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Parla Luigi Di Gregorio: tutto quello che bisogna sapere su questa campagna elettorale
Di Marco Cossu
La campagna elettorale sta per entrare nel vivo. Sarà una campagna inedita per diversi aspetti, primo tra tutti la durata: breve. Secondo, la cornice: balneare – almeno nella sua prima fase. Per altri invece potrebbe rappresentare un ritorno al passato, al confronto tra due principali poli, destra VS sinistra. Attorno, diverse incognite. Un confronto che si prevede comunque duro e polarizzato, soprattutto per chi dovrà colmare un gap chiamando a raccolta il proprio elettorato. Per ora, prima di entrare nella fase saliente, tengono banco i temi delle alleanze e le apparenti “schizofrenie” dei leader. In attesa della presentazione delle liste e delle candidature che si concluderà il 22 agosto, abbiamo provato a prevedere il durante, le posizioni, le narrazioni, le strategie comunicative sulle quali verrà imbastita questa campagna elettorale. Lo abbiamo fatto insieme a Luigi di Gregorio, docente di Comunicazione Pubblica, Politica e Sfera Digitale e di Web e Social Media per la Politica presso l’Università della Tuscia, consulente di comunicazione politica e veterano delle campagne elettorali. Qui una guida utile e necessaria non solo per orientarsi in questo marasma ma anche per capire dove andremo a parare dopo il 25 settembre.
Che tipo di campagna elettorale sarà?
«Molto breve e decisamente calda, non solo perché estiva. Non abbiamo mai votato a settembre per le elezioni politiche. La più estiva è stata quella del 1983 (26-27 giugno), ma di fatto tutta la campagna fu primaverile. In ogni caso era tutta un’altra Italia, politicamente e non. È chiaro che la questione che preoccupa di più le forze politiche è quella di portare le persone a votare. Come vediamo già dall’inizio, sarà una campagna molto polarizzata, accesa e basata su logiche binarie, gruppiste, specie da parte di chi deve recuperare. È un modo per mobilitare gli elettori identificati, più che di persuadere gli incerti. In una campagna in cui si prevede un’affluenza bassa, può avere un senso».
È una campagna elettorale diversa dalle altre?
«È diversa per due ragioni. 1) è molto breve; la campagna si è accorciata per ragioni costituzionali. Avendo sciolto le camere in anticipo, l’iter prevede di votare entro 70 giorni dallo scioglimento. 2) essendoci agosto nel mezzo, la campagna elettorale vera e propria si svolgerà nelle ultime due settimane prima del voto, anche se i partiti si stanno muovendo con campagne di affissioni OOH (Out Of Home), con manifesti in località balneari, aeroporti, stazioni, ecc. per arrivare agli italiani in vacanza. Ma ormai sappiamo che circa un terzo degli elettori decide se votare (e per chi) a ridosso delle elezioni».
Narrazioni e proposte confronto. Quale sarà la chiave vincente?
«Non scendo nei particolari delle singole proposte. In una campagna elettorale così breve e polarizzata, non sarà la singola proposta a essere decisiva. Non è la chiave per conquistare gli elettori incerti o per portare al voto elettori che sono orientati sul non-voto. Più facile conquistarli con una macro narrazione capace di smuoverli dal punto di vista prima emotivo che cognitivo. Se la sinistra riesce a convincere che la destra sia un pericolo reale per l’Italia, allora quella narrazione sarà funzionale, anche se difficilmente vincente. Se la destra, d’altra parte, convince che il suo governo sarà in grado di portare avanti l’Italia, senza alcun trauma interno o internazionale, idem. E potrà mantenere il suo vantaggio».
Giorgia Meloni.
«Mi aspetto uno stile di comunicazione molto governativo. Parlerà più da premier in pectore che da capo di partito. Ha già i voti di destra, per cui non ha bisogno di polarizzare ulteriormente e conquistare nuovi elettori a destra. Deve invece parlare all’elettorato moderato italiano e soprattutto agli interlocutori internazionali. Il problema vero di un eventuale centrodestra vincente sarà, almeno in partenza, il rapporto difficile – se non conflittuale – con l’Europa, con diversi partner internazionali e una tendenziale sfiducia da parte dei mercati. Prima si riesce a compensare questa sfiducia, meglio è. Dunque suppongo che parlerà in maniera rassicurante e cercando di far capire, senza rinnegare niente, che è assolutamente in grado di fare il premier e di avere una classe dirigente adeguata, di restare nel Patto Atlantico, di non mettere in discussione né l’Europa né l’Euro, ma provare a cambiarli da dentro. E di guidare un governo che non sarà né amico di Putin, né di Orban – che saranno due simboli molto utilizzati a sinistra. Sarà una Meloni responsabile, governativa, che non prometterà mari e monti e che non si esporrà più di tanto, dato il vantaggio e il trend positivo dei sondaggi. Infine, immagino che sarà anche molto più sorridente, rispetto ad esempio al comizio di Vox a Marbella. La comunicazione non verbale conta, tantissimo. E questo, per lei, è il momento di sorrisi e di toni pacati, per trasmettere un’immagine sicura di sé e rassicurante per gli altri».
I suoi partner.
«Salvini e Berlusconi, dovendo recuperare terreno all’interno della coalizione, cercheranno tematiche e singole proposte forti, per provare a recuperare consenso. È quello che in realtà stiamo già vedendo, con una gara a chi promette un’aliquota più bassa per la flat tax, ad esempio. Magari non saranno proposte sempre “fattibili”, ma siamo in campagna elettorale, non ci deve sorprendere».
Il centrosinistra.
«Il centrosinistra è stato a lungo un cantiere aperto. Non era ancora chiaro quale fosse il perimetro degli accordi e di conseguenza neanche il suo posizionamento. Il sogno iniziale di Letta & Co. era quello del “campo largo”, più largo possibile, contenente dai 5 Stelle ad Azione. Sondaggi alla mano, era l’opzione che avrebbe reso più contendibile la partita nei collegi uninominali, anche se oggettivamente difficile da mettere in campo. Poi, dopo lo strappo di Conte nella maggioranza, Letta sembrava aver intrapreso la strada dell’ “agenda Draghi”, puntando su Calenda. O almeno, così l’aveva intesa Calenda, che parlava di schema a “due punte” e di candidature di altri partiti come “diritto di tribuna” all’interno delle liste del PD. Infine, dopo aver chiuso gli accordi con Di Maio, Fratoianni e Bonelli, Letta ha dovuto modificare la narrazione tornando al classico “difendiamo la Costituzione, non facciamo stravincere la destra”. E lì però s’è perso anche Calenda…
Ora la strada mi sembra obbligata. Con Azione fuori e con Verdi e Sinistra Italiana dentro, l’agenda Draghi non è più spendibile ed è stata consegnata a Calenda e Renzi che andranno in qualche modo insieme o comunque occuperanno lo stesso spazio. Non resta quindi che giocare la carta, trita e ritrita, del pericolo fascista e della difesa della “Costituzione più bella del mondo”, peraltro con un’associazione molto discutibile tra presidenzialismo e autoritarismo. Letta ha commentato “più di così non potevo fare”, a chiusura dei patti e delle “consultazioni”. In realtà, aveva due strade competitive in base ai sondaggi (M5S e/o Azione) e le ha perse entrambe, rimanendo con un pugno di mosche in mano. Apparentemente quella di centrosinistra è una coalizione ampia, ma nei fatti quale sarà il valore aggiunto di +Europa, Impegno Civico, Verdi e Sinistra Italiana? Ricordiamoci peraltro che i voti non si sommano automaticamente, bisogna piuttosto fare un saldo: quante volte abbiamo letto di iscritti del PD pronti a strappare la tessera nel caso in cui Di Maio sia candidato nel loro territorio? In sintesi, cosa ti portano Di Maio o + Europa senza Calenda? E cosa ti tolgono? Sinceramente, persa per persa, si poteva anche scegliere la via solitaria da parte del PD, per ridare un’identità al partito e massimizzare i voti».
Il MoVimento 5 Stelle.
«Nel MoVimento 5 Stelle è in corso un tentativo di ritorno alle origini. Essendo rimasti fuori dalla coalizione di centrosinistra, faranno nuovamente una campagna elettorale uno contro tutti. Questo dà molta visibilità e consente di avere mani libere, di attaccare tutti, sia a destra che a sinistra, e dà l’opportunità di provare a intestarsi i temi legati alle nuove diseguaglianze, alla crisi economica, al caro vita. Il precedente del Reddito di Cittadinanza rappresenta una sorta di Jolly che può consentire al MoVimento di essere più credibile rispetto ad altri quando si parla di questi temi. Ciò dovrebbe permettergli di contenere l’emorragia e di mantenere una quota di elettori “fedeli” della prima ora, che ancora preferiscono il M5S a qualsiasi altra opzione politica. Peraltro, lo “spettacolo” andato in onda sulle trattative di coalizione nel centrosinistra ha dato modo a Conte di rivendicare un’ulteriore distanza dai politici di professione e dal “politichese”. Altro tema da ritorno alle origini: “noi non siamo come voi”. Insomma, la priorità di Conte è ridare un profilo identitario al partito. E la via maestra, in questo caso, è andare da soli. Tutto ciò non vuol dire che recupereranno chissà quanti voti. Ma, alle condizioni attuali, direi che Conte ha fatto bene a chiudere all’ipotesi di entrata nella coalizione di sinistra. Cosa che peraltro Letta non ha mai detto di voler fare, a onor del vero».
Quali sono le preoccupazioni profonde che agitano il Paese e che peseranno sulle scelte degli elettori?
«Il Paese è spaventato prevalentemente dal carovita. Tutti i fattori a latere come la guerra e il Covid sono passati in secondo piano. Ma l’insieme di tutte queste cose alimenta una preoccupazione più profonda e strisciante, che si muove a livello inconscio. La sensazione di totale incertezza e precarietà, che è tipica della nostra epoca, non solo in Italia. Non ci sentiamo più padroni del nostro futuro e a dirla tutta anche del nostro presente. E non è facile ridurre questa sensazione di precarietà attraverso singole proposte vincenti. In campagna elettorale di proposte “magiche” o rassicuranti ne puoi fare a tonnellate, il problema è quanto siano credibili. Devono essere inserite all’interno di narrazioni coerenti che rassicurino sulla credibilità complessiva del prodotto e del progetto politico. Io mi aspetto tantissime promesse legate al tema del caro vita, ad esempio, ma non saranno queste a convincere o a spostare gli elettori. Gli elettori decideranno se andare a votare (e per chi) in base a quanto si fidano di una determinata classe politica e di governo. Per intenderci, non sarà l’aboliamo l’Ici di Berlusconi che può fare la differenza questa volta. La farà l’immagine che un elettore si fa di una coalizione di governo o di un’altra».
Il paese sta tornando al bipolarismo?
«L’elettorato italiano non ha mai abbandonato la logica bipolare. Un po’ perché è l’essere umano ad essere tendenzialmente binario. Noi ragioniamo in termini binari, gruppisti: “noi contro loro”. Senza un loro, non c’è neanche un noi. E tutto ciò che non è binario è un’eccezione, non è la norma. In più, da quando siamo passati al maggioritario (dal ‘94 in poi) ci siamo ulteriormente abituati a ragionare in questo modo. Una dimostrazione che la logica sia bipolare da tempo – anche quando il MoVimento 5 Stelle era il terzo incomodo nel bipolarismo – l’abbiamo avuta nei ballottaggi alle elezioni comunali. Praticamente ogni candidato del MoVimento che arrivava al ballottaggio vinceva a mani basse. Perché aveva un posizionamento “oltre” la destra e la sinistra. E dunque raccoglieva voti di destra contro la sinistra e viceversa. Ragionando in termini binari, il nemico rimaneva sempre “l’altro”, destra VS sinistra, sinistra VS destra, mai una volta che il candidato 5 Stelle fosse percepito come nemico. Con le leggi elettorali a impianto maggioritario, che implicano la formazione di coalizioni ex ante, la logica binaria si attiva sempre. È successo con la legge Mattarella, con la legge Calderoli (che era proporzionale ma con premio di maggioranza alla coalizione), è successo con la legge Rosato. Oggi, certo, il fatto che il MoVimento 5 Stelle abbia perso tanto consenso e credibilità non fa altro che aiutare ulteriormente la logica binaria. Tuttavia… forse si sta formando il “terzo polo”. Non ha grandi chance ad oggi, però articola il quadro ulteriormente».
Posizionamento delle coalizioni. Il centrosinistra si spinge sempre più verso il centro, e il centrodestra si spinge sempre più verso destra?
«Cosi sembrava… ma qui tutto cambia in pochi giorni. A destra la scelta di Forza Italia di non appoggiare più il governo Draghi ha finito per rafforzare Salvini e far perdere pezzi al centro, come Gelmini, Brunetta e Carfagna. Molti pensavano che il discorso di Draghi del 20 luglio servisse a spaccare la Lega che sembrava meno omogenea rispetto Forza Italia, intrappolata tra la posizione di lotta e di governo di Salvini e quella ipergovernativa di Giorgetti. Tuttavia, nel momento in cui Berlusconi sceglie di non dare la fiducia, la Lega immediatamente si ricompatta, restituendo pienamente lo scettro in mano a Salvini. E di conseguenza, Forza Italia perde invece qualche pezzo “governativo” e ideologicamente lontano da Salvini e Meloni. Oggettivamente la coalizione di centro-destra è, almeno sulla carta, molto più destra-centro oggi. Questa scelta ha liberato il centro che inizialmente è stato quasi “opzionato” dal PD. Poi però quando Letta ha aperto anche a sinistra, ha perso Calenda e di fatto ha dato l’avvio alla nascita del “terzo polo”. Certo, resta un polo non equidistante. Calenda e Renzi vengono dal PD e non hanno mai dichiarato amore né simpatie per alcun partito di destra. E Brunetta, Carfagna e Gelmini, come avviene sempre in campagna elettorale, sono stati subito etichettati come “traditori”, per mettere le cose in chiaro sui posizionamenti. La campagna sarà polarizzata, destra contro sinistra, anzi… sinistra contro destra, perché lì si insisterà di più sulla polarizzazione. Il centro vediamo che fine fa…se vanno insieme Renzi e Calenda. La loro campagna sarà sicuramente equidistante, potendo farla contro destra e sinistra, ma nel percepito degli elettori, restano una costola della sinistra. Difficile che tolgano voti a destra, per intenderci. Sono due animali da campagna elettorale, due centometristi non due maratoneti, ma hanno entrambi un problema di fiducia e credibilità. In particolare Matteo Renzi, che dal 2017 è inchiodato a livelli bassissimi di fiducia su tutto l’elettorato. Per quanto le persone gli riconoscano abilità, capacità e alcuni anche simpatia, non si fidano più di lui. Ha un gap di autenticità percepita».
Il rischio della sovraesposizione saturante.
«Il caso di Renzi è la classica leadership caratterizzata da una fiammata che è stata rapidamente consumata dagli elettori: “Ci hai esaltato, ci hai emozionato, poi sei diventato ripetitivo, infine sei diventato noioso e inaffidabile”. Quando arrivi alla conclusione di questo ciclo è difficile tirare su i dati sulla fiducia. È possibile riuscirci solo se sparisci per un po’ di tempo dai radar. Una delle abilità di Berlusconi, e della sua longevità come leader politico, è che scompare e riappare sulla scena pubblica ciclicamente, proprio per evitare una sovraesposizione saturante. E quando riappare, lo fa sempre con qualche novità, in un tentativo di rebranding ciclico. Se osserviamo le parabole dei leader recenti, notiamo che essi iniziano il calo quando arrivano al massimo della loro sovraesposizione. Quello del Papeete, era il Salvini di cui l’Italia parlava tutti i giorni, dominava l’agenda mediatico-politica. Questo in un certo senso rappresenta l’inizio della fine. Come diceva George Steiner, “nella società dei consumi ogni prodotto deve produrre massimo impatto e istantanea obsolescenza”. Per Renzi è stato lo stesso. Mentana faceva le maratone sulle direzioni nazionali del PD, la riunione di un organo di un partito in diretta TV nazionale… vuol dire che gli altri leader e gli altri partiti erano spariti dal nostro menù. Per una logica del consumo devi rinnovarti, devi fare rebranding, che non puoi fare però se non sparisci per un po’. Renzi questo non lo ha fatto. Salvini neanche. E mi sembra paghino questo errore, molto più degli errori specifici (tipo Referendum costituzionale o tipo l’agosto 2019 in testacoda di Salvini)».
Il centrodestra gode ora di un vantaggio competitivo. Il centrosinistra può colmare questo gap?
«Ad oggi sembra una mission impossible. Potrebbe colmarlo se riuscisse a sfruttare una maggiore capacità mobilitante – portare quindi tutti suoi elettori alle urne – e il centrodestra invece no. Questa è una delle preoccupazioni che gira nel centrodestra in questo momento. Mediamente in Italia l’elettorato di destra è meno facile da mobilitare. Ecco perché, ad esempio, Lega e Forza Italia hanno già chiesto di votare anche il lunedì (a differenza di 4 anni fa).Tradizionalmente quello di destra è un elettorato meno strutturato, meno disciplinato, talvolta anche meno identificato, questo rappresenta un vantaggio per il centrosinistra. Tanto più un’elezione estiva e che potrebbe essere percepita da molti elettori di destra come già vinta. Questo sembra un paradosso, ma quante volte alle comunali abbiamo visto dei candidati prendere il 49% al primo turno per poi perdere ai ballottaggi? Se sono convinto che i miei vincano, perché dovrei andare a votare? Meglio il mare, il 25 settembre…dunque può essere un rischio demobilitante. Quindi, se il centrosinistra riesce a sommare una maggiore capacità mobilitante, a un elettorato di centrodestra che potrebbe non andare a votare perché convinto di aver già vinto, e se, aggiungo, lavora bene sugli indecisi può colmare in parte il gap. Ma ad oggi, sondaggi alla mano, quel ritardo è molto ampio e l’offerta politica del centrosinistra nei collegi uninominali è diventata davvero poco competitiva. È molto difficile che possa arrivare a vincere. Peraltro, tradizionalmente, le elezioni recenti segnate da grandi recuperi finali in realtà hanno sempre premiato il centrodestra. Quella del 2013, in cui il centrosinistra era nettamente avanti e alla fine il centrodestra le ha quasi pareggiate, e quella del 2006 che le ha pareggiate a tutti gli effetti. Questo perché nel centrodestra esiste una maggiore capacità di campaigning, che è legata alla forza anche mediatica dei leader. Dalla Seconda Repubblica in poi, il centrodestra ha sempre avuto leader molto forti e popolari: Berlusconi, Bossi, Fini, e poi Berlusconi, Salvini, Meloni. Sono leader indiscussi nei rispettivi partiti e questo permette anche una maggiore disciplina interna perché il candidato o il componente “medio” del partito sa che i voti li porta il leader, e non proverà a smarcarsi da quanto dice il vertice. Lo abbiamo visto benissimo con Salvini recentemente: era dato in grave crisi di leadership nella Lega, ma quante interviste abbiamo visto in questi mesi contro di lui da parte di membri del suo partito? Pochissime. Una leadership forte aiuta a mettere in campo una comunicazione efficace, lineare e coerente, senza distinguo e controcanti. A sinistra tutto questo non c’è. Il PD ha una specie di “allergia” verso leader di quel tipo: l’unico è stato Renzi che non a caso oggi è visto come la “peste”. Per il resto, fuori dal PD, paradossalmente, ci sono leadership gonfiate, che cercano visibilità e si smarcano continuamente, pur avendo consensi molto bassi. L’abbiamo visto con Bonelli, Fratoianni e Calenda ad esempio. Tanti “galli” indisciplinati a cantare, spesso con pochissimo consenso, mentre a destra i galli sono sempre gli stessi, indiscutibili e indiscussi, di fatto».
Campagna elettorale estiva. Televisori spenti. Sarà una campagna elettorale sui social?
«Nella prima fase agostana sarà così. A parte la già citata campagna OOH su display e impianti nelle località turistiche, l’unico modo per arrivare sotto l’ombrellone è il monitor degli smartphone. Abbiamo già visto alcuni video di Berlusconi sui social, che come sappiamo è un grande “animale” da campagna elettorale. Se pure lui, anche se in ritardo, ha deciso di investire su questo strumento è perché i suoi analisti hanno suggerito di impostare almeno in questa fase una campagna in tal senso. Questo non fa sparire la televisione, anzi. Il palinsesto televisivo è già cambiato in virtù della campagna elettorale. Molti talk sono andati avanti, altri sono nati appositamente. La televisione resta un medium centrale, per cui questa campagna dovrà essere per forza multicanale, magari con un occhio più spinto sui social in questa fase agostana. Ma a settembre la TV riacquisirà la sua centralità».
Questo cambierà la struttura del messaggio?
«Considero i social abbastanza simili alla televisione. Sui social premia un messaggio rapido e sintetico, con un potente uso dell’immagine per stimolare pathos e coinvolgimento emotivo. Queste sono a tutti gli effetti eredità televisive: ciò che funziona sulla rete spesso funziona anche in TV. In termini di media logic la rete e i social sono figli della televisione. La vera differenza è che in teoria sui social c’è dialogo. In teoria però, perché in realtà il dialogo dell’elettore con il politico è pari a zero. I social offrono tuttavia più dati da analizzare, il sentiment, i commenti e like, possono dare informazioni utili per targetizzare meglio il messaggio e riorientare la strategia. Il messaggio resta top down, i dati sono bottom up».
Coinvolgimento di attori terzi nella campagna elettorale. Gli Influencer. Ne abbiamo visti diversi.
«Mi aspetto una mobilitazione molto forte da parte degli influencer, orientata quasi tutta a sinistra. Non è una cosa solo italiana. Il mondo dell’industria culturale in tutto l’Occidente è in larghissima parte orientato a sinistra. Essendo schierati quasi tutti da una parte questo agevola l’esposizione: se parli sai che non rischi quasi niente, avrai un coro a supporto da parte dei tuoi “pari”. Si tratta di un mondo omogeneo che spinge ad esporsi, a maggior ragione in questa elezione. Però, se attaccare Berlusconi era relativamente facile su tanti fronti, giudiziario, vita privata, conflitto d’interessi, il fronte più facile per attaccare Meloni è quello ideologico-valoriale. Sotto questo profilo mi aspetto una grande “discesa in campo” da parte degli opinion leader per agitare il pericolo fascista e della svolta autoritaria, molto più forte di quello faranno invece i candidati e i leader di sinistra. Anche se ormai, la linea della “difesa della Costituzione” sembra quella dominante, per cui anche la coalizione di sinistra sarà obbligata a scegliere quella strada. Sotto questo profilo – questo va detto – quella coalizione non è un “campo stretto”… Se è vero che in termini di partiti e di voti la coalizione sembra piuttosto magra, avrà un grande appoggio da giornalisti, intellettuali e personaggi pop, protagonisti dello show business perché, ripeto, sono mondi in cui le proporzioni tra destra e sinistra sono decisamente sbilanciate. Abbiamo già visto Elodie, Giorgia, Ariete… e ne vedremo ancora. C’è però un confine tra la comunicazione polarizzante e mobilitante – se vogliamo, ideologica – e l’attacco personale.
La cosiddetta character assassination è pericolosa, spesso più per chi la fa che per chi la subisce. Quando arrivi ad attaccare pesantemente la persona, puoi trasformare la controparte in vittima, come è successo anche con Berlusconi in passato. Questo da un lato può avere l’effetto inintenzionale di mobilitare parecchio anche gli elettori avversari, dall’altro potrebbe addirittura spingere l’elettore indeciso a votare per la vittima dell’attacco. Per questo motivo mi aspetto meno attacchi personali dai politici che dai mondi a latere. In sintesi, i leader di sinistra insisteranno sulla difesa della Costituzione, demonizzando il presidenzialismo (come se fosse una forma di governo non democratica), mentre dalle élite di sinistra (non politiche) mi aspetto attacchi personali a Giorgia Meloni – come ne abbiamo già visti tanti in questi anni».
Cristallizzando l’attuale scenario globale, situazione economica, guerra, inclinazioni di voto, che tipi di legislatura e di governo saranno?
«Difficile da prevedere. Se la maggioranza sarà molto ampia – c’è chi parla di ipotetici due terzi dei seggi al centrodestra – in teoria il governo sarà solido. Mi aspetto però, in questo caso, un contraccolpo internazionale forte. L’abilità dev’essere quella di tenere duro e rassicurare. Meloni sta provando a farlo già da adesso, giustamente. Se facesse tutta la campagna mantenendo lo stile “Marbella” e insistendo solo sui temi valoriali più polarizzanti, verosimilmente nel momento in cui vincesse dovrebbe di colpo trasformarsi in qualcos’altro e quel qualcos’altro sarebbe spiazzante e poco credibile. È saggio invece riposizionarsi già da ora. È chiaro tuttavia che se quel contraccolpo internazionale fosse molto forte, come nel caso dello spread impazzito del 2011, ci sarebbe poco da fare. Inizierebbe a girare l’idea di una maggioranza magari più ampia, un ipotetico governo Draghi bis o chi per lui. Sia chiaro, non me lo auguro minimamente, perché significherebbe riconoscere che l’Italia è destinata a questo tipo di soluzione in virtù di un vincolo esterno, diventando a tutti gli effetti un paese meno sovrano, in cui il voto del popolo praticamente zero. L’obiettivo di un potenziale governo di centrodestra dev’essere quindi quello di risultare rassicurante e credibile all’estero. Bisognerebbe arrivare a compromessi funzionali e utili sia al paese che all’Europa. Noi abbiamo bisogno dell’Unione Europea, tanto più in una fase di crisi in arrivo, ma anche l’Europa ha bisogno dell’Italia: è paese fondatore, è la seconda potenza manifatturiera e la terza potenza economica. Difficilmente ci metterebbero ai margini, tanto più perché la crisi colpirà tutti, non solo noi.
È chiaro però che il precedente Draghi sotto questo profilo è un problema. Quando ti giochi la carta Draghi ti sei giocato la miglior carta che potevi giocare con l’opinione pubblica internazionale. Chiunque arrivi dopo Draghi deve scontare qualcosa sotto questo profilo, in termini di aspettative e di percezioni. A maggior ragione se il dopo Draghi è con Meloni-Salvini, che vengono da anni di narrazioni, posizioni e idee certamente eurocritiche. E su questo dovranno lavorare. Meloni lo sta già facendo. E Salvini comunque mi pare stia attaccando molto meno l’Europa o l’Euro rispetto al passato. Ha ripreso il tema degli sbarchi, dell’immigrazione, della sicurezza, delle tasse ma non ci sono attacchi frontali contro Bruxelles. Ricordiamo il Salvini del 2014: sulla scheda elettorale delle europee, sul simbolo c’era scritto “Basta Euro”. Quel tipo di posizionamento non lo vedremo. Mi aspetto una narrazione “eurocritica costruttiva”, per così dire. E mi aspetto un ammorbidimento internazionale quando capiranno che questo governo non rappresenta un pericolo né per la democrazia, né per l’asse atlantico, né per l’Unione Europea. Immagino però che i primi mesi saranno duri e bisognerà lavorare bene sulla scelta dei ministri. Salvini su questo sta spingendo molto, Meloni meno. Ma d’altronde non è facile sceglierli prima che si conoscano le forze relative dei partiti. Per di più non dimentichiamoci che li nomina Mattarella…sarebbe quindi solo un gesto simbolico per dire “siamo pronti”, mentre gli altri stanno ancora “facendo le squadre”. Tuttavia, capisco la tutela, che è anche rispettosa della Costituzione».
In tema di classe dirigente il centrodestra ha qualche problema…
«Tradizionalmente la classe dirigente del Paese è maggioritaria a sinistra. Bisogna però fare attenzione a non confondere classe dirigente con classe politica. In termini di classe politica, ad esempio, Fratelli d’Italia non è inferiore rispetto ad altri partiti. Sono persone che fanno politica da una vita, con esperienza e con una lunga gavetta; questo in altri partiti non sempre lo si trova. In termini di classe dirigente, invece, intesa come alta dirigenza pubblica, stampa, magistratura, poteri dello Stato, grandi imprese, mondo della cultura e della cosiddetta “industria culturale”, c’è una bella differenza. Da questo punto di vista c’è una tradizione lunga non sono in Italia, ma direi globale, che vede una prevalenza netta di posizioni a sinistra. Questo non significa che a destra non ci sia per niente, ma sicuramente è più dispersa e meno compatta, raramente in grado di fare massa critica. Su questo la destra deve lavorare. Andare al governo e governare per cinque anni potrebbe servire in qualche modo a colmare quel gap. Per farlo, però, occorre anche superare la dicotomia popolo vs élite che caratterizza parte della politica contemporanea. Va bene stare dalla parte del popolo, ma quando governi sei élite del paese. E se sei élite, con le élite ci devi parlare. Non lavorare per loro, né demonizzarle, parlare alla pari, aprire un dialogo. Solo così si può ridurre una sfiducia reciproca che in partenza magari può esserci».
Una canzone per descrivere questo momento.
«Dato quello che abbiamo visto nell’ultima Legislatura e anche negli ultimi giorni mi viene in mente “Eterno paradosso” di Caparezza. Nella speranza però che tutto questo delirio ci porti finalmente “Fuori dal tunnel”».