180 voti favorevoli il testo di riforma che, per tanto, era passibile di richiesta di referendum. Poco ha significato il cambio di maggioranza del Conte II, che ha folgorato sulla via di Damasco i deputati dem, facendoli votare a favore della riforma l’8 ottobre 2019. Infatti, nonostante i 553 voti favorevoli alla Camera (ben oltre i due terzi che richiede la Costituzione), il voto a maggioranza assoluta in Senato lasciava aperta la possibilità di tenere un referendum confermativo.
E chi poteva avanzare richiesta? Secondo l’art.138, c2, della Costituzione 500mila elettori o 5 Consigli Regionali o, infine, un quinto dei membri di una Camera. E così, per opera di 71 senatori (42 dei quali di Forza Italia) la richiesta di referendum è stata formalizzata e infine accolta dalla Corte di Cassazione il 23 gennaio 2020.
Tra i gruppi parlamentari di appartenenza dei Senatori che hanno firmato la richiesta di referendum Forza Italia stacca tutti (42), segue il Gruppo Misto (10), poi Lega (9), PD (5), M5S e Italia Viva (2).
Il resto è storia recente, con il Consiglio dei Ministri che fissava la data del referendum per il 29 marzo 2020 e il Presidente della Repubblica che ne firmava il decreto di indizione. Ma l’emergenza Covid-19 ha fatto posticipare la data ipotizzata. A quando, era un dubbio sciolto solo pochi giorni fa. Il 16 luglio, infatti, il governo ha fatto sapere di aver individuato nelle giornate di domenica 20 e lunedì 21 settembre le date per tenere il referendum confermativo. Sarà dunque election-day, come molti volevano e alcuni temevano.
Ma quali sono i pro e i contro dell’election-day? I pro sono due e di più facile lettura. Il primo è sicuramente quello del risparmio economico e del contenimento della spesa, visto che si pagheranno gli scrutatori una sola volta. Il secondo, invece, è più politico. I referendum confermativi, infatti, non hanno bisogno di quorum. La “parte” che prende più voti, quindi, vince. Approfittare del fatto che milioni di elettori andranno alle urne per le competizioni locali, e che quindi si troveranno a votare anche per il referendum, fa stare più sereni i sostenitori della Riforma in quanto contano di avere il consenso della grande massa. Al contrario, una tornata referendaria a sé stante, in seguito ad altre competizioni elettorali locali, avrebbe potuto incentivare maggiormente a recarsi alle urne solo i detrattori della riforma, andando a minare le sicurezze di Di Maio e compagnia.
A dire il vero, però, comunque la si metta sembra non esserci partita per il risultato finale. Infatti, qualsiasi sondaggio dà, ad oggi, il fronte del sì nettamente in vantaggio: vedremo se nei prossimi due mesi di campagna qualcosa, che oggi sembra impronosticabile, si muoverà in senso contrario.
Veniamo invece ai “contro” dell’election-day. Chi voleva un voto referendario ad hoc sosteneva la necessità di una campagna referendaria concentrata esclusivamente sui temi legati alla modifica costituzionale. Senza, perciò, altre diatribe politiche locali che potessero mettere in secondo piano l’analisi sui pro e contro della riforma. Per chi è contrario all’election-day, infatti, il referendum costituzionale tratta tematiche talmente complesse e incisive della vita democratica che meritano di essere discusse a parte e alle quali dedicare una campagna elettorale approfondita.
Non a caso, Radicali Italiani, +Europa ed Europa Verde hanno scritto al Presidente Mattarella per far emergere la questione ma, oltre ad un incontro della delegazione con Daniele Cabras (Consigliere Parlamentare del Presidente), non hanno ottenuto nulla.
Certo, torna anche a contare il tema dell’affluenza. Tenere il referendum in concomitanza con altre consultazioni elettorali vuol dire incidere sul numero finale di votanti, soprattutto in quelle zone dove si vota per le regionali. Non a caso, la delegazione di cui sopra, proponeva come obiettivo minimo anche lo spostamento del referendum nelle date del ballottaggio dei comuni, eliminando così la contemporaneità con il voto delle regionali che è a turno unico.
Così non è stato e, dunque, si voterà nella seconda metà di settembre, con la difficoltà di iniziare una campagna elettorale così decisiva in agosto. In realtà la delegazione Radicale/+Europa una piccola vittoria l’ha ottenuta: tramite un odg presentato alla Camera dal deputato Magi, che ha ottenuto parere favorevole del governo, dovrebbe essere mandato agli elettori un opuscolo informativo sui temi del referendum (ovviamente compatibilmente con il reperimento delle risorse necessarie).
Un piccolo passo nel senso della trasparenza che, visti i tempi ristretti della campagna, risulta essere particolarmente necessario. Per iniziare a prendere visione dell’opuscolo si può accedere al seguente link. Per conoscere l’esito finale, occorre attendere neanche due mesi.
Photo Credits: Tempo Stretto