Politica

Premierato, primo ok in Senato. I punti principali della riforma

18
Giugno 2024
Di Giampiero Cinelli

Il Senato ha approvato, con 109 sì, 77 no e un astenuto, il disegno di legge costituzionale sul Premierato. Il provvedimento passa ora alla Camera. Trattandosi di una legge costituzionale servirà l’approvazione in quattro letture, la prossima della Camera sarà la seconda, ma come tutti già prevedono la riforma passerà per il referendum popolare, sia per ragioni di lealtà politica sia perché dovrebbe mancare la maggioranza dei due terzi nelle due Camere.

La seduta è iniziata alle 15.30 circa con le dichiarazioni di voto. Una massiccia presenza della maggioranza di governo ha permesso al disegno di legge n. 935 di passare agevolmente a palazzo Madama (al Senato il governo ha la maggioranza di 115 seggi, 12 in più della maggioranza assoluta).

Le opposizioni sono scese in piazza in segno di protesta per l’approvazione del disegno di legge, come già avevano annunciato di voler fare. Da ricordare che alla riforma del premierato va affiancata, com’è nella logica dell’iniziativa e nelle intenzioni del governo, una nuova legge elettorale che però ancora non c’è. Si tratterebbe con tutta probabilità di un modello maggioritario.

Le basi della riforma
Il Premierato stabilisce l’elezione diretta da parte dei cittadini del Presidente del Consiglio, il quale si presenta alle elezioni con una lista a lui collegata. Il Parlamento deve comunque votare la fiducia al governo. Nel caso in cui la fiducia del Parlamento dovesse venire meno, la riforma rende più difficile lo scioglimento delle Camere o l’azione del Presidente della Repubblica volta a delineare un governo tecnico o di larghe intese, siccome il Capo dello Stato avrebbe anzitutto il compito di riassegnare l’incarico al premier uscente o di incaricare un altro rappresentante facente parte della lista del premier. Con la riforma il Presidente della Repubblica conserva la facoltà di conferire l’incarico al premier eletto, di nominare e anche revocare i ministri su proposta del premier.

Capo dello Stato eletto al sesto scrutinio
Ok di Palazzo Madama ad un emendamento a prima firma del capogruppo di Iv Enrico Borghi, con cui si stabilisce che per l’elezione del presidente della Repubblica dopo il sesto scrutinio (invece del terzo) sarà «sufficiente la maggioranza assoluta». Cambiamenti anche sull’elezione del Senato: il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero e «salvo il premio su base nazionale previsto dall’articolo 92». La proposta di modifica del Governo approvata aggiunge un nuovo comma all’articolo 57 della Carta.

I dettagli procedurali in caso di sfiducia
Ci si aspetta che il testo cambierà nuovamente a Montecitorio, visto che ci sono ancora dei nodi da risolvere, come il voto degli italiani all’estero. Intanto il Governo si è assicurato l’emendamento sulla cosiddetta norma ‘anti-ribaltone’. La proposta di modifica approvata va a toccare l’articolo 94 della Costituzione e stabilisce che in caso di revoca della fiducia mediante mozione motivata, il presidente del Consiglio eletto rassegna le dimissioni e il presidente della Repubblica scioglie le Camere. Negli altri casi di dimissioni, il presidente del Consiglio eletto, entro sette giorni e previa informativa parlamentare, «ha facoltà di chiedere» lo scioglimento delle Camere al presidente della Repubblica, che lo dispone. Qualora «il presidente del Consiglio eletto non eserciti tale facoltà, il presidente della Repubblica conferisce l’incarico di formare il Governo, per una sola volta nel corso della legislatura, al presidente del Consiglio dimissionario o a un parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio», come stabilisce ancora l’emendamento. Mentre «nei casi di decadenza, impedimento permanente o morte del presidente del Consiglio eletto, il presidente della Repubblica conferisce l’incarico di formare il Governo, per una sola volta nel corso della legislatura, a un parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio».

In sostanza, l’emendamento amplia le possibilità rispetto al solo aspetto delle “dimissioni volontarie”. Dunque si prevede che il presidente del Consiglio eletto possa chiedere lo scioglimento delle Camere al presidente della Repubblica in tutti i casi di sue dimissioni, e non solo in caso di dimissioni volontarie.

In ottica legge elettorale
Pare che nella legge elettorale non ci sarà il premio di maggioranza al 55%. La proposta di modifica dell’Esecutivo che ha ottenuto il via libera si limita infatti a un riferimento di un «premio su base nazionale».

Limite due mandati (o quasi)
Il presidente del Consiglio è «eletto a suffragio universale e diretto per cinque anni, per non più di due legislature consecutive, elevate a tre qualora nelle precedenti abbia ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi».

La firma degli atti del Quirinale
Il Premierato ridefinisce le fattispecie sulla firma e controfirma degli atti del Quirinale. Gli «atti del presidente della Repubblica sono controfirmati dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità. Non sono controfirmati la nomina del presidente del Consiglio, la nomina dei giudici della Corte Costituzionale, la concessione della grazia e la commutazione delle pene, il decreto di indizione delle elezioni e dei referendum, i messaggi al Parlamento e il rinvio delle leggi alle Camere». Si tratta di un «contrappeso forte. Ho pensato di fissare alcuni punti fermi in modo tale che questi sono poteri del Presidente e che nessuno può mettere in discussione», ha spiegato Marcello Pera, autore dell’emendamento, durante l’esame in commissione.

Il semestre bianco
Muta inoltre la regola sullo scioglimento durante il cosiddetto “semestre bianco”, cioè i sei mesi prima della fine del mandato dal Capo dello Stato in cui non si possono sciogliere le Camere. Con una modifica approvata all’articolo 88 della Costituzione si sostituiscono le parole «salvo che essi coincidano in tutto o in parte, con gli ultimi sei mesi della legislatura», con «salvo che lo scioglimento costituisca atto dovuto».

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