Politica
Pnrr, Sottosegretaria Nesci: “Ridurre il gap del Sud Italia è la soluzione a molti problemi economici del sistema Paese”
Di Flavia Iannilli
“Il convoglio va alla velocità del veicolo più lento” un proverbio che Piero Angela accostò al Mezzogiorno aggiungendo: “Una rinascita del Sud darebbe un impulso a tutto il paese”.
A vederla così il Pnrr potrebbe essere la locomotiva che scandisce un ritmo di velocità un po’ più rapido. Perché se da una parte bisogna stare attenti a non far cadere le risorse nelle mani sbagliate, dall’altra bisogna mettere a terra progetti che permettano al Sud di avere una spinta propulsiva per ridurre un gap che comprende tutti i pilastri del Piano stesso. L’intervista con il Sottosegretario al Ministero per il Sud Dalila Nesci offre un quadro di come le istituzioni e il governo stesso vogliano rivalutare a tutto tondo il meridione italiano.
Il Pnrr è un’importante leva per lo sviluppo del Sud. Ritiene che possa essere davvero strategico? Per quali campi in particolare?
«Il Pnrr potrà essere considerato davvero strategico se queste risorse verranno spese nel Mezzogiorno d’Italia. Il Sud sarà una prova del nove. Se uno degli obiettivi del Pnrr è quello di superare i divari che ancora insistono nel nostro paese servirà la messa a terra dei progetti nel Mezzogiorno per comprendere il successo del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il focus sulla transizione ecologica e digitale del Pnrr determina il suo valore strategico per portare il sistema paese verso il futuro. Fino a poco tempo fa veniva guardato con sospetto chi faceva riferimento ai temi di sostenibilità ambientale e innovazione digitale nella pubblica amministrazione, ma la presenza dell’Unione europea dietro al Piano qualifica un sistema che si muove modernizzando gli stati membri e portando una grande occasione per l’Italia».
Parliamo di una stima di 82mld, di cui 25mld sono già arrivati, del Pnrr per il Sud: ritiene valida la cifra? Fino ad ora è soddisfatta di come il Sud sta sfruttando queste risorse? Il territorio come sta rispondendo?
«È una quota che può aiutare a superare i divari e innovare il sistema produttivo del sud Italia. La volontà da parte di questo governo di garantire il 40% di risorse di base alle regioni del sud è stata altrettanto strategica, soprattutto sapendo che non c’è stata nessuna prescrizione europea sull’obbligo della percentuale da destinare al Mezzogiorno. Questa scelta determina una grande presa di coscienza nel guardare al sud come una soluzione a molti problemi legati al sistema economico del paese, senza ridurlo ad una mera questione annosa che non può essere risolta. La risposta del territorio viene sondata attraverso l’interlocuzione con i sindaci che, per quanto possano sembrare l’ultimo anello per chiudere il cerchio, sono in realtà la prima appendice. Perché gran parte delle risorse del Pnrr viene elargita tramite i bandi a cui devono partecipare i comuni e poi anche le regioni. I sindaci hanno una grande responsabilità nella riuscita dell’utilizzo di questi mezzi e non nego che sono state ricevute delle critiche a causa dei precedenti anni scanditi da spending review e tagli agli uffici della pubblica amministrazione (PA). Si tratta di una PA che ha affrontato una carenza di professionalità e di risorse tecniche per la gestione dei progetti e che si è vista delegittimata. Il tema centrale è proprio quello della progettualità in questo caso perché molti dei nostri enti locali, al sud in particolare, non sono abituati alla partecipazione a bandi europei. Inoltre, come saprete, molti fondi non vengono neanche spesi dalle regioni proprio per la mancanza di un parco progetti; nel caso in cui ne fossero forniti comunque non erano preparati alle sfide che pone il Pnrr. Quindi il Ministero del Sud ha costituito un fondo di 180mln per affidare studi di progettazione, uno strumento con cui i comuni si sono rimessi in carreggiata. Per quanto la risposta sia buona comunque servono nuove risorse, il concorso al sud non è andato bene come speravamo. È evidente che la pubblica amministrazione non è abbastanza appetibile, ma il Ministro Brunetta sta lavorando molto su questo e confidiamo che a breve possano entrare le figure professionali di cui soprattutto questa parte d’Italia ha bisogno».
Lei viene da un territorio, la Calabria, che ha sofferto le pressioni da parte della criminalità organizzata che ha reso più elefantiaco portare avanti progetti a lungo termine. Con l’arrivo di questi soldi che sensazione ha dal territorio? Come si sta cercando di prevenire o contrastare questo problema?
«Il Ministero degli Interni ha delle cabine di regia molto precise che studiano il reticolo di rapporti esistenti e futuri. Un sistema che permette di giocare d’anticipo con i controlli necessari. A questo si aggiunge il rafforzamento della normativa antimafia abbinato alla semplificazione, ponendo il focus sulla necessità di attuare misure preventive per contrastare la criminalità organizzata sui fondi del Pnrr. Ma credo che diversi territori, non solo al sud, soffrano della fuga di menti legata anche alla pressione che impone la criminalità organizzata. Si tratta di risorse competenti che non volendo subire questa stretta hanno abbandonato il mondo della pubblica amministrazione. Questo procedimento accostato ai tagli determina il problema attuale che dobbiamo affrontare; la qualità delle menti italiane serve a questo paese soprattutto in questo periodo storico. Sapendo del grande lavoro portato avanti da forze dell’ordine e magistratura, che effettuano controlli permeanti in queste aree, la preoccupazione prende un’altra forma; cosciente della supervisione dello Stato che ha una visione a 360 gradi».
Con l’avvento della pandemia si è parlato molto di smart working e conseguentemente di South working. Guardando anche ai problemi demografici delle regioni meridionali questa soluzione può essere una chiave?
«Il rafforzamento delle reti di innovazione digitali punta a ridurre quel divario tecnologico nel sud Italia che renderebbe più appetibile il territorio sia per i costi sia per la qualità della vita. Dopo la pandemia nessuno è più disposto a mettere in pericolo il proprio benessere, credo alla parte da protagonista che può giocare il Mezzogiorno, che forse dovrebbe ragionare sempre di più come una macroregione. Tutte le regioni meridionali dovrebbero affinare i loro rapporti istituzionali anche in senso strategico. È importante che sul territorio si possa ritornare anche con la formula del south working. Ho incontrato i giovani di Confindustria che stanno spingendo in questa direzione, affinché molti lavoratori possano adottare questa soluzione e come Ministero ci siamo attivati attraverso la strategia delle aree interne. Una rete dove abbiamo impiegato diverse risorse, quasi 1mld di euro per migliorare viabilità, accessibilità ai servizi compresi quelli sanitari, la cosiddetta sanità di prossimità, le risorse per i fondi marginali. Il nostro ministero punta sulle caratteristiche tipiche dei territori meridionali come i piccoli borghi, che sono a rischio di spopolamento. Il south working potrebbe essere utile per una rinnovata vitalità».
In che modo le zone economiche speciali (zes) possono contribuire allo sviluppo del Sud?
«Possono dare un enorme contributo, soprattutto se leghiamo quella centralità delle regioni del sud nel Mediterraneo, dove le zes insieme alle autorità portuali possono essere un centro non solo di transito ma veri e propri luoghi di produzione di sviluppo dell’economia dei territori. Nei retroporti si potrebbero maggiormente sostenere attività commerciali, industriali, di trasformazione dei prodotti. Le risorse del Pnrr sono state destinate a tutte le zes esistenti, un motivo in più per affermare che possono essere il cuore pulsante. Sono stati nominati tutti i commissari, con la precisa volontà, da parte del ministero, di concordare le scelte insieme. Questo per evitare incomprensioni che farebbero arretrare l’attuazione della riforma che è stata modificata rafforzando la governance. Inoltre è stata diminuita la burocrazia con lo sportello unico per avere autorizzazioni più semplici che incentivino anche i grandi gruppi imprenditoriali a scegliere di investire all’interno delle zes. Le aree industriali hanno un ruolo fondamentale, che potrebbero essere molto utili nel settore energetico».
La digitalizzazione legata al Piano nazionale di ripresa e resilienza è una grande opportunità. C’è effettivamente un ritardo nel Sud? Come ritiene che possa essere ridotto questo gap?
«Sicuramente con le risorse previste nel Pnrr una base di partenza di cui necessitavamo ma c’è sempre il tema della messa a terra di questi progetti sulla digitalizzazione che hanno stentato ad avanzare perché spesso posavano sulle gambe di ambienti più deboli meno strutturati e su questo sta lavorando il Ministro Colao e spero che presto venga attivato il fascicolo sanitario elettronico che è molto importante in termini di sfide pensando al mondo globalizzato che ha le sue nuove avventure. In questo la telemedicina ridurrebbe molto le distanze e oltre all’infrastruttura c’è la capacità manageriale, perché se non c’è ci si mette molto tempo anche solo a scegliere una piattaforma».
Tra i vari settori che vengono compresi nel Pnrr c’è anche il tema dell’imprenditoria femminile. Quali iniziative può mettere a punto il vostro ministero per sensibilizzare la comunità meridionale femminile su questo tema? Ritiene che ci sia una buona attitudine imprenditoriale al femminile al Sud?
«Gli incentivi messi in campo, che si rinnovano da diversi anni, stanno rendendo più facile la scelta di intraprendere questo percorso da parte delle donne. Oltre ai finanziamenti attivati anche da parte del Mise, c’è stato il riordino di tutti gli incentivi del governo; un’iniziativa in accordo tra i due ministeri che era già partita con il Ministro Di Maio al Mise e che è stata attualizzata. Ad oggi esiste questa piattaforma unica, incentivi.gov.it, dove si può trovare una parte dedicata proprio all’imprenditoria femminile. Il parlamento recentemente si è espresso con una legge che aiuta a fare emergere le aziende che danno spazio all’imprenditoria femminile, le quali hanno ulteriori agevolazioni anche nei prestiti delle loro attività. Credo che ci siamo avviati in un cammino virtuoso».
Il Contratto istituzionale di sviluppo (Cis) è una tappa importante in ottica Pnrr. Lei si sta occupando di seguire questo tema. Come sta andando? Quali sono le sue aspettative? Quali sono i punti che è bene non trascurare?
«Il Contratto istituzione di sviluppo agevola i rapporti tra istituzioni del territorio e quelle centrali, velocizzando alcuni procedimenti sugli investimenti strategici dei territori. Sono state scelte diverse zone del sud tra le quali la regione Calabria, bisognosa di più interventi. Il Cis è uno degli strumenti, fra tanti, che ha a disposizione la regione e si tratta di oltre 200mln di euro. L’ho voluto chiamare “Svelare bellezza” affinché possa passare la strategia di rendere accessibili queste risorse sia alle comunità che vi abitano sia ai turisti che si avventurano nei nostri luoghi. Gli ambiti di intervento scelti sono quelli vocazionali della regione stessa: turismo culturale, sportivo, enogastronomico, spirituale che comprende la scoperta di borghi millenari e non ultima la riqualificazione ambientale. I comuni hanno partecipato in maniera attiva, ho incontrato tutti i 404 sindaci della Calabria, spiegando lo strumento e i sistemi di accesso. Una parte importante perché credo che, uno dei motivi di arretratezza dello sviluppo economico delle regioni del sud sia il mancato accesso a informazioni importanti per incentivi e investimenti. Abbiamo ottenuto un ottimo feedback con un totale di quasi 900 progetti, alcuni anche di comuni o borghi aggregati. Sarà difficile poter finanziare i progetti di tutti i comuni, verranno scelti quelli più strategici o cantierabili, ma possiamo ritenerci soddisfatti dell’interazione».