Politica

Premierato, da Trento Meloni non si agita: se perdo resto

27
Maggio 2024
Di Giampiero Cinelli

Se perdo il referendum sul premierato non me ne vado. Dell’intervento di Giorgia Meloni al Festival dell’Economia di Trento è questo il concetto che resta più impresso e che rimbalza tra i media, anche se inizialmente c’è stata un po’ di perplessità, siccome la premier dal palco ha anche detto: «O la va o la spacca», poi: «Non sto qui a scaldare la sedia», aggiungendo: «La mia vita si svolge così: mi alzo la mattina, cerco di risolvere problemi, e vado a dormire. Sto mediamente un’ora al giorno con mia figlia. Qualcuno pensa che io posso fare questo avendo come unico obiettivo quello di rimanere a fare questo?».

L’orizzonte politico
Meloni stava parlando più ampiamente delle sue prospettive di vita, non dell’idea di farsi da parte qualora il referendum costituzionale le risultasse avverso. Secondo la leader di Fratelli D’Italia significherà soltanto che gli elettori non avranno condiviso una proposta e non c’è ragione di lasciare, anzi l’obiettivo dichiarato è quello di rimanere cinque anni. Anche perché i dati macroeconomici per l’Italia adesso non sono proprio tutti da buttare e una stagione del centrodestra, dopo quella di Berlusconi, è nell’interesse e nei desideri del primo ministro.

Il progetto
Anche lei, però, come altri prima, si è persuasa che all’Italia serva una profonda revisione della forma di governo. Tutte le volte che se n’è parlato e che si è andati a votare, si trattava di progetti volti a rafforzare gli esecutivi. Il disegno di Meloni va in questo senso ma con certe sfumature: il premierato protegge il Presidente del Consiglio dalle dinamiche delle crisi parlamentari, tuttavia se il premier cade, il nuovo modello porterebbe con ogni probabilità al simultaneo scioglimento delle Camere, che il premier stesso può proporre al Presidente della Repubblica qualora sia lui a dimettersi e non si riesca più a formare un governo. Il proposito, è quello di non permettere più maggioranze create artificialmente e non espressione del voto delle elezioni. Basta con i tecnici al comando come negli ultimi anni è accaduto. Anche perché il testo della riforma dice che il Presidente del Consiglio dev’essere un parlamentare, o per meglio dire una persona già presente nelle liste elettorali ed identificabile con il partito che rappresenta.

Le critiche
Un indirizzo questo, condivisibile o meno, se non fosse che – anche stavolta – deve essere considerato in rapporto alla legge elettorale, senza la quale il nuovo assetto istituzionale non troverebbe logica. La legge elettorale è ancora da fare ma già è chiaro che sarà maggioritaria. Forse simile al Mattarellum, con un premio di maggioranza che assegna più del 51%, o con il ballottaggio tra due candidati premier.

I dettagli principali
Il premier viene eletto direttamente e a suffragio universale. Resta in carica per un massimo di due mandati, o di tre qualora nei primi due sia stato coperto un periodo inferiore a sette anni e sei mesi. Il Presidente della Repubblica, invece, con la riforma, sarebbe eletto a maggioranza assoluta dopo sei scrutini anziché gli attuali tre. Se da una parte significa più tempo in parlamento per trovare un’intesa che soddisfi tutti, è anche vero che il Parlamento, in questo caso già fortemente sbilanciato verso il nucleo che supporta il premier, eserciterebbe forse troppa influenza anche nell’indicare un Capo dello Stato gradito soprattutto alla maggioranza.

Il poteri del Colle
Il Presidente della Repubblica, dal canto suo, non avrebbe in realtà poteri così minori come spesso si dice nel dibattito, piuttosto interpreterebbe il suo ruolo in modo diverso. Non più quell’arbitro durante le crisi come fu Napolitano e anche Mattarella, ma tuttavia una figura chiave che potrà ancora sciogliere le Camere, incaricare un sostituto del Premier eletto qualora esso cada, nominare i ministri e pure, in base all’ultima versione del Ddl, revocare i ministri su proposta del premier. Il Capo dello Stato inoltre non avrà bisogno della controfirma ministeriale dei suoi atti.

Schlein avverte
A Trento ha parlato anche Elly Schlein, lei molto diffidente sulla riforma, la quale ha spiegato che il governo non ha minimamente valutato la proposta della “sfiducia costruttiva” (dunque qualora mancasse la fiducia in Parlamento si innescherebbero subito i meccanismi previsti dalla riforma), ritenendo che il testo «farà saltare l’equilibrio tra i poteri dello Stato». Così Schlein in un’intervista al Corriere della Sera: «Prima dice ‘O la va o la spacca’, adesso afferma “Chi se ne frega, io resto”. Lei è quella del taglio alle accise e degli extraprofitti bancari, non stupisce che cambi. Ma sovrapporre la sua traiettoria politica al destino del Paese con questa leggerezza è inaccettabile».