Il Prof ‘come back’. Prodi torna sulla scena
La prima notizia è che ‘il Prof’ per antonomasia ‘come back’, è tornato. Non era facile, per lui, a causa del dramma personale che ha subito, la morte improvvisa dell’amatissima moglie Flavia. La seconda notizia è che è andato, è stato accolto, con relative – continue, incessanti, imbarazzanti – standing ovation, non ‘a casa’ di Elly Schlein, la segretaria dem, ma a casa del suo antagonista, il looser (perdente) al congresso (ma tra il popolo delle primarie, non tra gli iscritti), il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, che ha organizzato, in quel di Cesena (casa sua, in pratica), una due giorni per celebrare la nascita della sua corrente, “Energia popolare”. Al netto del fatto che ‘Bonaccia’ non la chiama ‘corrente’, ma “area politica e culturale”, sempre lì stiamo: in casa del tigrotto di Campogalliano e non della Pantera italo-svizzera-americana. Una scelta – quella di Prodi – che i più maliziosi vedono e vivono come una ‘scelta di campo’, per il primo contro ‘ChatGPT’ come i bonacciniani chiamano, con scarsa gentilezza e cavellia, la segretaria…. E dato che la povera Elly non è stata accolta proprio benissimo, dai bonacciniani, il giorno prima (anzi, c’è pure chi l’ha contestata aspramente), fa ancora più impressione notare il ‘tappeto di rose’ che invece è stato steso quando è arrivato il Prof.
Bonaccini riunisce la sua nuova corrente, “Energia Popolare”, a Cesena. Prof guest star.
Ma cosa ha detto, a Cesena, Romano Prodi? Si parte dal discorso-relazione di Bonaccini, che dice: “Abbiamo bisogno che il nostro riformismo torni a essere popolare e di popolo ma anche che la nostra radicalità non diventi settarismo, elitarismo e massimalismo perché un grande partito sa riconoscere tutte le minoranze e difende strenuamente i loro diritti, ma lo fa parlando e convincendo e provando a rappresentare, però, la maggioranza dei cittadini. È la differenza che separa la testimonianza e il movimentismo dalla vocazione maggioritaria che io non intendo abbandonare e vorrei riscoprissimo”. E si parte pure dai molti interventi dell’area riformista che hanno evocato, e invocato, il ritorno allo “spirito dell’Ulivo” (mantra di ormai secolare memoria). Insomma, le premesse affinché Prodi possa ‘giocare in casa’ ci sono tutte. E Prodi cala sul tavolo, da par suo, una sorta di ossimoro politico.
L’ossimoro del Prof: il “radicalismo dolce”
Chiede di perseguire un “radicalismo dolce”, riportando il Pd nelle piazze e in mezzo alla gente giorno per giorno, parlando il linguaggio della chiarezza sui temi della vita degli italiani: il lavoro, la salute, la scuola. Per Prodi bisogna puntare sul dialogo per allargare i consensi, unica via per competere con la destra. Il Prof, in realtà, parla da ex premier, e da statista, quale è, e passa in rassegna tutti i grandi temi (Europa, Africa, Cina, guerra, pace, sanità, scuola e ancora immigrazione, cittadinanza, diritti, etc.), ma poi entra in corpore vili di un Pd che, pur con un nuovo segretario, una nuova classe dirigente, un nuovo baricentro (tutto spostato ‘a sinistra’), perde un’elezione via l’altra e non si schioda più di tanto nei sondaggi. Il pullman, per dire, spiega, “oggi non basta, oggi nessuno si fermerebbe alle fermate. Ma ci sono tanti strumenti. Si possono prendere 10-15 parole di cui parliamo, pace, sanità, immigrazione, si chiede a 15-20 saggi, di rispondere e poi il Pd va a dire cosa si è deciso”.
“Deve essere – spiega il Prof – un programma che affronti la storia in cui ci troviamo in una sinergia tra riformismo e radicalismo. Il riformismo è indispensabile, data la situazione, ma accompagnato da una certa necessità di radicalismo che definirei “radicalismo dolce”. “Il Pd – è il suo grido d’orgoglio – ha ancora la possibilità di essere il perno della trasformazione. Ma L’obiettivo può essere raggiunto solo con uno spirito unitario che troppe volte è mancato. Non è facile riscoprire questo spirito, ma è la condizione per cui il Pd può ritornare alla guida dell’Italia”.
Perché il cruccio del Prof quello è e quello resta. Il Pd come ‘partito-Paese’, quello che un vecchio saggio del Pd, Alfredo Reichlin (prima ancora di Mattero Renzi) declinava come ‘partito-nazione’: “Noi abbiamo smesso di pensare all’idea del Paese che vogliamo costruire, non ci pensiamo più”. Un discorso rivolto al futuro del partito, non al suo passato. Una vera lezione di politica, quella impartita dal Professore ai suoi (ex) compagni, che non nasconde amarezza e disappunto per gli errori commessi negli ultimi tempi. Per un Pd che ha smesso di dialogare con i suoi elettori e in cui “sono prevalse le esigenze delle alleanze temporanee anche per equilibri di potere”. Il Pd “deve tornare ad essere la casa degli italiani” dice.
La lezione sembra ‘accademica’ ma non lo è…
Il Professore, naturalmente, ha fatto il professore: nessuna battuta critica diretta sul nuovo corso dei dem, nessuna personalizzazione, ma – con linguaggio volutamente accademico e distaccato – Romano Prodi ha voluto depositare un messaggio nitido: se il Pd resta chiuso in sé stesso, non va da nessuna parte. E lo ha fatto, appunto, nel giorno del varo della “non-corrente” di Bonaccini, che gli ha chiesto di tenere – e lui ha accettato – una “lezione” sul futuro della sinistra italiana. Tra l’altro, dopo tanti anni (dettaglio non trascurabile) il Prof ha accettato di parlare a una platea del Pd: ha raccontato la sua visione del mondo e alla fine, pur senza mai citare direttamente Elly Schlein, ma il vecchio capo dell’Ulivo ha lasciato capire che non gli piace la deriva ‘settaria’ che stanno prendendo i “nuovi” Dem. Gli ‘scheiniani’, cioè.
Nel mirino, il ‘settarismo’ di Schlein e dei suoi
“Certo, non ha usato un termine così tranchant, Prodi – come nota sull’Huffington Post un fine analista della politica e della sinistra, il notista della Stampa, Fabio Martini – nelle sue parole non c’è stato nulla di mirato sulla politica degli ultimi mesi del Pd e non è stata pronunciata nessuna frase ad effetto. E tantomeno è affiorato nulla di personale. Romano Prodi ha stima per Schlein, in questi anni ha coltivato con lei un rapporto personale positivo, ma ora non gli piace il modello del ‘nuovo’ Pd. E Prodi, pur non in contrapposizione a Schlein, indica con chiarezza un modello di partito lontano dall’attuale Pd”. Un partito che fa ‘saltare’ Gianni Cuperlo (di sinistra, ex Pci, ma radicale ‘dolce’ a sua volta) da presidente della Fondazione del Pd per metterci uno come Nicola Zingaretti che, detto con il dovuto rispetto, è diplomato in elettronica mentre Cuperlo ha scritto tonnellate di libri, saggi e non fa altro che riflettere, studiare, leggere, ‘zercar’.
Il partito a pezzi: la nuova corrente riformista
Un partito che, sul salario minimo, sulla giustizia, sulla guerra&pace, sui diritti civili (maternità surrogata, etc.) come su quelli sociali (migranti) insegue la sinistra ‘radical’ di Bonelli&Fratoianni – oltre che, ovviamente, i 5Stelle – e fa scappare, letteralmente, dal partito i riformisti (dopo gli ex catto-dem di Fioroni-Merlo-D’Ubaldo è stata la volta dei riformisti Borghi-Marcucci-e altri: i primi al centro, i secondi finiti tutti in Iv di Renzi) e che si sta alienando non solo le simpatie del mondo riformista, ma anche quelle della sua base sociale. A tal punto che, sempre da Bonaccini, parlano, uno via l’altro e tutti contro la linea Elly, diversi parlamentari o ex (Morani, Valente, De Luca jr., etc.), i sindaci di Bologna (Merola), Pesaro (Ricci), Bergamo (Gori), Bari (Decaro, presidente Anci), ma soprattutto Simone Uggetti.
L’ex sindaco di Lodi, assolto dopo lungo e sofferto iter processuale, difende non solo il Jobs Act di Renzi ma persino Bettino Craxi, che definisce un ‘perseguitato’ da parte della giustizia, e investe la segretaria come una furia: “Attendo ancora una tua telefonata!” (dopo l’assoluzione e la restituzione dell’onore, ndr.). Insomma, l’area Bonaccini – o meglio la ‘nuova’ area, frutto della fusione della storica “Base riformista” guidata da Lorenzo Guerini, amico fraterno di Uggetti, dei bonacciniani doc, dei sindaci riformisti dem e di altri pezzi (Delrio), ma mancante di Giovani turchi (Orfini) e neo-ulivisti, che resteranno, invece, a far gioco soltanto per sé – intende dare battaglia. E farlo contro la Schlein.
L’analisi spietata di Prodi sugli ‘errori’ del Pd
Tornando all’analisi del Prof è lucida e, insieme, spietata: “In 15 anni il Pd ha perso metà dei suoi elettori, circa 6 milioni, e questo deve obbligarci a ripensare a un rapporto col Paese e a una casa che possa ospitare gli italiani. Penso che il Pd sia l’unico partito in grado di indicare i progetti e i percorsi necessari”, aggiunge. Ma “bisogna ripensare agli errori fatti”, sottolinea, e “tornare a parlare con tutti”. E di errori, secondo Prodi, il Pd ne ha commessi parecchi: “Come quando, spinto dalle circostanze, il Pd ha inseguito gli obiettivi di breve periodo: le legge elettorale, la riforma della Rai, il finanziamento pubblico ai partiti, alcune riforme istituzionali (alcuni sono di epoca Renzi, altri no, ndr.). Li ritengo cedimenti alla situazione. Bisogna che il Pd ricominci a parlare con gli italiani affrontando l’origine e la causa del declino e indicando la strada per la rinascita. Non possiamo continuare a essere un partito rassegnato in un Paese rassegnato”. “Abbiamo smesso di riflettere sull’idea di Paese che vogliamo costruire, non ci pensiamo più. Sono prevalse le esigenze delle alleanze temporanee, anche per equilibri di potere. Non sono contrario alle alleanze, vanno costruite. Io ho cercato di costruire delle coalizioni, ma devono fondarsi su una idea condivisa dell’Italia e del suo futuro”. E qui la stoccata è, invece, a chi cerca un dialogo ossessivo con i 5Stelle o con Avs o con Azione.
E, ancora, dice: “Abbiamo deprecato tante volte la crescita del populismo e l’instabilità a cui il populismo ha dato il contributo. Il populismo è il rifugio del popolo che non trova casa. E il popolo la casa non l’ha trovata nemmeno nel Pd. Il Pd ha perso metà dei suoi elettori, 6 milioni di voti. Questo deve obbligarci a riflettere su come costruire la casa che possa ospitare gli italiani”. Poi, alla fine, un incoraggiamento: “Il Pd non è esente da colpe, ma è l’unico partito in grado di indicare i progetti e i percorsi necessari perché la democrazia torni a essere democrazia operante”.
Lo spirito Camaldoli e il discorso della stanga
Il Professore, non a caso, ha citato più volte lo spirito di Camaldoli, uno dei luoghi nei quali prese corpo la Dc, anche se nel suo intervento di un’ora non ha mai ceduto a ‘nostalgia canaglia’. E, però, la sua accorata invocazione a parlare al Pd perché torni a parlare a tutti gli italiani si alimenta proprio dall’esempio dei due partiti che nella storia italiana hanno saputo interpretare meglio la cultura di governo: il Pci, governando nelle stante periferie e la Dc governando a Roma. Prodi non lo ha detto, ma lo ha fatto capire: è proprio la cultura di governo la grande assente di un Pd chiuso, troppo chiuso, quello della Schlein.
E se, alla fine, Prodi chiede a tutti di ‘mettersi alla stanga’ – così disse Alcide de Gasperi ai maggiorenti della Dc in un famoso discorso del 1953, il cui obiettivo erano, peraltro, i ‘professorini’ della sinistra dc (Fanfani, Dossetti, Moro) e remare nella stessa direzione, ora tocca soprattutto all’attuale segretaria dem rispondere.
Standing ovation e platea riformista in visibilio
Il discorso di Prodi riceve, come si diceva, una standing ovation dalla platea e il plauso del padrone di casa: “Voglio ringraziare Romano per il contributo che in modo disinteressato ha voluto portarci dopo tanti anni. Voglio dare un abbraccio anche a Flavia perché pur di lato non ha mai fatto mancare il suo contributo”, dice con il magone. E poi: “Grazie Romano perché ci hai insegnato a vincere e per vincere bisogna allargare lo sguardo ombelicale che per troppo tempo ha avuto il Pd”.
Bonacc guiderà davvero la riscossa riformista?
Al netto della mozione degli affetti, dell’ovvio entusiasmo e di una buona dose di retorica, la verità è che Bonaccini parla nel solco di Prodi, oltre che nel solco di analoghi interventi di Piero Fassino, Brando Benifei, Graziano Delrio, Giorgio Gori perché condivide la filosofia prodiana (potrebbe, del resto, essere altrimenti?).
In più, aggiunge una riflessione sul futuro del Pd: “Io ho sofferto da quando il Pd è nato, e nel mio piccolissimo l’ho fondato, delle troppe volte in cui, eletto un segretario, si lavorava una settimana dopo per indebolirlo. Però, è anche vero che è un partito democratico, se vuole sei grande, deve essere plurale. Le idee di tanti, in questo caso riformiste, non credo non possono avere cittadinanza nel Pd”. “Energia popolare” tornerà con un nuovo appuntamento a settembre. Stavolta sembra proprio che Bonaccini, invece di fare – come pure è abituato – il prudente, il ‘moderato’ e ‘l’emiliano’ (nel senso storico del Pci emiliano, dove erano riformisti, sì, ma pure un po’ troppo timorosi e poco combattivi), voglia dar battaglia, nei confronti dell’attuale segreteria della Schlein, e – dopo mesi di letargo e ‘vita’ tutta emiliana (anche causa la brutta alluvione che è arrivata) in cui sembrava essersi ritirato pure a ‘vita privata’ – prendere in mano le redini dell’opposizione interna e guidarla a scontri più a viso aperto. Ma, da questo punto di vista, per ora, siamo solo a un ‘arrivederci a settembre’ per capire se poi lo farà. Perché il coraggio, come diceva don Alessandro Manzoni, se uno non ce l’ha non se lo può dare…