Politica
Se il Qatargate sposta il consenso. Il Pd cala ma ha ancora assi nella manica
Di Barbara Caracciolo
Ci si chiede sempre se gli episodi corruttivi possano avere una concreta incidenza sul consenso politico. Visto che, almeno in Italia, questa equazione non è stata mai cristallina. Però stavolta sembrerebbe di sì. Dopo lo scoppio del Qatargate la discesa del Pd nei sondaggi è ancora riscontrabile. Stando alle rilevazioni di Swg per La7, del 19 dicembre, i Dem continuano a perdere, questa volta lo 0,4%, restando comunque al terzo posto al 14,7%. In testa c’è sempre Fratelli d’Italia che si attesta al 30,6% perdendo lo 0,2%. Dopo due settimane stabile al 30,8% registra una leggera flessione, proprio nella settimana in cui il partito di Meloni ha festeggiato il decennale con tre giorni di eventi in piazza del Popolo a Roma.
Il sondaggio testimonia invece la crescita sia del M5S, attualmente secondo partito al 17,4% (+0,3%), sia della Lega che guadagna lo 0,5 raggiungendo il 9%. Il Carroccio è avanti oltre mezzo punto rispetto al Terzo Polo che ottiene il 7,8%. Sotto c’è Forza Italia, stabile al 6,1%.
“Per ripulire il nostro partito da quanti non hanno a cuore per prima cosa il bene comune e l’onorabilità dei nostri iscritti ed elettori, è tornato il momento di trasmettere alle nuove generazioni il pensiero e le azioni di Berlinguer, Zaccagnini e di tutte le donne e gli uomini migliori che la nostra storia ha dato all’Italia”, scrive su Facebook Stefano Bonaccini, governatore di Regione e candidato alla segreteria del Partito Democratico nelle primarie in programma a febbraio 2023.
Evidente che Bonaccini individui la chiave di volta nella riscoperta dei valori originari della sinistra. Eppure, se il Pd è in fase discendente, è proprio perché una non trascurabile fetta di elettorato progressista non lo considera più in grado di interpretare un certo tipo di politica. Tuttavia, a volte i partiti si rivitalizzano anche grazie ai loro movimenti interni. Traspare ad esempio l’interesse, soprattutto del bacino giovanile, nei confronti di Elly Schlein, la neodeputata Pd che sfiderà Bonaccini alle primarie, la quale è stata vicepresidente proprio di Bonaccini alla Regione Emilia Romagna ed europarlamentare. Ma sarà difficile scalzare il favorito, che sempre sui social rammenta: “Quando parliamo di questione morale, quelli della mia e delle generazioni precedenti pensano immediatamente ad Enrico Berlinguer e a Benigno Zaccagnini. Sono stati tra i simboli e gli interpreti più autentici della politica vissuta come impegno disinteressato e rigore morale. Anche per questo sono visti come padri nobili sia del Pd che della Repubblica. Questa eredità va ricordata e conquistata ogni giorno, a proposito di identità e valori fondanti”. L’altro contendente alla guida del Pd è Paola De Micheli, già ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti nel Conte II oltre che due volte sottosegretario, ma nei sondaggi è data nettamente indietro.
Quindi il primo piano di una battaglia politica, specie nei grandi partiti, si gioca all’interno della piattaforma, per poi esprimerla nella dialettica con le altre forze. E i candidati di queste primarie sembrano essere percepiti come capaci e freschi. Va considerato, poi, che essere il terzo partito d’Italia, non troppo distante dal secondo e a cinque anni dalle prossime elezioni non è un dramma, ma è vissuto con particolare pressione da una formazione, i Dem, costruita appositamente per raccogliere un consenso di massa, e che è da anni radicata nelle strutture del Paese. Quando il progetto vide la luce, era però il 2007. Anche se sembra ieri, la società è cambiata profondamente. E spetta al Pd chiedersi se si possa ancora puntare ad essere un soggetto egemonico, o se la sua visione del mondo vada portata avanti secondo strategie diverse, accettando le sconfitte, le attese, i ridimensionamenti.